Botros 12 - La nuova primavera in filosofia

Botros 12 - La nuova primavera in filosofia

Jessica Mauro (https://t.me/BotrosGiornale) [Art. 7 Maggio 2023]

La nuova primavera in filosofia ai tempi di Bacone e Cartesio

Se la problematica relativa alla natura e al metodo del conoscere non è una novità per la tradizione filosofica, è solo con la filosofia moderna che acquista un'assoluta centralità per l'emergere di nuove esigenze conoscitive, legate agli sviluppi tecnici e scientifici del sapere. È questo il problema del metodo, cioè di un insieme di criteri e di regole che permettano un uso corretto delle facoltà conoscitive dell'uomo al fine di raggiungere un elevato grado di certezza, che si afferma prepotentemente nel pensiero moderno a partire dalla riflessione di Francesco Bacone e di Cartesio.

In particolare sono le matematiche e la geometria, per la loro chiarezza e rigorosità, il modello metodologico privilegiato a cui ispirarsi per una riforma del metodo del conoscere. Bacone imputa ai classici e ai pensatori moderni di aver sostituito la pratica e l'invenzione libresche alla diretta consultazione del gran libro della natura. Pertanto Bacone propone nel Novum organum un nuovo metodo di indagine, articolato in quattro fasi: La liberazione dai fantasmi illusori degli "idoli", cioè dai falsi concetti che ottenebrano la mente umana.

Essi sono:

  • gli idoli della tribù, che hanno origine dalla stessa natura umana e dalle sue facoltà;
  • gli idoli della caverna, che variano da individuo a individuo e sono prodotti dal temperamento, dall'educazione, dalle amicizie, dalle letture, dalle abitudini, dalle diversità delle circostanze;
  • gli idoli della piazza, che nascono dalla necessità di comunicare con le parole e riflettono l'uso improprio del linguaggio;
  • gli idoli del teatro, che si diffondono con i falsi sistemi filosofici.


La stesura e l'elaborazione delle tavole, che sono lo strumento di classificazione dei dati osservativi in vista dell'interpretazione dell'intelletto. Si distinguono in

  • "tavola di presenza", che registra tutti i casi in cui la natura, o cosa, di cui si ricerca la forma è presente;
  • "tavola dell'assenza", che registra i casi in cui si osserva l'assenza della cosa di cui si ricerca la forma;
  • "tavola dei gradi", che registra i casi in cui la natura studiata è presente in gradi differenziati.

La formulazione di un'ipotesi provvisoria: una volta conclusa l'elaborazione delle tavole, è possibile formulare un'ipotesi provvisoria sulla "forma" di un fenomeno, ossia sulla sua struttura immanente e sulla legge del suo prodursi. La deduzione e le "istanze prerogative": si deve dapprima dedurre dall'ipotesi provvisoria quel che dovrebbe accadere nella realtà se l'ipotesi fosse vera e poi "interrogare", cioè sperimentare, con adeguate procedure la natura stessa.


Le "istanze prerogative" sono gli strumenti che servono per convalidare o falsificare le ipotesi e si distinguono in:

  • istanze informative, distinte a seconda che supportino i sensi o l'intelletto, e istanze pratiche, distinte in istanze del potere che indicano cosa si possa intraprendere,
  • istanze della misura che valutano quantitativamente l'opera intrapresa,
  • istanze di facilitazione dell'opera che comprendono le tecniche e le operazioni magiche.

Il metodo baconiano ha il merito di riabilitare la dimensione empirica della scienza, ma non avrà un grande seguito, perché è sostanzialmente ancora un approccio di tipo qualitativo, senza un'adeguata valorizzazione degli aspetti quantitativi del reale e una loro matematizzazione, che sarà invece la chiave di volta della scienza moderna.

Nel trattato metodologico Regulae ad directionem ingenii (Regole per la direzione dell'ingegno, 1628) Cartesio definisce 21 norme per sviluppare la "retta mente" in vista del conseguimento della "sapienza universale". Intuito e deduzione costituiscono gli atti "naturali" della mente: il primo non si confonde con l'apprensione sensibile, ma indica "un concetto della mente pura e attenta" caratterizzato dalla "semplicità".

Cartesio imposta il problema del metodo della ricerca scientifica nei termini della "mathesis universalis", una sorta di "scienza generale" che riguarda tutte le questioni concernenti "l'ordine e la misura", a prescindere dalle differenti materie a cui si applica. Questa idea deriva dall'osservazione che tutte le scienze matematiche studiano solo i rapporti di quantità e di proporzionalità fra gli "oggetti" (numeri, figure ecc.) del proprio ambito disciplinare e proprio per questa loro caratteristica possono essere assunte a modello della ricerca scientifica.


Il programma metodologico

Nel celebre Discorso sul metodo (1637) Cartesio illustra, sotto forma di un'autobiografia intellettuale, le prerogative del nuovo metodo, articolato in quattro regole fondamentali:

  • la regola dell'evidenza: devono essere accolte come vere solo quelle idee che si presentano chiare e distinte alla nostra mente;
  • la regola dell'analisi: è la scomposizione delle questioni complesse in parti elementari;
  • la regola della sintesi: è la ricomposizione della questione secondo un ordine compositivo che proceda da una minore a una maggiore complessità;
  • la regola dell'enumerazione completa: per evitare errori od omissioni è necessario, infine, enumerare tutti i passaggi effettuati.

La fondazione di una metafisica certa La pubblicazione delle Meditazioni metafisiche (1641) ha l'obiettivo di mostrare come sia possibile anche in metafisica pervenire a una conoscenza "certa e indubitabile". Il primo passo è il superamento del dubbio scettico, che riguarda innanzitutto la conoscenza sensibile.

