Botros 4 -  Il lavoro nella società moderna

Botros 4 -  Il lavoro nella società moderna

Francesco Caliò (https://t.me/BotrosGiornale) [Art. 4 settembre 2022]

Il lavoro nella società moderna

Margaret Mead con i suoi studi mi ha sempre affascinato, certo l’antropologia sembra quasi essere una nicchia scientifica.. accademica, ma invece è molto più pratica e realistica di quanto si possa immaginare.

Quando gli fu posta la domanda.. quando secondo lei fosse nata la civiltà umana, la Mead non ebbe dubbi, si può certamente affermare che non le spade, non il bronzo, non il fuoco… non altra scoperta poteva dare questa data certa se non un fatto unico nel suo genere.

L’antropologa affermò che il primo segno di civiltà in una cultura o società antica/tribale era un femore rotto e poi guarito. Infatti, spiegò che nel regno animale, se ti rompi una gamba, muori. Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume per bere o cercare cibo per nutrirti. Sei cibo per i predatori che si aggirano intorno a te. Un femore rotto e poi guarito vuol dire che qualche essere vivente della tua specie si è preso cura di te fino a quando ne hai avuto necessità.

Ecco…., qui nasce la civiltà umana e l’impulso motivazionale non è di tipo individuale egoistico ma individuale collettivo, il lavoro è appunto metaforicamente proprio questo.

Nel 1932 Bertrand Russel descriveva due specie di lavoro: il primo consiste nel fare le cose materiali e il secondo nel dare ordini su come farle. Il primo è sgradevole e mal pagato, l’altro è piacevole, ben pagato e suscettibile di espandersi senza limiti.

Ci sono infatti non solo quelli che danno ordini, ma anche quelli che danno consigli su come darli[1]. Parlando di lavoro non si può non parlare di risorse umane, ma la retorica è sempre in agguato. Si dice che le risorse umane non sono un costo, ma un investimento. Qualcuno parla di capitale umano e propone di far figurare il loro valore come asset in bilancio, nello stato patrimoniale delle società.

Ma in realtà le cose stanno molto diversamente dagli annunci accademici e giornalistici…. Quando si parla di risorse umane bisogna essere laici, occorre guardare le cose in modo realistico, infatti ogni qualvolta una azienda annuncia un processo di downsizing (licenziamenti collettivi) le borse e quindi gli investitori apprezzano molto i tagli del personale a dimostrazione che siamo lontanissimi dal ritenere le persone che lavorano in una azienda un vero valore aggiunto… Le risorse umane…termine accattivante, purtroppo è nella testa di pochi imprenditori illuminati… il resto considera il personale un mero ed esclusivo costo[2] da tagliare all’occorrenza. 

Aris Accornero, sociologo del lavoro nel suo “Era il secolo del lavoro”[3] ricorda con molta lucidità che già il Tocqueville temeva intorno al 1835, influenzato dalle scienze industriali dell’epoca e dagli scritti di Charles Babbage che quando un operaio si dedica unicamente ad un solo compito diviene più abile ma perde in ingegno e come se man mano che l’operaio si specializza l’uomo degrada.

Insomma diviene un singolo all’interno di un processo alienante privo della coscienza di gruppo e se vogliamo di classe. Chi non ricorda la celebre scena di Charlie Chaplin dell’omino nella catena di montaggio…un numero, un ingranaggio nulla più[4]….

Il postulato dello scientific management di Taylor e del fordismo era stato tracciato..
Ci vorranno anni, decenni di studi, di lotte, di ricerche, di sofferenze e di dolori perché il lavoro asserisca a valore Costituzionale (art.1), e nonostante ciò ad oggi ancora abbiamo schiere di pseudo imprenditori e politicanti destroidi nostalgici del periodo corporativo, periodo storico che non consentiva (é bene ricordarlo ai giovani e soprattutto ai meno giovani) nemmeno i più elementari diritti sindacali e del lavoro. Quei diritti costati sangue, quelle libertà sancite nella nostra Carta Costituzionale lavoristica e sociale, quei diritti che appaiono scontati ma che sono in tremendo pericolo come diceva Costantino Mortati. 

Nel 1929 Elton Mayo, ricercatore psicosociale portò avanti una serie di esperimenti nel complesso industriale della Western Electric, a Hawthorne. Questi studi, inizialmente confusi, erano diretti a comprendere la nascita di spinte motivazionali all’interno di gruppi di lavoratori, ma gli esperimenti in realtà andavano oltre il mondo produttivo come vedremo. Mayo non riusciva a comprendere la ragione per la quale suddividendo le persone in gruppi, le stesse avevano un comportamento molto diverso.

L’uno decisamente produttivo, l’altro invece in misura inferiore. I ricercatori provarono a focalizzare l’attenzione sulla maggiore luminosità degli ambienti, diversificando e alternando i gruppi nei diversi contesti, ma non emergeva il perché della differenza di comportamento. Si rese conto però che il fatto stesso di aver reso noto ad un singolo gruppo il coinvolgimento in un esperimento determinava un feedback positivo, insomma avere consapevolezza di far parte di un qualcosa che va oltre l’esigenza del singolo individuo, porta le persone ad avere una risposta motivazionale diversa. L’uomo necessità di questa consapevolezza per dare un suo contributo aggiuntivo. Da qui nascono gli studi delle “relazioni umane”, l’effetto Hawthorne era stato scoperto.

Il lavoro non è solo quello descritto nel contratto giuridico del lavoro, non è solo quel sinallagma contrattuale – retribuzione vs prestazione lavorativa, il lavoro è parte del bagaglio sociale dell’individuo, implica mescolanza delle variabili ambientali e sociali, implica competenze[5], intese come modelli di comportamento individuali, implica una storia umana del soggetto, …studi.. esperienze…sacrifici… anni trascorsi sui libri a formarsi e a formare la propria sub-struttura.     

