Botros 5 - Cosa significa per l'essere umano imparare?

Botros 5 - Cosa significa per l'essere umano imparare?

Caterina Scavo (https://t.me/BotrosGiornale) [Art. 2 ottobre 2022]

L’apprendimento, in psicologia, è quel meccanismo che ci permette di modificare il nostro comportamento a seguito delle esperienze che viviamo, ci permette di essere flessibili e di adattarci alle grandi sfide quotidiane;

ma perché dobbiamo imparare?

In primo luogo perché la disposizione completa delle conoscenze già dalla nascita è impossibile e non desiderabile, se il DNA dovesse specificare tutti i dettagli delle nostre conoscenze non avrebbe la quantità di spazio necessario ed inoltre nascere con un patrimonio già molto esteso di conoscenze non è desiderabile, perché proprio grazie all’apprendimento abbiamo la possibilità di adattarci rapidamente a tutte le condizioni imprevedibili dell’ambiente in cui viviamo e questo adattamento permette la sopravvivenza della specie.

L’essere umano in particolare ha fatto dell’apprendimento la propria specialità ed il suo ruolo è ampio nel nostro sviluppo; nel nostro cervello i neuroni comunicano tra di loro formando reti neurali costantemente e proprio questa comunicazione costante riflette i nostri apprendimenti.

Vari studi hanno analizzato gli effetti di apprendimenti complessi, come ad esempio il padroneggiare l’utilizzo di utensili da lavoro, ed i risultati hanno dimostrato che più il soggetto diventava esperto nel manipolare l’attrezzo, più si innescavano tutta una serie di cambiamenti nel cervello; nell’area parietale anteriore, centro del controllo dei movimenti delle mani, si sviluppavano delle nuove sinapsi, gli alberi dendritici si moltiplicavano e tutte queste nuove connessioni si traducevano a livello comportamentale in un soggetto esperto.

Abbiamo visto che l’apprendimento si basa su quella che è la nostra capacità di modificarci, in termini tecnici si basa sulla plasticità cerebrale; negli anni, però, si è arrivati alla conclusione che la plasticità sia confinata da quelli che sono dei vincoli sia di tipo genetico, ovvero il cervello sebbene possa riorganizzarsi lo fa sempre all’interno dell’organizzazione funzionale preesistente, ma anche vincoli di tipo temporale, parliamo cioè dei periodi sensibili: in molte regioni del cervello la plasticità è attiva solo durante un intervallo di tempo limitato, denominato appunto periodo sensibile, che solitamente ha il suo picco nella prima infanzia e poi si riduce in maniera graduale col passare degli anni.

In effetti, con l’avanzare dell’età apprendere risulta essere più difficile, anche se non è una capacità completamente persa, ed in particolare risulta più difficile in alcune aree, ad esempio l’area linguistica. Nei primi anni di vita l’evoluzione ha dotato il nostro cervello di una plasticità sinaptica massima proprio per permettere ai bambini di apprendere con molta facilità le competenze che saranno importanti per sviluppare la loro autonomia negli anni; nel cervello di un bambino di due anni il numero di neuroni è pari a circa il doppio di quelli di un adulto, successivamente le reti neurali utili verranno conservate e si moltiplicheranno, mentre quelle meno sfruttate andranno incontro a morte cerebrale per un principio di economia dell’energia cerebrale.


Nello specifico sappiamo che, ad esempio, la corteccia visiva primaria, come tutte le regioni legate ai sensi, raggiunge la maturità molto più velocemente rispetto alle aree corticali di livello superiore, questo fa sì che queste ultime aree possano continuare a modificarsi per più tempo attraverso l’apprendimento e l’esperienza.

Per converso, le vie visive ed uditive sono quelle con più alto rischio di perdita della loro capacità di apprendimento proprio perché sono quelle aree che maturano più velocemente e quindi il periodo sensibile in queste aree si chiude piuttosto presto; è molto noto, in campo medico, come lo strabismo forte nei bambini debba essere corretto nei primi anni di vita, idealmente prima dei tre anni, per evitare il rischio di causare poi un deficit definitivo a livello corticale.

L’evoluzione ci ha portato a mettere in atto i meccanismi di chiusura dei periodi sensibili perché è vantaggioso per l’essere umano: non a caso questa chiusura si innesca prima nelle aree sensoriali e successivamente nelle regioni corticali superiori, è necessario che alcune regioni del nostro cervello mantengano la possibilità di modificarsi per apprendere nuove conoscenze e affrontare danni imprevedibili, ma non è vantaggioso evolutivamente continuare a modificare le aree sensoriali primarie.

Come possiamo conciliare la psicologia con l’educazione?

Una prima massima che possiamo tenere in considerazione per ottimizzare il potenziale in tutti i bambini è di non sottovalutarli; fin dalla nascita ogni bambino possiede dei ricchi nuclei di competenze ed è bene sfruttare questa prima intuizione e basare l’insegnamento su queste conoscenze iniziali.

