Botros 17 - Le sostanze psichedeliche

Botros 17 - Le sostanze psichedeliche

Caterina Scavo (https://t.me/CaterinaScavo) [Art. 1 Ottobre 2023]

Octavian Mihai ha solo 21 anni quando gli viene diagnosticato un linfoma di Hodgkin al terzo stadio; prima di iniziare le cure, il suo dottore lo informa su una statistica di morte di 2 ragazzi su 10 con la sua stessa malattia. Fortunatamente, Octavian sopravvive ma sviluppa una forte fobia sociale ed estrema ansia. Durante un controllo, il suo medico gli parla di uno studio clinico su pazienti oncologici che testava se la paura debilitante della morte potesse essere riformulata a livello cognitivo tramite la psicoterapia durante l’effetto di una sostanza psichedelica: la psilocibina, il principio attivo dei funghi allucinogeni.

Dopo poche somministrazioni la sua ansia sparì e anche dopo svariati mesi, Octavian affrontava le visite di controllo oncologiche con serenità, così come tutti gli altri ragazzi dello studio, riuscendo a percepire ancora quel senso di pace e sicurezza provati dopo la prima pillola.

Un risultato straordinario.

In un altro studio, pubblicato nel 2017 sull’American Journal of Drugs and Alcohol Abuse, un paio di dosi di psichedelici bastavano perché 2/3 dei fumatori ammessi alla ricerca smettessero di fumare per un anno: si tratta del trattamento più efficace per smettere di fumare mai studiato.


Come può l’uso limitato di sostanze psichedeliche avere effetti così marcati?
E soprattutto, cosa ci dice sulla nostra mente?

Un po' di storia…
Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’insospettabile Basilea, in Svizzera, divenne il luogo della prima esperienza LSD al mondo: il chimico ricercatore Albert Hoffman sintetizza questa sostanza per la prima volta e, notando la somiglianza strutturale con la serotonina, decide addirittura di testarla su sé stesso: essenzialmente funziona così, la sostanza entra in circolo e si lega ai recettori della serotonina nel cervello, conosciuta come l’ormone della “felicità”, alterando la percezione della realtà per un periodo dalle 3 alle 12 ore, in base alla dose e alle caratteristiche psico-fisiche della persona che la assume.

Si organizzò un programma di ricerca aperto, che offriva LSD-25 gratuitamente a qualsiasi ricercatore lo richiedesse.

Negli anni ‘60, l’LSD di Hoffman arriva per la prima volta negli Stati Uniti, all’Istituto Psichiatrico Spring Grove, dove il governo federale finanzia un trial per verificarne l’effetto sulle malattie mentali. Sotto la guida del direttore di ricerca Albert Kurland, Arthur King, un giovane alcolista, fu il primo a sottoporsi a questa terapia, ottenendo dei risultati preliminari promettenti: da quel momento, Arthur rimase sobrio e non avvertì più nessun desiderio di bere. Lo stesso direttore Kurland rimase colpito dai risultati, pur essendo consapevole del fatto che era necessaria ancora molta ricerca sull’uso dei questa sostanza come farmaco.


Tra gli anni ‘50 e ‘60 dello scorso secolo ci furono 6 conferenze internazionali sull’uso dell’LSD come farmaco, oltre alla pubblicazione di migliaia di articoli a riguardo, ma allora cosa è successo fino ad oggi?

Perché queste sostanze sono diventate così temute, che di fatto, si credeva fosse immorale somministrarle agli esseri umani?
La risposta è semplice, la cultura Hippy degli anni ‘60. L’uso spropositato e senza la guida di un clinico.

Ad un festival Hippy a San Francisco, un docente di Psicologia, Timothy Leary, incoraggiò la gioventù ad “accendersi, sintonizzarsi e abbandonarsi” alla sostanza, così potente da far espandere la consapevolezza oltre il proprio sé e oltre tutto lo scibile.


Presto le sostanze psichedeliche si legarono alla cultura Rock and Roll e non solo, anche al movimento contro la guerra in Vietnam, come unico modo di affrontare il dolore di questi avvenimenti.

Fu così che le sostanze psichedeliche diventarono una minaccia per il mondo adulto, con un inusuale consenso generale che portò alla demonizzazione di queste sostanze nei mass media, spinti dal presidente Richard Nixon, storicamente ricordato per le sue battaglie contro i cartelli sudamericani della cocaina. Fu proprio Nixon che inserì gli psichedelici nella categoria legale di droghe più pericolose al mondo, bandendole anche dall’uso medico.

