Botros 5 - l'Editoriale

Botros 5 - l'Editoriale

don Rosario (https://t.me/donRosarioMorrone) [Art. 2 ottobre 2022]

Ricordo perfettamente il mio primo giorno di scuola.

All’età di sei anni, dopo aver frequentato l’asilo dalle suore, come tutti i bambini della mia età, mi sono iscritto alle scuole elementari.

Il primo giorno di scuola non mi accompagnarono mamma e papà.

Un giorno di fine settembre mio zio, che ora non c’è più, riunì tutti i nipoti, davvero tanti perché appartenenti ad una razza numerosa, e ci fece entrare tutti riempendo fino al tettuccio la sua 500 (allora non c’era un limite di passeggeri per le auto) e ci accompagnò a scuola. 

Ricordo che mio zio, poverino, ebbe il suo bel da fare nell’individuare le aule a cui eravamo stati assegnati. Nella stessa classe con me venne una mia cugina, mentre gli altri furono distribuiti in tante altre aule e assegnati a maestri diversi.

Quando entrai nell’aula a cui era stato destinato una giovane “signorina”, che noi chiamavamo maestra, mi accolse con un bel sorriso; mi accarezzò i capelli e mi assegnò il posto in cui sedere.

Ricordo ogni particolare dell’aula: i banchi, tutti i compagni, i cartelloni. Mi sembrava tutto strano: e soprattutto quella signorina, che noi chiamavamo maestra, che si dedicava completamente a noi.

Era serena e disponibile e rispondeva con calma alle nostre domande. Io ne avevo tante da porre e la torturavo spesso con i miei interrogativi, ma lei, anche in seguito, rispondeva sempre con pazienza.

Da quel primo giorno mi entusiasmai per la scuola talmente tanto che desideravo tornarci, per ricercare, per possedere quel mondo che nel tempo capii essere del “sapere”, ma che per me allora, era un mezzo per soddisfare le mie curiosità.

La mia maestra la ricordo sempre con tanto affetto, perché è stata colei che mi ha instradato alla studio della matematica, mi ha fatto capire l’analisi logica, mi ha fatto innamorare della letteratura e mi ha spiegato cos’era la poesia, e mi ha fatto amare il mondo della scienza.

Ricordo che ci faceva leggere pagine, che riportavano esempi di grandi personaggi e che ogni tanto ci faceva leggere fuori dalla classe.

Era affascinante il suo modo di insegnare, e di avviare noi alunni ad appropriarci di uno stile di studio.

Rimasi male quando, in quarta elementare, lei si innamorò e chiese le ferie per sposarsi.

Per tre mesi si susseguirono molti supplenti e io mi sentivo spaesato senza di lei, che ci trasmetteva serenità, e quando ritornò mi sembrò di esser rientrato in un posto sicuro.

Cosi terminai le scuole elementari.

Quando diventai prete lei venne a trovarmi. Si trovava in uno stato di bisogno terribile ed io mi misi completamente a sua disposizione.

Mi sembrò strano che un alunno fosse di aiuto alla sua maestra: ma era come se io le rendessi un grazie indicibile, per aver dedicato cinque anni della sua vita a formare la mia mente e a regalarmi, anche di nascosto, molto affetto.

Mi coccolava, infatti, e questo mi dava tranquillità e stabilità.

Purtroppo ho dovuto celebrare anche il suo funerale e quel giorno, dissi pubblicamente che, se non fosse stato per lei, io non saprei molte cose della cultura che ho miseramente conquistato.

Senza di lei non avrei avuto il mordente giusto, per cercare e ricercare in modo instancabile.

A lei maestra unica delle scuole elementari, devo l’avvio avventuroso di tutta la mia ricerca futura, che ancora oggi mi affascina.

Poi andai alle medie, dove dovetti affrontare uno stravolgimento affettivo, perché nell’insegnamento tanti professori si avvicendavano velocemente, e quelle ore trascorse con loro, non erano abbastanza lunghe per stabilire un rapporto umano come quello realizzato nelle scuole elementari.