La strategia cartesiana radicalizza ulteriormente il dubbio scettico mediante l'ipotesi del Dio ingannatore: immagina infatti che Dio sia così onnipotente da trarci in inganno anche nel concepire le verità più chiare ed evidenti, come quelle delle matematiche, che pure prescindono dalla fallibilità dei sensi. A questa totale sospensione del giudizio si sottrae però la verità dell'esistenza di colui stesso che, dubitando, pensa ("Cogito, ergo sum": penso, dunque sono).


Ma per passare dalla certezza isolata della propria esistenza, come essere pensante, alla certezza del mondo esterno e di tutte le altre verità (comprese quelle della matematica) è necessario pervenire preliminarmente all'idea di Dio e attribuirle un valore fondativo. Distinguendo fra "idee avventizie" (quelle che al soggetto sembrano "venute dal di fuori"), "fattizie" (quelle formate o trovate dal soggetto stesso) e "innate" (quelle che sembrano nate col e nel soggetto), Cartesio scopre che la nozione di Dio come essere perfetto, eterno, immutabile non può trarre origine né da alcuna cosa finita, né da noi stessi in quanto enti imperfetti: essa si rivela dunque "innata" e non potrà derivare se non da un essere che esista realmente così come è pensato.

Ma in questo modo cade anche il dubbio sul Dio ingannatore: la veracità rientra infatti nella perfezione dell'ente infinito. Ne consegue che Dio non farà mai in modo che ci inganniamo, almeno finché ci serviamo di conoscenze evidenti assunte per quel che esse realmente significano (l'errore trae origine non dall'intelletto, bensì da un atto di volontà che ci porta a pronunciare giudizi errati sulle cose).

A partire da questa "garanzia" fornita dalla veracità divina, Cartesio procede a dipanare i nodi della sua ontologia: sotto il segno delle idee chiare e distinte, non riconosce nelle cose materiali null'altro che res extensa (sostanza estesa) e le separa in modo netto dall'altro tipo di sostanza, la res cogitans(sostanza pensante), il pensiero. Da ciò deriva anche la conoscenza della distinzione reale di anima e corpo.

Ultima viene la dimostrazione dell'esistenza reale dei corpi. In quanto effetto involontario, la facoltà passiva di ricevere le idee sensibili implica fuori di noi una causa attiva che produca queste idee. Questa causa avrà una realtà effettiva (realtà formale) uguale o superiore alla realtà ideale (realtà oggettiva) di tali idee. Nel primo caso, si tratterà direttamente dei corpi; nel secondo caso, si potrebbe ipotizzare che l'autore sia Dio o una creatura più nobile del corpo. Ma Dio stesso ci ha dato una grande inclinazione a credere che tali idee derivino dai corpi e, poiché non possiamo ritenerlo ingannatore, neppure immagineremo che ci abbia instillato una convinzione da cui saremmo tratti sistematicamente in errore.


La morale

In attesa di riformare radicalmente il metodo del sapere e di applicarlo anche all'etica, Cartesio espone tre regole di morale provvisoria:

  • obbedire alle leggi e ai costumi del proprio paese;
  • perseverare con fermezza e risolutezza nelle azioni intraprese;
  • cercare di vincere e modificare più se stessi che la fortuna. Il tema dell'unione dell'anima con il corpo, problematico in un quadro dualistico, porta successivamente Cartesio, nel trattato Le passioni dell'anima (1649), a delineare un'interpretazione fisiologica delle passioni, che possono essere moderate e ben indirizzate dalla volontà.

A proposito di natura e animali Descartes(Cartesio), in una lettera al marchese di Newcastle, del 23 novembre 1646, diceva che

“non si è mai trovata una bestia così perfetta, che si sia servita di qualche segno per fare intendere ad altri animali qualcosa che non avesse relazione alcuna con le sue passioni; e non c’è invece un uomo così imperfetto che non se ne serva, tanto è vero che i sordomuti inventano segni particolari per esprimere i loro pensieri. […] Le bestie non parlano come noi per il fatto che non hanno alcun pensiero, e non perché manchino loro gli organi. Neppure si può dire che parlino tra loro, e che noi non le intendiamo; i cani e qualche altro animale, infatti, come ci esprimono le loro passioni, così potrebbero esprimere altrettanto bene i loro pensieri, se ne avessero”.

La questione posta da Descartes riprendeva una lunga tradizione di riflessioni sull’intelligenza degli animali, da Aristotele a Plinio, da Tommaso d’Aquino a Montaigne. La sua posizione conseguiva dal meccanicismo e dal dualismo della propria filosofia. Descartes distingueva la vita dalla presenza di un’anima. La vita era come una sorta di fuoco nel cuore e pertanto il cuore degli animali “pompa” gli spiriti animali nel cervello e dal cervello, attraverso i nervi, questi spiriti passano ai muscoli, causando così i movimenti degli arti.

Ma in questo un corpo animale è appunto una macchina, pura res extensa e non res cogitans. Gli animali avvertono gioia, timore o dolore, ma in modo non riflessivo, e cioè senza essere capaci di comprendere questa passione in modo razionale. Nasce dalla posizione cartesiana una polemica che si sarebbe protratta a lungo, coinvolgendo Leibniz, Locke, Cudworth, More, Shaftesbury, Cordemoy, Fontenelle, Bayle, Buffon, Rousseau e altri.

“Senza dubbio, quando le rondini arrivano in primavera, si comportano come orologi”
(René Descartes, Lettera al Marchese di Newcastle, 1646).



Cartesio dunque lo aveva già intuito quasi 400 anni fa che alla base dei principi che regolano la migrazione delle rondini non poteva esserci la casualità. 


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