Botros 18 - La famiglia e gli affetti secondo filosofi

Botros 18 - La famiglia e gli affetti secondo filosofi

Jessica Mauro (https://t.me/BotrosGiornale) [Art. 1 Ottobre 2023]

Platone e Aristotele dobbiamo sapere hanno proposto visioni radicali sulla famiglia, che hanno influenzato il dibattito sull'argomento nella filosofia occidentale.

Platone ha fornito i suoi pensieri sulla famiglia sia nella "Repubblica", la sua opera più influente, sia nelle "Leggi". Devono essere una famiglia solo di nome; o saranno fedeli al nome in tutte le loro azioni?

Per esempio, nell'uso della parola "padre", sarebbe implicita la cura di un padre e la riverenza filiale, il dovere e l'obbedienza a lui che la legge comanda; e il trasgressore di questi doveri deve essere considerato una persona empia e ingiusta che non riceve molto bene né da Dio né dall'uomo? Devono essere o non essere queste le tensioni che i bambini sentiranno ripetere nelle loro orecchie da tutti i cittadini su coloro che sono loro intimati di essere i loro genitori e il resto dei loro parenti?

– Questi, disse, e nessun altro; perché cosa c'è di più ridicolo che pronunciare i nomi dei legami familiari solo con le labbra e non agire secondo il loro spirito? —
"Repubblica, libro V"
.

Quando queste abitazioni più grandi sono cresciute da quelle originarie minori, ciascuna di quelle minori sarebbe sopravvissuta in quella più grande; ogni famiglia sarebbe sotto il dominio dei primogeniti, e, per la loro separazione l'una dall'altra, avrebbe costumi peculiari nelle cose divine e umane, che avrebbero ricevuto dai loro diversi genitori che li avevano educati ; e queste usanze li porterebbero all'ordine quando i genitori avessero l'elemento dell'ordine nella loro natura, e al coraggio, quando avevano l'elemento del coraggio. E naturalmente imprimerebbero sui loro figli, e sui figli dei loro figli, le proprie simpatie; e, come stiamo dicendo, avrebbero trovato la loro strada nella società più ampia, avendo già le loro leggi peculiari.

Anche Aristotele fece osservazioni sulla famiglia, sia nel "Trattato sul governo" che in "Politica". Quindi è evidente che una città è una produzione naturale, e che l'uomo è naturalmente un animale politico, e che chiunque è naturalmente e non accidentalmente inadatto alla società, deve essere o inferiore o superiore all'uomo: così l'uomo in Omero, che è insultato per essere "senza società, senza legge, senza famiglia".

— Un tale dev'essere naturalmente di carattere litigioso e solitario come gli uccelli. — "Trattato sul governo".

D'altronde, la nozione di città precede naturalmente quella di famiglia o di individuo, poiché il tutto deve essere necessariamente anteriore alle parti, perché se togli l'uomo intero, non puoi dire che resti un piede o una mano, a meno che per equivoco, come supporre che venga fatta una mano di pietra, ma quella sarebbe solo morta; ma tutto è inteso come questo o quello per le sue qualità e poteri energetici, così che quando questi non rimangono più, non si può nemmeno dire che sia lo stesso, ma qualcosa con lo stesso nome.

Che poi una città preceda un individuo è chiaro, perché se un individuo non è in sé sufficiente a comporre un governo perfetto, sta a una città come le altre parti stanno a un tutto; ma colui che è incapace della società, o così completo in sé stesso da non volerla, non fa parte di una città, come una bestia o un dio.
- "Un trattato sul governo".

D'altronde, la nozione di città precede naturalmente quella di famiglia o di individuo, poiché il tutto deve essere necessariamente anteriore alle parti, perché se togli l'uomo intero, non puoi dire che resti un piede o una mano, a meno che per equivoco, come supporre che venga fatta una mano di pietra, ma quella sarebbe solo morta; ma tutto è inteso come questo o quello per le sue qualità e poteri energetici, così che quando questi non rimangono più, non si può nemmeno dire che sia lo stesso, ma qualcosa con lo stesso nome.

Secondo Hegel la famiglia è il primo momento dell’eticità, cioè della condivisione oggettiva di valori morali.

” L’eticità nel suo momento “immediato” e “naturale”; è la prima forma della negazione dell’individuo in quanto tale: ciò che era “due” diventa oggettivamente “uno”; è la sintesi che trasforma - senza perderli - l’uomo e la donna in un legame indiviso e indivisibile (la sintesi hegeliana non è un processo reversibile), in “un’unica persona”.