Un altro modo per ottimizzare il potenziale del nostro cervello è quello di approfittare dei periodi sensibili, quindi se vogliamo fare apprendere una seconda lingua a nostro figlio è bene approfittare dei suoi primi anni di vita, perché questa capacità la perderà gradualmente con l’età. Un altro aspetto importante è l’arricchimento dell’ambiente, arricchire l’ambiente di un bambino significa ottimizzare la crescita cerebrale e preservare il più a lungo possibile la sua plasticità.

A grandi linee, deve essere un bambino attivo, curioso, coinvolto e autonomo, perché un individuo passivo impara difficilmente o non impara quasi nulla; è bene sollecitare costantemente la curiosità in modo che possa già in tenera età generare delle ipotesi su ciò che lo circonda e metterle alla prova, in un secondo momento, attraverso un feedback sull’errore, modificherà e aggiornerà le sue ipotesi e apprenderà le regole del mondo.

Per imparare in modo efficace, l’ambiente deve fornire un segnale di errore, ci deve dare quindi un feedback anche quando non stiamo effettivamente commettendo un errore, in modo tale da darci la possibilità di correggere l’ipotesi iniziale, fare esperienza e consolidare gli apprendimenti.

La ricerca ha dimostrato che il “voto” scolastico, ad esempio, non permette un riscontro dell’errore dettagliato e non è mai abbastanza informativo in relazione all’errore, perché non ci consente di sapere cosa abbiamo sbagliato e come correggerci, è solamente un segnale cumulativo dei nostri errori; la psicologa americana Carol Dweck si è occupata molto di questo tema e ha sottolineato come i voti scolastici non siano particolarmente importanti per motivare un individuo allo studio e all’impegno: il voto spesso non è un motore propulsivo al miglioramento, ma anzi può farci credere che quello sia il nostro livello massimo e di conseguenza ci fa pensare che non vale la pena impegnarsi e affrontare con impegno una situazione nuova.

Come conseguenza, un’altra massima è quella di incoraggiare gli sforzi, far capire ai ragazzi che le cose più interessanti richiedono impegno e sforzo e sono proprio gli sforzi a permetterci di ottimizzare il potenziale del nostro cervello e padroneggiare un’abilità, come suonare uno strumento.


Per quanto riguarda invece l’apprendimento meramente scolastico, potremmo riassumere tutti i risultati delle ricerche con l’espressione “sleep, learn, test, repeat”, letteralmente “dormire, imparare, verificare le conoscenze e ripetere”.

Testare regolarmente le proprie conoscenze è un mezzo attraverso il quale noi appunto possiamo massimizzare il nostro apprendimento perché riusciamo a comprendere quelle che sono ancora le nostre lacune, capiamo dove la conoscenza è più fragile e nella successiva sessione di apprendimento possiamo dedicarci di più a quella che è la nostra fragilità, in particolare l’alternanza tra apprendimento e momenti di test ci costringe a rimanere attivi e ci permette di avere coscienza sul nostro livello di studio; proprio per questo motivo, un’altra strategia utile è quella di distribuire l’apprendimento, noi sappiamo che anziché apprendere tutto in una singola sessione è molto meglio distribuire la mole di studio in più sessioni, in modo tale da avere una maggiore possibilità di apprendere e ricordare quello che stiamo studiando dedicandoci al ripasso; quando facciamo un’immersione di studio e concentriamo tutte le informazioni in una singola sessione possiamo andare incontro a quella che è un’illusione, infatti lì per lì abbiamo la sensazione di sapere perché queste tracce sono disponibili nella nostra memoria a breve termine ma la ricerca ci ha mostrato che queste informazioni andranno molto presto incontro all’oblio perché non c’è stata una ripetizione e quindi un consolidamento dei concetti nella memoria a lungo termine.

Ultimo, ma non per importanza, è il ruolo del sonno, che in realtà è ben lontano dall’essere un periodo di inattività e costituisce un momento centrale per l’apprendimento nell’essere umano perché durante il sonno il nostro cervello ripete e ricodifica tutto quello che è stato acquisito durante la giornata, consolidando le tracce nella memoria.

Questa è una scoperta molto importante delle neuroscienze che ci fa riflettere anche sul fatto di quanto i neonati abbiano bisogno di dormire, ed è proprio questo il motivo, perché essendo catapultati in una realtà satura di informazioni nuove per loro, hanno più bisogno di consolidare tutte le informazioni acquisite durante una frazione di giornata e di conseguenza hanno più bisogno di dormire, tuttavia, le ricerche hanno evidenziato che non è utile forzare i bambini a dormire, perché il nostro cervello regola naturalmente il bisogno di sonno in base alla quantità di nuove stimolazioni della giornata.

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