Botros 3 - Il senso della vita ha bisogno di essere riflettuto con meditazione 

Botros 3 - Il senso della vita ha bisogno di essere riflettuto con meditazione 

Jessica Mauro (https://t.me/BotrosGiornale) [Art. 7 agosto 2022]

Fin dagli albori della sua creazione, l’uomo si è sempre interrogato sul senso della vita. Perché siamo nati? Qual è il nostro scopo su questa terra? Come dobbiamo condurre la nostra vita.. ed altre centinaia di domande sul senso del nostro essere sulla Terra hanno sempre pervaso il pensiero dell’Uomo.

Il senso della vita, è un tema ricorrente in filosofia. Secondo la filosofia greca il senso della vita va ricercato nella filosofia stessa come discorso e modo del vivere; emblematica, a questo proposito, è la figura di Socrate, a cui Platone attribuisce questo aforisma:

Il senso dell’esistenza, per Socrate, è riconoscere che l’essenza della natura umana sta nella sua psyché, ossia nella sua anima, nel suo cervello, e quindi in ciò che permette all’uomo di diventare “buono” o “cattivo”. Egli deve occuparsi soprattutto della sua anima in modo che essa diventi “migliore il più possibile”.

I comportamenti etici non nascono dai beni materiali ma dalla virtù, sottoponendo ad analisi interiore se stesso e gli altri in una ricerca continua. Una vita senza ricerche infatti, per Socrate, “non è degna per l’uomo di essere vissuta”.

Anche la filosofia ellenistica indica la strada dell'«imparare a vivere». Per Zenone di Cizio, fondatore dello stoicismo:

Zenone accennava ad una sola e superiore saggezza, il riconoscimento del logos. Riteneva che il logos fosse sempre esistito ma che gli uomini non lo avessero sempre riconosciuto, anche se sapevano che tutto ciò che avveniva, avveniva secondo Logos.

Egli era solito osservare:

<<C'è soltanto una saggezza: comprendere la scienza dalla quale tutte le cose sono governate...L'intelligenza è comune a tutte le cose; coloro che parlano con intelligenza debbono aderire più fortemente a ciò che è comune a tutte le cose...Benché il Logos sia universale, la maggior parte degli uomini vive come se avesse una intelligenza propria...per questo gli uomini sono in disaccordo con il Logos, anche se esso è il loro costante compagno.>>

Nel Medioevo viene data una risposta al senso della vita tramite il Cristianesimo. Nel Medioevo il mondo è cambiato: il Cristianesimo si è affermato come la religione predominante in Europa. Secondo il Cristianesimo l’esistenza era governata dai dettami di un’entità superiore chiamata Dio. Questo, tramite i suoi messaggeri e suo figlio Gesù, si era fatto conoscere agli uomini e aveva dato delle regole di comportamento che, se seguite, potevano condurre in un posto migliore. Il senso della vita era quello di raggiungere il paradiso il luogo al quale tutti aspiravano, per questo l’esistenza doveva essere vissuta in un certo modo, seguendo regole ferree e sottoponendosi a privazioni.

 La forza che spinge ad agire in questo modo si chiama fede, una fiducia in ciò che viene professato, tanto che non occorrono prove concrete per sapere che dopo la morte esista davvero un posto migliore dove tutti andremo. Questo concetto per anni e anche attualmente risponde in modo alla domanda: qual è il senso della vita.

 


All’interno del vasto panorama filosofico del Seicento, il pensiero di Cartesio (1596-1650) rappresenta probabilmente l’esperienza più significativa. Tra i molti meriti del filosofo francese, il fondatore del razionalismo, al quale si fa risalire inoltre la nascita della filosofia moderna, quello di aver suscitato una serie di pensieri, e dunque di pensatori, a lui affini oppure opposti.

Tra i filosofi a lui opposti, spicca Blaise Pascal (1623-1662), illustre precursore dell’esistenzialismo.

«Non so chi mi abbia messo al mondo, né che cosa sia il mondo, né che cosa io stesso. Sono in un’ignoranza spaventosa di tutto. Non so che cosa siano il mio corpo, i miei sensi, la mia anima e questa stessa parte di me che pensa quel che dico, che medita sopra di tutto e sopra se stessa, e non conosce sé meglio del resto. Vedo quegli spaventosi spazi dell’universo, che mi rinchiudono; e mi trovo confinato in un angolo di questa immensa distesa, senza sapere perché sono collocato qui piuttosto che altrove, né perché questo po’ di tempo che mi è dato di vivere mi sia assegnato in questo momento piuttosto che in un altro di tutta l’eternità che mi ha preceduto e di tutta quella che mi seguirà. Da ogni parte vedo soltanto infiniti, che mi assorbono come un atomo e come un’ombra che dura un istante, e scompare poi per sempre. Tutto quel che so è che debbo presto morire; ma quel che ignoro di più è, appunto, questa stessa morte, che non posso evitare».