Lo spirito etico, nella sua immediatezza, contiene il momento naturale, che cioè l’individuo ha la sua esistenza sostanziale nella sua universalità naturale, nel genere. Questa è la relazione dei sessi, ma elevata a determinazione spirituale; è l’accordo dell’amore e la disposizione d’animo della fiducia; lo spirito, come famiglia, è spirito senziente. La differenza naturale dei sessi appare come una differenza della determinazione intellettuale ed etica.

Queste personalità si congiungono, secondo la loro individualità esclusiva, in una sola persona; e l’intimità soggettiva, determinata come unità sostanziale, fa di questa riunione una relazione etica: il matrimonio.

L’intimità sostanziale fa del matrimonio un legame indiviso delle persone e quindi matrimonio monogamico. L’unione corporale è conseguenza del legame eticamente annodato. La conseguenza ulteriore è la comunanza degli interessi personali e particolari. La proprietà della famiglia, come di una unica persona, mediante la comunione nella quale stanno rispetto alla proprietà i diversi individui che compongono la famiglia, acquista un interesse etico; e cosí anche l’industria, il lavoro e la previdenza.

L’eticità, collegata con la generazione naturale dei figli - e che era stata posta come primaria nello stringere il matrimonio - si realizza nella seconda nascita dei figli, cioè nella loro nascita spirituale: l’educazione di essi a persone autonome. Mediante questa autonomia, i figli escono dalla vita concreta della famiglia, cui originariamente appartengono: diventano esseri per sé, destinati per altro a fondare una nuova famiglia reale.

Il matrimonio si scioglie essenzialmente in forza del momento naturale, che è la morte dei coniugi; ma anche l’intimità, in quanto è mera sostanzialità di sentimento, è sottoposta al caso e alla transitorietà. A cagione di questa accidentalità, i membri della famiglia assumono tra loro la condizione di persone; e in tal modo soltanto entra in questo legame ciò che in sé gli è estraneo: le determinazioni giuridiche.

Una definizione questa di Hegel che dà ragione della contrapposizione che emerge sempre più netta, nel corso del XX secolo, tra Famiglia/Stato, istituzioni basate sul legame sociale e caratterizzate dalle virtù politiche che fondano la “vita buona” aristotelica, da una parte, e il binomio Individuo/Mercato, tanto caro alla Forma Capitale, dall'altra.

Una contrapposizione che si manifesta pienamente ai nostri giorni, nel XXI secolo, ove l'orizzonte del mondo è ormai dominato dal Mercato e dalle infinite possibilità della Tecnica: l'individuo diventa il fulcro, il centro di una concezione della società in cui il Politico arretra davanti al diritto soggettivo assoluto, diritto soggettivo che viene coniugato -nei rapporti con lo Stato- con le stesse pretese di oggettività delle leggi del Mercato stesso.

Osserva a tal proposito Alain de Benoist che “nell'immaginario dei nostri contemporanei, la famiglia appare oggi come un valore rifugio. La società moderna ha infatti espulso dalla vita quotidiana tutto ciò che una volta mobilitava l'attenzione per l'altro. L'ideologia liberale ha stimolato rapporti sociali fondati sulla ricerca dell'efficienza e della redditività, della competitività e del profitto.

Di conseguenza i valori famigliari appaiono come l'esatto contrario dei valori sociali [attuali]: in casa propria bisogna dar prova d'amore, gentilezza, disinteresse; all'esterno bisogna battersi contro gli altri, conquistare posti, vendere e comprare senza sentimentalismi.

Il 'bisogno crescente di famiglia' di cui parlano i sociologi non ha altra spiegazione – visto che a causa della crisi economica, la famiglia dimostra di essere una notevole rete di solidarietà. […].

Ed è un dato confermato dal sociologo Ilvo Diamanti: ad oggi, in un contesto di persistente crisi economica, la famiglia nonostante sia sottoposta a tensioni demografiche, etiche, organizzative da passaggio d'epoca, è considerata da circa il 90% degli italiani come il riferimento più affidabile: “se i giovani non si ribellano, pur navigando a vista, tra disoccupazione e precarietà, affrontando cicli scolastici e universitari dagli sbocchi sempre più incerti, è perché la famiglia li protegge.

