Botros 20 - La Luna e i Falò

Botros 20 - La Luna e i Falò

Giovanna Moscato https://t.me/Giovymos [Art. 7 Gennaio 2024]
C’è una ragione perché sono tornato in questo paese, qui e non invece a Canelli, a Barbaresco o in Alba. Qui non ci sono nato, è quasi certo; dove son nato non lo so; non c’è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa ch’io possa dire «Ecco cos’ero prima di nascere».
Incipit del romanzo “La Luna e i Falò” di C. Pavese


Dovrebbe essere assolutamente naturale perseguire la pace in tutte le sue forme e manifestazioni, in quanto rappresenta, o dovrebbe rappresentare il fine ultimo della vita quotidiana di ciascuno. Cosa sarebbe la vita se essa fosse caratterizzata da una lotta continua con il fratello, il vicino, il datore di lavoro…Quanta energia andrebbe sprecata nell’odio e nel rancore, e se allarghiamo lo sguardo verso un orizzonte più vasto è ancora più terribile il coinvolgimento dei popoli in guerre che altro non sono che lotte di potere.

Il risultato è la cancellazione di un numero elevato di vite umane in una sorta di follia collettiva. In nome di un ideale religioso si combattono guerre senza senso in cui vengono commesse le peggiori atrocità, oggi come ieri. Chi vive l’esperienza di una guerra ne esce irrimediabilmente devastato.

Basta leggere il romanzo di Cesare Pavese “La Luna e i falò”, scritto nell’immediato dopoguerra e pubblicato nel 1950. Il protagonista è Anguilla, nonché narratore della storia, che torna nel suo paese sulle colline piemontesi a distanza di molti anni. Il ritorno è determinato da una forte nostalgia verso la terra natale alla quale l’autore guarda come ad un luogo mitologico, benchè in tutto il libro fino alla fine del romanzo serpeggi un sentimento di estraneità, di mancanza di radici vere in quanto il protagonista non sa da dove venga. Anguilla era partito per le Americhe prima dello scoppio della seconda guerra mondiale durante la quale aveva militato tra i partigiani.

L’autore in un continuo salto temporale dal passato al presente e viceversa, fa sì che Anguilla rievochi i tempi dell’ infanzia e dell’ adolescenza insieme al suo vecchio amico falegname Nuto, che non ha mai lasciato il paese natio.


Anguilla inizia il suo racconto da quando era stato abbandonato all’ingresso del Duomo di Alba e viene così adottato da una famiglia di povera gente formata da Padrino, Virgilia e le due figlie e, grazie all’adozione del Trovatello ricevono cinque lire dallo Stato per il suo mantenimento.

L’equilibrio precario di Anguilla viene stravolto dalla morte di Virgilia, la perdita della vigna della famiglia e così Padrino è costretto a vendere la casa in cui vivono.

Anguilla per sopravvivere va a lavorare presso la fattoria dei Mora dove stringe un forte legame con le figlie del proprietario. Anguilla spinto dai ricordi ritorna a visitare la casa in cui era cresciuto. Qui vive una famiglia in cui il padre violento in un eccesso d’ira uccide la famiglia e poi si suicida.

La guerra di cui parla Pavese più che essere una realtà concreta ha un valore simbolico, infatti attraverso la guerra esprime la sua visione tragica della realtà dominato dalla distruzione e condannato alla tragedia.

Pavese va alla ricerca di un passato mitico legato all’infanzia, che si scontra, però, con le distruzioni della guerra, una guerra vissuta e raccontata da Nuto che ha visto trasformare il paese. Cambiano i luoghi, le abitudini ma ciò che rimane sempre nella sua immutabile ineluttabilità è l’anelito non alla pace ma alla guerra.

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