Capii, però, che la diversità rappresentava un mezzo, per venire a contatto con una varietà di personalità e di stili di insegnare: esperienza che ha fatto maturare e crescere la mia capacità di armonizzare ogni contatto culturale.

Chi insegnava con entusiasmo generava in me altrettanta passione per la materia trattata, mentre non accendevano il mio interesse i professori che insegnavano senza anima.

Dopo le Scuole medie approdai al liceo classico. I primi due anni, che allora si chiamavano ginnasio, furono molto duri, per la novità del latino e del greco. In un primo momento mi lamentavo perché pensavo che quelle lingue morte non mi servissero nella vita, invece poi, grazie a queste “lingue morte” capii di più delle materie letterarie.

Al liceo mi affascinarono la filosofia, la storia e la letteratura. che mi trasmise il gusto del fraseggiare, mentre lo studio dei capolavori dei grandi poeti, mi fece apprezzare la bellezza creativa della poesia.

Anche la letteratura latina e greca arricchirono la mia interiorità.

Furono tre anni in cui diventai adulto e capii che il sapere non è semplicemente un immagazzinare nozioni, ma è una conquista di un bagaglio culturale che, entrato dentro di te, genera altro sapere.

Si conosce il passato per aprirsi ad un futuro di saperi, che non si esauriscono mai, e fanno crescere in intelligenza, umanità e creatività.

Concluso il liceo, arrivai all’università all’età di 19 anni; ricordo tutto dei primi periodi.

Mi scrissi al biennio filosofico (a Saronno) e frequentai con piacere il triennio teologico (a Roma), mentre dei due anni di specializzazione, che iniziai, frequentai tutti i corsi ma non portai a termine, per conseguire il titolo.

Negli ultimi anni, infatti, fui ordinato sacerdote e mi catturò un interesse enorme per la pastorale, che ancora oggi, mi tiene sempre desto e desideroso di individuare la via giusta, per far crescere la mia fede e quella dei parrocchiani a me affidati.
Sarà stata l’influenza della maestra che mi stimolava di continuo a ricercare?

Qualcuno dice che, non aver concluso gli studi di specializzazione, è stata un’occasione persa, che avrei potuto fare di più a livello intellettuale (ero promettente, dicevano in tanti). 

Io penso, invece, che sia stata una “sterzata” di Dio per dare un’impronta specifica al mio futuro sacerdotale (probabilmente non mi ha voluto dietro una cattedra, ma in mezzo agli 'ultimi').

Ho raccontato queste cose della scuola nelle mia esistenza e quello che ha generato dentro di me, per dirvi di una curiosità che non si esaurisce, di un mettermi sempre alla prova, di un allargare sempre di più i miei orizzonti, per comprendere di più, per dare di più nella mia missione, e per avvicinarmi sempre più alla Trinità (l'unica vera 'attrazione' affascinante della mia vita).

Lo studio ed il sapere hanno determinato dentro di me un fenomeno strano: quello che metto 'dentro', viene fuori come un’esplosione nuova.

Anche adesso dopo che mi fermo a studiare, incamero, interiorizzo e subito sento che in me c’è qualcosa che vuole uscire fuori, e che non posso trattenere solo per me.

In questi ultimi tempi mille domande mi assillano e a volte mi torturano:

  • Possibile che prima di morire, tu non possa dire qualcosa di diverso da quello detto da altri?
  • Possibile che tu non possa esprimere qualcosa di diverso da quello che hai letto?
  • Possibile che tu non riesca a raccontare di 'sentieri' nuovi dello spirito umanano, diversi da quelli narrati da altri?
  • Possibile che tu debba morire senza scrivere una nuova poesia o senza elaborare un nuovo romanzo, una nuova teoria, senza percorrere una nuova strada di relazione con la bellezza seducente della Trinità?

La domanda finale è: Che cosa hai studiato a fare se prima di morire non “dici” una cosa diversa da quella già saputa?

don Rosario

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