Per il futuro professionale: i giovani contano sull'aiuto dei parenti e dei familiari (per il 40% di loro, il fattore di successo nel lavoro più importante: indagine la Polis per Coop Adriatica, dicembre 2009).

Gli stessi imprenditori, per affrontare il passaggio di generazione preferiscono "mantenere la proprietà e la gestione dell'azienda all'interno della famiglia".

Come sostiene il 47% del campione intervistato quest'anno nell'ambito di una ricerca per Confindustria (Demos, gennaio 2010). Un anno prima la pensava in questo modo il 29%. La crisi, evidentemente, ha rafforzato i legami più stretti. Anche perché il mondo della finanza e dei manager, diciamolo pure, non ha dato grande prova di sé in questi tempi.

La famiglia. Di fronte al ridursi della spesa pubblica, ha aumentato il suo ruolo di welfare alternativo e sostitutivo rispetto allo Stato. Continua ad assumersi il peso principale nell'assistenza agli anziani [...]. Ma resta anche la principale rete di sostegno ai più giovani. Ai figli, che restano in casa sempre più a lungo; fin oltre i trent'anni. Anche se sono sempre di passaggio: fra studio, lavoro precario, stage, esperienze all'estero”Ed oggi, con la disoccupazione giovanile che ha superato quota 40% l'assunto è quasi un dogma.

Questa opinione viene condivisa dal filosofo Mario Tronti:

“Nonostante il deterioramento generale, in Italia la famiglia è riuscita a reggere l’urto, impedendo l’esplosione di conflitti sociali che restano latenti. Va in questa direzione la permanenza dei giovani in casa, dove le istanze di rivolta vengono in qualche modo smorzate. Sì, la famiglia funziona ancora come piccola impresa economica”, ma con una chiosa: “non sono altrettanto ottimista per quanto riguarda la formazione delle nuove generazioni. In questo ambito mi pare che il rumore di fondo proveniente dall’esterno abbia finito per prevalere, mettendo seriamente in discussione il ruolo educativo della famiglia”.

E lo stesso Tronti riconosce che la famiglia si pone, oggi, come alternativa, meglio: come contrappeso all'ideologia individualista, “che ormai ha sbaragliato anche il campo di quanti dovrebbero opporsi a ogni forma di sfruttamento, a ogni imposizione del mercato, alla crescente artificializzazione della vita.

La società "liquida", denunciata a suo tempo da Zygmunt Bauman, è ormai accettata e perfino elogiata come inoppugnabile dato di fatto in tutta la sua vaghezza e inconsistenza”. Ma la Storia, aggiungiamo noi, ci ha insegnato che la partita è ancora aperta.

Secondo Adler, il sentimento sociale è una potenzialità innata che deve essere stimolata per potersi sviluppare e può farlo solo all’interno del contesto sociale. Quest’ultimo è inteso come la percezione individuale e soggettiva del bambino rispetto alla società. Tale percezione deriva dal potere creativo del bambino che è guidato dall’ambiente e dall’educazione ricevuta ed è influenzato dalle esperienze corporee e dalla valutazione che ne dà.

Alla base del sentimento sociale è presente la capacità di identificazione. Questa capacità permette di instaurare rapporti di amicizia e di far fronte ai tre problemi vitali propri degli esseri umani (lavoro, inserimento sociale e amore) e può essere messa in atto solo insieme agli altri. Quando il sentimento sociale è sviluppato, la persona riesce a trovare soluzioni ai propri problemi, “[…] si sente a casa nel mondo, raggiunge sicurezza e coraggio e si avvicina anche il più possibile alla percezione reale delle cose.” (Ansbacher, 1956, pag. 169).

Inoltre, aiuta l’individuo a creare la propria aspirazione alla superiorità, permette di raggiungere le proprie mete e l’affermazione di sé e di adattarsi adeguatamente alla realtà. Oltre a ciò, media lo sviluppo di tutte le capacità dell’individuo e ha lo scopo di condurre tali capacità sulla “[…] strada giusta, senza limiti esterni e restrizioni poste al loro sviluppo.” (Adler A., Adler K., 1931, pag. 109).

Lo sviluppo del sentimento sociale inizia con la relazione primaria tra il bambino e la propria madre (o altro caregiver di riferimento). In tale relazione vi è una reciproca interazione, il bambino ricerca il soddisfacimento del bisogno di tenerezza che rappresenta l’anticipatore del sentimento sociale. Una madre che sappia rispondere in modo né troppo frustrante né troppo accondiscendente a tale bisogno sarà una madre (per dirla in termini winnicottiani) “sufficientemente buona”, che permetterà uno sviluppo adeguato del sentimento sociale del figlio e fornirà gli strumenti utili ad affrontare la realtà in autonomia.

