Botros 11 - Migranti e disagio mentale: disturbi ricorrenti

Botros 11 - Migranti e disagio mentale: disturbi ricorrenti

Caterina Scavo (https://t.me/CaterinaScavo) [Art. 2 Aprile 2023]

Una psicologia dell’immigrazione, per analizzare “l’ontologia del migrare e la psiche del migrante”:

L’evento migratorio è un anello dal peso notevole nel ciclo della vita e se tale anello non si salda adeguatamente con gli altri nella catena dei desideri e dei sogni, i rischi di blocco e regressione possono diventare seri ed invalidanti: nella migrazione, intesa come spostamento psico-fisico e spazio-temporale nella speranza di condizioni migliori di vita, ogni migrante porta con sé un carico di aspettative che, se non dovessero venire rispettate, possono determinare una frattura, un trauma implicito e profondo, tale da compromettere personalità e comportamento in una cronicizzazione del disagio psichico.

Gli spostamenti vengono vissuti dal migrante come vere e proprie fughe che possono rivelarsi eventi traumatizzanti per via delle possibili condizioni di insicurezza, precarietà e rischio, affiancati dalla perdita della propria condizione economica e sociale e dei legami affettivi lasciati nella propria terra; Il fenomeno migratorio è infatti molto complesso perché parliamo di un reale investimento non soltanto del singolo, ma dell’intera famiglia; inoltre, mettere a contatto l’individuo con la sua vulnerabilità diventa potenzialmente traumatico, se consideriamo gli aspetti legati al viaggio e ai metodi che si utilizzano per compiere il percorso, oltre che alle condizioni psicologiche legate allo sradicamento e al cambio di abitudini, al confronto con una nuova cultura e alle nuove condizioni ambientali.

Sono molte le patologie che possono manifestarsi: la depressione, con tutte le sue possibili varianti cliniche e culturali, è certamente uno dei fattori di rischio elevato, insieme a patologie fobiche o legate ai vari disturbi di personalità. Di fatto il viaggio mette chi lo affronta in una condizione di fragilitàvulnerabilità, ansia ed angoscia inevitabile. Parliamo di persone diverse con storie diverse che però hanno un minimo comune denominatore: un livello di sofferenza alto e un insieme di disturbi psico-fisici. Tra questi, spiccano in particolare i sintomi del disturbo Post traumatico da stress (PTSD). In riferimento a quanto rilevato da Medici senza Frontiere su un campione di 387 persone in provincia di Ragusa (2014-2015), sappiamo che il 60,5% dei migranti presentava problematiche psicologiche al momento dell’arrivo, e di questi ben il 40,2% aveva dei disturbi compatibili con il PTSD e disturbi legati a un’iperattivazione del sistema di difesa personale.


Inoltre, i richiedenti asilo spesso mettono in atto una strategia difensiva psicologica ben precisa, caratterizzata dall’“evitare” e dal “dimenticare”. Chi ha vissuto traumi importanti, infatti, può avere episodi di intrusione, ossia essere vittima di ricordi improvvisi del trauma, accompagnati dalla sensazione negativa di “rivivere” l’episodio: quando ciò accade, il nostro corpo e la nostra mente automaticamente tendono a rimuovere completamente l’episodio, come se colpiti da una vera amnesia, per evitare di dover elaborare ancora il dolore.

Gli aspetti psicologici della migrazione femminile e maschile si differenziano: per le prime, è comune la percezione di dover compiere un percorso che non sentono proprio, in quanto non direttamente voluto da loro ma spesso è imposto dall’uomo, mentre gli uomini migranti, dichiarandosi responsabili del progetto migratorio e promettendo una vita migliore nel futuro, generano aspettative che spesso finiscono per deludere la famiglia e li rendono vulnerabili, causando spesso disturbi della condotta, tossicodipendenza ed alcolismo.

Volendo spostare l’attenzione sul contesto italiano, risultano essere in aumento i casi di disagio mentale di richiedenti asilo e rifugiati che prendono parte ai progetti SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e CARA (Centri di accoglienza governativi per richiedenti asilo): la possibilità di avere una prima diagnosi durante i primissimi controlli risulta essere di fondamentale importanza per questi soggetti, e può servire per l’avviamento di percorsi terapeutici o programmi di protezione della salute mentale.

Comunemente le condizioni mediche dei migranti vengono valutate all’arrivo bypassando lo stato di salute mentale, che non viene in alcun modo valutato, nonostante la probabilità di riscontrare gravi traumi prima e durante la migrazione: il programma annuale 2014 del Fondo Europeo dei Rifugiati, ad esempio, prevede "azioni volte alla tutela dei soggetti vulnerabili, con misure di supporto e di riabilitazione di vittime di violenza e torture o portatori di disagio mentale ", così come descritto all’interno del Rapporto: anche in questo caso, il quadro sintomatologico più frequentemente riscontrato è caratterizzato da intrusioni diurne e notturne (ricordi in veglia e incubi del trauma subito), con associate reazioni emotive e fisiche, disturbi del sonno, della memoria, dell’attenzione e della concentrazione.


Se non altro, uno studio recente (Guardia et al. 2016) ha fornito dati sulla presenza di disturbi mentali nei migranti di prima, seconda e terza generazione, confermando l’ipotesi che il fenomeno migratorio costituisca un elemento di rischio psicopatologico non solo per il soggetto che migra, ma anche per le generazioni a venire: ne consegue che, non prendersi cura delle persone che hanno determinati disturbi fa sì che questi diventino molto più gravi, cronici, con un costo maggiore per la sanità, oltre ad avere implicazioni sociali anche per le generazioni successive, poiché i fattori di rischio per il disagio psichico non si esauriscono alla prima generazione.

La migrazione, con tutte le conseguenze psicofisiche che ne conseguono, rappresenta per i clinici una sfida al sapere precostituito, perché non tutti i migranti attraversano le stesse esperienze, non si preparano al viaggio allo stesso modo e non sono mossi dalle stesse ragioni: per questo motivo, la psicologia e la psicopatologia delle migrazioni, sotto gli aspetti fenomenologici, eziologici, di diagnosi e trattamento sono da considerarsi settori della psicologia e della psichiatria che in futuro avranno una grande importanza. Diventa necessario, quindi, data l’entità del fenomeno, implementare percorsi di prevenzione e riduzione del danno che coinvolgano team di professionisti del settore come etnopsichiatri, etnopsicologi, medici, mediatori linguistici e culturali, allo scopo di intervenire uniformemente a livello Europeo, invertendo la tendenza attuale di alcune nazioni a gestire questa emergenza sociale con “soluzioni tampone”.  


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