Licenziò il dr. Stanley Yolles, direttore dell’Istituto Nazionale di Salute Mentale, per aver incoraggiato gli studi su queste sostanze, interruppe i fondi per la ricerca e fece arrestare Timothy Leary, che nel frattempo era diventato una celebrità psichedelica. Infine, “partorì” la famigerata DEA, la Drug Enforcement Administration, un’agenzia governativa per far rispettare le leggi antidroga (ma anche l’agenzia che decenni dopo uccise Pablo Escobar, ndr).


L’approvazione regolamentare divenne praticamente impossibile e video di propaganda avvertivano sui possibili rischi di danni cromosomici, danni al cervello, difetti congeniti, suicidi e psicosi, alimentando nei cittadini americani il terrore di queste sostanze, nonostante gran parte della ricerca indichi che in realtà non “spappolano” il cervello (Gable, 1993; Strassman 1984) e, sorprendentemente, non sono nemmeno tossiche e non danno dipendenza!

Chiaramente, nella propaganda di Nixon i rischi sono stati gonfiati, ma ricordiamo che, nei trial clinici, parliamo di sostanze pure e somministrate sotto la supervisione di un professionista specializzato, cosa ben diversa dagli psichedelici di strada, che possono contenere numerose sostanze nocive e altre droghe, come la metanfetamina, diventando un prodotto pericoloso.

Al giorno d’oggi, sono 184 i paesi, inclusa l’Italia, che hanno firmato la messa al bando ONU delle sostanze psichedeliche.


Ma come funziona un trattamento con le sostanze psichedeliche?

Mary Cosimano, Ricercatrice alla John Hopkins University, spiega come, sostanze come l’eroina, la cocaina e l’alcol tendano a dare un effetto quasi anestetizzante all’individuo, estraniandolo dal suo contorno. Nell’uso delle sostanze psichedeliche, avviene esattamente il contrario: queste sostanze infatti, stimolano l’introspezione e pongono l’individuo difronte alle sue problematiche esistenziali, “come la meditazione”!

Gran parte delle persone giudicano l’esperienza ad un anno di distanza come una delle più significative, anche a livello spirituale, della propria vita, questo anche grazie alle visioni fantastiche prodotte dalla sostanza, che possono comprendere immagini distorte, colori brillanti, musica e suoni.


Vi ricordate di Octavian Mich? Nella sua prima esperienza, la sua guida l’ha preparato rassicurandolo il più possibile, instaurando con lui un rapporto di fiducia e invitandolo a lasciare ogni suo timore fuori dalla stanza. L’ha bendato e ha riprodotto la “Suite n.2 in Re minore per violoncello solo” di Bach.

Quello che Octavian racconta a fine sessione è da pelle d’oca:

“… sono diventato quella musica, la mia mente si è fusa con Bach e sentivo i crini di cavallo dell’archetto sulla pelle, per poi entrare come una formica nei fori del violoncello e guardare fuori dallo strumento il buio totale, perché di questo parla la sinfonia… della morte… ma l’esperienza era così bella che mi ha fatto riconciliare con questa paura, in quel momento sono cambiato… ho razionalizzato la mia paura…”


Nel 2014 dei ricercatori mapparono quello che succede al cervello durante un “trip”, notando un aumento notevole delle connessioni neurali, con regioni che normalmente non comunicavano diventate comunicanti, ipotizzando che in questo periodo di interconnessione estrema ci sia del potenziale per rompere dei legami maladattivi e formulare nuove connessioni utili per il paziente.


La metafora che guida l’ipotesi è questa: immaginate il vostro cervello come un monte innevato, dove i nostri pensieri quotidiani, come slitte, anno dopo anno scavano sempre di più dei percorsi che determinano i nostri comportamenti e sentimenti; è difficile andare fuori pista.

Le sostanze psichedeliche funzionano in questa metafora come la neve fresca, che si posa sui sentieri già scavati negli anni e permette alle slitte di scavare nuovi percorsi, ovvero nuove connessioni funzionali. Questo può voler dire cambiare comportamenti radicati, come l’alcolismo e la dipendenza da nicotina, ma anche intervenire su patologie legate ai pensieri, come la depressione e l’ansia, che fanno bloccare l’individuo in spirali interminabili, incartato su un’idea sbagliata del sé.

La strada perché queste sostanze siano prescritte al di fuori degli studi è ancora lunga, e certamente sono necessari ulteriori studi, ma ciò che è innegabile è l’unicità dei primi risultati a livello globale, nei giusti ambienti, sotto la supervisione di un clinico e con il consenso e la volontà di cambiare del soggetto, più di qualsiasi altro composto sintetico mai scoperto nella storia della Medicina.

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