Il sentimento sociale adeguato si sviluppa anche attraverso la coerenza tra lo stile materno e quello paterno. Secondo Adler, il padre dovrebbe non distanziarsi troppo dallo stile educativo materno, attraverso atteggiamenti troppo severi o al contrario troppo permissivi, ma collaborare con la madre nelle scelte educative. Così facendo il bambino avrà la possibilità di interiorizzare uno stile di cooperazione che potrà poi riprodurre nell’ambiente esterno alla famiglia, nella società e nelle relazioni con l’altro.

Adler, infatti, vede il matrimonio come un’associazione di due individui allo scopo di produrre mutuo benessere per la coppia, nonché benessere per propri figli e di conseguenza per la società.

L’immagine del matrimonio (o dell’unione/convivenza, come molto spesso accade nei giorni nostri) e dello stile di interazione dei genitori che viene rimandata al bambino avrà conseguenze sullo sviluppo del suo sentimento sociale.

Secondo Adler, la capacità del padre (e della coppia) di vivere sul lato utile della vita e la sua capacità di stringere relazioni amicali, farà sì che la famiglia prenda parte alla vita sociale e così facendo il bambino potrà giovare delle influenze esterne e gli verrà mostrata la strada verso il sentimento sociale e la cooperazione.

Anche i fratelli hanno un ruolo importante nello sviluppo del sentimento sociale e dello stile di vita dell’individuo. Tra fratelli, come tra i genitori, deve vigere il regime della cooperazione e questa dev’essere stimolata dai genitori fin da subito.

Secondo Adler, i primogeniti che non vengono adeguatamente preparati alla nascita di un fratellino o sorellina e che non vengono educati alla cooperazione potrebbero sviluppare un sentimento sociale inadeguato e/o disfunzionale.

Secondo Adler un ruolo importante per lo sviluppo del sentimento sociale è attribuito anche alla scuola. Secondo l’autore è necessario che a scuola i bambini vengano istruiti alla cooperazione e non alla competizione. Ciò risulta importante in quanto la competizione porta un interesse per sé e non per l’altro e quindi stimola la spinta alla superiorità sul lato non utile della vita. Al contrario, la cooperazione orienta verso l’altro e quindi sul lato utile della vita. La figura dell’insegnante ha un ruolo importante per lo sviluppo e il mantenimento del sentimento sociale. Questi, come la madre, “[…] deve legare il bambino a sé e aiutarlo. Tutto il futuro dipende dall’interesse che si riesce a suscitare in lui […]” (Adler A., Adler K., pag. 135).

Inoltre, deve rendersi conto di quali sono i problemi del bambino e tentare di porre rimedio agli errori educativi dei genitori, per poterlo fare l’insegnante per primo deve interessarsi dei propri alunni riconoscendoli nelle proprie differenze. Un altro suo compito è quello di stimolare la cooperazione dei bambini, questo perché educare alla cooperazione nell’infanzia è, per Adler, un fattore protettivo da nevrosi, alcolismo, crimine e suicidio in età adulta.

Anche il gruppo dei pari, soprattutto nel corso dell’adolescenza, ha un ruolo fondamentale perché con loro l’individuo allena il proprio sentimento sociale. È quindi anche nell’interazione con i pari, in tutte le fasi dello sviluppo, che l’individuo mette alla prova le capacità di cooperazione che ha appreso e interiorizzato e che danno corpo e sostanza al suo sentimento sociale.

Ma il sentimento sociale può svilupparsi in modo inadeguato?
Quali possono essere le cause e le conseguenze?

Secondo Adler, le cause di uno sviluppo disfunzionale o insufficiente di sentimento sociale si possono rintracciare in diversi eventi e situazioni. Per esempio, una malattia grave durante i primi cinque anni di vita può mettere il bambino al centro dell’attenzione e fargli percepire un’importanza tale da trasformarlo in un bambino viziato, non in grado di collaborare con il resto della famiglia. Ovviamente non tutti i bambini che hanno attraversato una malattia durante l’infanzia avranno sicuramente sviluppato un sentimento sociale disfunzionale, tutto dipende dall’approccio genitoriale.