Per Pascal, come per Cartesio, il problema fondamentale sul quale si deve concentrare l’indagine speculativa riguarda il senso della vita. È quanto emerge da alcune celebri pagine tratte dai suoi Pensieri (1669), appunti che avrebbero dovuto comporre una ben più ampia opera intitolata Apologia del Cristianesimo, in realtà mai realizzata a causa della prematura morte dell’autore: in una dimensione esistenziale colma di punti interrogativi, al centro della quale domina una sola certezza, la morte, Pascal rivendica l’assoluta importanza dello studio dell’uomo.

Non si può prescindere da ciò, e tutto il resto non è che «svago», «esercizio intellettuale», «inutile curiosità».

Il filosofo francese considera l’uomo, e dunque la vita, come una sorta di mistero, o meglio, di enigma, la cui soluzione non può essere rappresentata che dalla fede. In tal senso, lo scopo di Pascal è dimostrare come il cristianesimo sia l’unico mezzo attraverso il quale sciogliere l’eccezionale rompicapo. Solamente tramite la fede si può giungere alla risoluzione del problema fondamentale, come abbiamo già visto, quello relativo al senso della vita.

Pascal si rivolge al libero pensatore miscredente caratteristico della propria epoca, sforzandosi di dimostrandogli con la massima chiarezza la logica e la sensatezza della soluzione cristiana in merito alla questione esistenziale.

Quello di Pascal è un pensiero decisamente religioso, e questo perché egli fu animato da una vocazione cristiana, esplosa in seguito ad una improvvisa illuminazione la cui testimonianza il filosofo portava cucita nel proprio vestito.

Una piccola pergamena, un breve scritto datato 23 novembre 1654 e denominato Memoriale, che segna la svolta decisiva all’interno della vicenda biografica, e dunque il filosofo usa l’espressione “divertissement”, in senso etimologico “distrazione”, “diversione” e, poi, “divertimento”, per indicare quella sorta di stordimento di sé, di fuga da sé che l’uomo mette in atto, dedicandosi alle più diverse occupazioni quotidiane, il gioco, il lavoro, gli intrattenimenti sociali, per esorcizzare l’angoscia che deriverebbe dal meditare sulla sua precarietà creaturale e per distogliere la mente dalle domande essenziali dell’esistenza.

Ecco le significative parole di Pascal:

“Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno risolto, per vivere felici, di non pensarci. Da qui una continua tensione non tanto per possedere, accumulare cose, ma a causa della loro perenne ricerca, senza riuscire a vivere mai il presente in tutta la sua pienezza, anzi essendo sempre abitati in modo lacerante dalla noia che svela la nostra strutturale condizione di esseri contingenti, finiti, privi di effettiva autosufficienza.

Questa continua attesa del futuro, che invece che essere preparato nel presente viene quasi battuto sul tempo, consumato voracemente ancora prima che accada, “vampirizzato”, fa dire con amarezza a Pascal: “Ciascuno esamini i propri pensieri: li troverà sempre occupati dal passato e dall’avvenire. Non pensiamo quasi mai al presente, o se ci pensiamo, è solo per prenderne lume al fine di predisporre l’avvenire. Il presente non è mai il nostro fine; il passato e il presente sono i nostri mezzi; solo l’avvenire è il nostro fine”.

Ma questa continua fuga da noi stessi, da quel che siamo, dalle domande ultime che dovrebbero abitarci in tutta la loro fecondità, questa continua “distrazione” della nostra anima finisce solo per impedirci di vivere veramente.

Leggiamo ancora Pascal in quest’ultima illuminante riflessione:

“Così, non viviamo mai, ma speriamo di vivere, e, preparandoci sempre ad essere felici, è inevitabile che non siamo mai tali”.

 


Dunque la concezione di divertimento del filosofo Pascal è molto vicina alla nostra situazione storica, soprattutto in estate quando aumenta il desiderio di ferie e di riposo, desiderio di cambiare le abitudini quotidiane e la solita routine con tanta voglia di evasione e di divertimento.

A volte il dolce far niente è una delle maggiori ambizioni per gli uomini.Pascal usa l’espressione divertissement, in senso etimologico “distrazione” e, poi, “divertimento”, per indicare una sorta di stordimento personale, di fuga da sé. Tale divertissement si concretizza attraverso la dedizione alle più svariate attività quotidiane per esorcizzare l’angoscia che deriverebbe dal meditare sul proprio limite creaturale e sulla propria condizione di precarietà esistenziale.