L’illuminante lavoro di Jeremy Rifkin parla di un mondo nel quale le imprese hanno preso il posto degli stati sovrani, anticipa infatti l’oligarchia delle multinazionali[6]. Tutto il sistema produttivo viene delocalizzato in paesi laddove il costo del lavoro è bassissimo (paesi dell’est e del sud est asiatico) grazie al fatto che ai lavoratori non vengono garantiti nemmeno i minimi diritti sindacali e retributivi, per non parlare poi della totale assenza di misure di sicurezza sul lavoro, o altra piaga dolente, lo sfruttamento del lavoro minorile…(ricordate tutti il caso dei piumini Monclare…).

E’ quello che si chiama effetto dumping, cioè produrre laddove i costo è basso e rivendere il prodotto finito a prezzi esorbitanti in occidente, alienazione umana prima ancora che sociale.

Per non parlare di fatti recentissimi e molto vicini a noi territorialmente…(locale del catanzarese…ragazza retribuita 2/3 euro all’ora…e pure maltrattata perché a detta del titolare…era pure retribuita abbastanza….la cronaca è facilmente rintracciabile sul web…info di qualche settimana fa….il fatto si commenta solo).

Il lavoro per come lo conosciamo oggi è il risultato di sviluppi durati decenni, possiamo dire che abbraccia due momenti storici basilari, quello afferente il periodo antecedente allo Statuto dei lavoratori[7] e quello successivo ad esso.

Il primo periodo è rappresentato da modalità lavorative prive di garanzie sia retributive che occupazionali, il secondo da finalmente ai lavoratori quegli strumenti di tutela degni di una società civile, tutele sia processuali ma soprattutto sui luoghi di lavoro.

Non mancano periodi in cui il fantomatico art. 18 legge 300/70, non sia costantemente attaccato da una pletora di politicanti asserviti ad imprenditori senza scrupoli e senza coscienza….Guarda caso, al contrario le aziende quelle vere, che per fortuna ancora esistono e resistono (sono quelle che inseriscono nella propria mission il Welfare di secondo livello, sono quelle che comprendono che gli obbiettivi aziendali sono prima che societari, sociali!! Sono quelle aziende che premiano il collaboratore, e credono nel cd contratto psicologico).

Questo risultato però parte da una base, dal rispetto del contratto collettivo (espressione massima delle relazioni industriali e della sociologia del lavoro), strumento che fa si che il singolo lavoratore possa essere rappresentato in modo massivo senza sudditanza rispetto alla non simmetrica posizione del potere datoriale.

Diamo uno sguardo a quello che sta accadendo oggi. Il settore produttivo in Italia è quasi scomparso…sono pochi quelli che ancora credono nell’azienda di olivettiana memoria…. Tutto è prodotto altrove e in modo anche paradossale, si pensi alle confetture raccolte in Argentina, confezionate in Thailandia e poi vendute ai consumatori negli Stati Uniti….follia pura!!!!

Sempre ovviamente in nome del profitto.

Sarebbe consigliabile la lettura nelle scuole del testo di Max Weber “L’etica protestante e lo spirito capitalistico”, aiuterebbe molto la comprensione del periodo che stiamo vivendo.

Poi abbiamo il cd nuovo lavoro…quella della new economy… siamo diventati di fatto una società basata solo sui servizi…Il settore che in % ha più occupazione è quello del settore dei contact center, abbiamo città che di fatto campano solo di call center…(Crotone per esempio) a grave rischio sociale e occupazionale.. Settori questi che consentono lo smart working o forse sarebbe più corretto definirlo home working.

Proprio il settore dei call center è stato al centro di un interessantissimo libro[8] che fotografa in modo oggettivo la realtà calabrese. In esso si fa una analisi storica e sociale del fenomeno (Catanzaro viene definita la Bangalore del sud), che oggi come previsto, attraversa una profonda crisi di tenuta occupazionale.

Ricorda De Masi, che già in altri paesi europei si sta sperimentando la settimana corta, lavorare meno e lavorare smart. Si dà più attenzione al tempo libero, si crea più occupazione, più spazio vitale. Che il lavoro sia tutto nella vita è un concetto appartenente alle vecchie generazioni, che quindi dobbiamo avere il coraggio di lasciarci alle spalle.

Il sociologo afferma che il dover impostare la propria vita, gli studi e le aspirazioni solo in funzione dell’impiego che si spera un giorno di svolgere sia una visione fallace e menzognera della realtà stessa. In Europa abbiamo una strutturazione delle politiche molto diversificata, così accade che, mentre in Spagna le politiche del Governo da poco varate vanno in direzione di ridurre drasticamente il precariato (con enorme successo economico e sociale), attribuendo al lavoro quel valore sociale e storico che gli appartiene, in Italia ci si accinge a spingere verso la demolizione delle tutele occupazionali.

Sarà, come scriveva a suo tempo Gino Giugni (padre dello statuto dei lavoratori) un autunno caldo, nubi oscure ed inquietanti si addensano all’orizzonte.



  

[1] Russel B. – Elogio dell’ozio – Longanesi editore – Milano 2004

[2] Soda G. Licenziamento e valore – Economia e Management- 2002

[3] Aris Accornero – Era il secolo del lavoro – il Mulino 2000

[4] Film Tempi moderni - Charlie Chaplin.

[5] Raoul Claudio Nacamulli – Capacità organizzative - Etas

[6] Jeremy Rifkin – La fine del lavoro – Mondadori 2002

[7] Legge 300/1970

[8] Federico Rubini – Noi siamo la rivoluzione - Mondadori


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