Altri esempi sono riconducibili al ruolo del bambino all’interno della famiglia, alla sua posizione di nascita e al rapporto con i fratelli oppure alla presenza di conflitto e/o non collaborazione tra i genitori. Partendo dal presupposto che non è possibile trovare un individuo immune da fallimenti nella cooperazione e nel sentimento sociale, Adler specifica che nei criminali, nei nevrotici, negli psicotici e nei suicidi, tali fallimenti risultano più gravi e quindi generano conseguenze più importanti.

L’autore notò che lo scarso sviluppo del sentimento sociale aveva effetti negativi sulla percezione, sul ragionamento e sulla costituzione dei valori. Soprattutto nel nevrotico, la visione del mondo è centrata sulla propria persona e non si estende al di fuori. Le azioni e i ragionamenti hanno significato solo per l’individuo nevrotico, ma non ne hanno a livello di senso comune. Nel suo lavoro clinico, Adler osservò che i bambini che mettevano in atto comportamenti devianti (come piccoli furti o aggressività verso i coetanei) presentavano un sentimento sociale deficitario, che impediva loro di trovare un punto di contatto con l’altro e che li portava a vedere l’altro come un nemico da cui diffidare e verso cui essere privi di scrupoli.

Secondo Adler, la mancanza di sentimento sociale nel bambino si manifesta con sfumature diverse in base all’atteggiamento attivo o passivo nei confronti della vita.

Un atteggiamento passivo porta il bambino ad attendere che i propri desideri vengano esauditi dagli altri senza uno scambio reciproco, mentre un atteggiamento attivo porta a prendere ciò che desidera senza che gli venga offerto. Questo secondo atteggiamento rappresenta, per Adler, la struttura psichica di un individuo potenzialmente delinquente.

Nelle sue riflessioni sui criminali e sui suicidi Adler sostiene che queste persone presentino un insufficiente grado di sentimento sociale e di capacità di identificazione con l’altro. In entrambi i casi, essi si pongono mete di superiorità eccessivamente elevate che ricadono nel lato non utile della vita.

Nel criminale la lotta per il raggiungimento della meta di superiorità non La capacità di cooperazione è l’elemento che differenzia tra loro i vari criminali e che li porta a orientarsi verso crimini di diversa natura. Ciò che distingue i criminali rispetto ai nevrotici, agli alcolisti e ai suicidi è il grado di attività: i primi utilizzano ciò che resta della loro capacità di agire verso il lato inutile della vita ed eventualmente cooperando (in modo disfunzionale) con chi ritengono simile a loro, i secondi restano passivi e non riescono ad attuare nemmeno una minima forma di cooperazione include la cooperazione e quindi non risulta utile per la società.

Adler è arrivato a ritenere che sia possibile trovare individui con scarso sentimento sociale, ma non sia possibile trovare un uomo che sia completamente privo di sentimento sociale nemmeno tra i criminali. Ciò sarebbe dimostrato dal loro tentativo di giustificare il proprio stile di vita e di attribuire le responsabilità delle proprie azioni agli altri. Adler afferma che “Essi hanno perso il coraggio di procedere lungo il lato utile della vita e il loro complesso d’inferiorità gli suggerisce: «Perseguire il successo con la cooperazione non è cosa per te».
Per questo si sono allontanati dai veri problemi della vita e hanno intrapreso una lotta con le ombre per convincersi di essere forti.” (Ansbacher, 1956, pag. 280).

Un’altra caratteristica che Adler riscontra nei criminali, e che dimostra un fallimento del sentimento sociale, è la codardia. Questa, secondo l’autore, è il tentativo del criminale di imitare l’eroe, ma in realtà altro non è che un mezzo per evitare i problemi che non si sente in grado di risolvere ed è il risultato di un errato schema di percezione della realtà. Lo sviluppo insufficiente di sentimento sociale nei criminali ha le sue radici in un’educazione errata, secondo Adler vi sono due tipi di criminali: quelli che sono stati bambini deprivati e a cui non è stata data la possibilità di fare esperienza del sentimento comunitario e quelli che sono stati bambini viziati e che si sono ritrovati ad avere tutto ciò che desideravano senza il minimo sforzo, in modo quasi onnipotente, e che hanno quindi assimilato l’immagine di un ambiente e di persone da usare per i propri scopi.

Per concludere, il sentimento sociale orientato verso il lato utile della vita ha risvolti positivi non solo per l’individuo, ma per l’intera società ed è quindi fondamentale che venga stimolato e promosso fin dall’infanzia.

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