In epoca moderna, l'esistenzialismo indaga la problematicità del senso della vita, soprattutto in relazione al nichilismo.

Søren Kierkegaard, nella sua critica alla vita estetica, afferma:

«Chi scorge nel godimento il senso e lo scopo della vita, sottopone sempre la sua vita a una condizione che, o sta al di fuori dell'individuo, o è nell'individuo, ma in modo da non essere posta per opera dell'individuo stesso».

Tuttavia, la realizzazione dell'individuo è rivendicata anche da Oscar Wilde, massimo esponente dell'estetismo, che scrive:

«Lo scopo della vita è l'autosviluppo. Sviluppare pienamente la nostra individualità, ecco la missione che ciascuno di noi deve compiere».

In polemica col razionalismo, Fëdor Dostoevskij esorta:

«Ama la vita più della sua logica, solo allora ne capirai il senso».

Nell’epoca moderna e contemporanea, cioè quella che stiamo vivendo, non c’è una sola teoria che dà un riscontro certo alla domanda: qual è il senso della vita?
Ci sono stati vari movimenti, sia religiosi che filosofici, che hanno provato a dare un’unica risposta ma questa è risultata sempre frammentata a causa delle molteplici interpretazioni. L’unico elemento in comune è la centralità dell’uomo: tutte le teorie che portano a una risoluzione del quesito essenziale quindi partono da te.

La risposta è dentro di noi e non è detto che sia la stessa per tutti: chiesta a persone o in momenti differenti il concetto che darà una vera compiutezza alla tua vita può cambiare: è legato a credenze religiose quindi a un’entità superiore che ti ricompenserà per le buoni azioni svolte.

La psicologia individuale di Alfred Adler vede nella domanda sul senso della vita un'aspirazione dell'uomo alla perfezione. Secondo Adler non importa da dove veniamo o quali siano i traumi che abbiamo vissuto in passato.

La vita di tutti noi è una pagina bianca che possiamo scrivere e riscrivere come vogliamo, specialmente se prendiamo piena coscienza dei motivi per cui facciamo quello che facciamo. Per molti, il senso della vita sta in una continua evoluzione, in un cercare di andare avanti nel lavoro, nella famiglia e nelle relazioni. Alla base di questa intenzione c’è la volontà di potenza, ovvero la voglia di superare sé stessi e il proprio innato senso di inferiorità.

Praticamente, tutti hanno dei motivi per sentirsi inferiori e per voler essere speciali. Quando, per esempio, si guarda al comportamento problematico di alcuni adolescenti o anche adulti, si noterà che alla radice dei loro comportamenti c’è sempre una viscerale voglia di attenzione, di essere amati. Questa tipologia di persone prova a ottenere la propria superiorità nel modo più semplice possibile, ma facendolo finiscono per fare del male a sé stessi o agli altri. Il modo migliore per superare il proprio senso di inferiorità ed essere amati è, invece, seguire i passaggi necessari a ogni percorso di crescita personale.

Nella psicologia Adleriana il primo passo per scoprire il vero senso della propria vita sta nell’auto-accettazione, in quello che lui stesso definisce come “il coraggio di essere normali”. C’è nel mondo chi equipara l’essere normali al non avere nessun valore o abilità particolari. Per Adler, invece, l’accettazione della normalità conduce alla grandezza e al trovare la propria unicità… e il motivo è abbastanza semplice:

Quando non accettiamo chi siamo finiamo per posporre la felicità al momento in cui saremo diversi e così facendo impediamo a noi stessi di scoprire quali sono le nostre vere inclinazioni. Paradossalmente, accettare chi si è e la propria situazione attuale, anche se negativa e insoddisfacente, è il primo passo per cambiare.

Pertanto il senso della vita rimane un mistero, come pensiero di molti filosofi e teologi storici e moderni, l’uomo coglie il senso della vita solo dopo la morte.

A mio avviso, la vita, secondo la concezione cristiana, va vissuta nello spirito cristiano di correttezza morale e aiuto verso il prossimo. La vita è un dono di Dio e bisogna onorarla come tale, seguendo i suoi comandamenti che aiutano ad essere in pace con se stessi e con gli altri ma allo stesso tempo onorandola anche mediante il lavoro, la comunione e i rapporti di amicizia con il prossimo, sapendo di essere di passaggio su questa Terra, nella fede di una vita nel regno dei Cieli, e pertanto cercando di fare il meglio non solo per se ma soprattutto per gli altri.

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