Botros 11 - Fenomeno migratorio

Botros 11 - Fenomeno migratorio

Francesco Caliò (https://t.me/BotrosGiornale) [Art. 2 Aprile 2023]

“F. Battiato - Povera patria”

Schiacciata dagli abusi del potere
Di gente infame, che non sa cos'è il pudore
Si credono potenti e gli va bene quello che fanno
E tutto gli appartiene
Tra i governanti
Quanti perfetti e inutili buffoni
Questo paese devastato dal dolore
Ma non vi danno un po' di dispiacere

Quei corpi in terra senza più calore?[1]

 

Un po di storia e di sana “memoria”[2]

L’Italia del 1945, alla fine della seconda guerra mondiale, risulta essere un paese particolarmente provato dal punto di vista sociale ed economico, la devastazione del conflitto bellico sulla popolazione e sulle infrastrutture fisiche è gravissima. Uno dei problemi più grandi è tra i tanti la disoccupazione su ampia scala, che spinge milioni di persone a emigrare. In realtà questa non è una novità: l’emigrazione era stata fin dalla fine dell’Ottocento una strada percorsa da milioni di persone provenienti dall’Italia. Insieme alle partenze verso l’estero l’Italia conosce in questa fase anche altri flussi quali le migrazioni interne e i cosiddetti rimpatri dalle ex colonie. L’emigrazione verso l’estero è però il movimento più importante nel periodo della ricostruzione post bellica, destinata a restare ancora per lungo tempo una costante negli equilibri sociali ed economici. In questa fase storica è dominante la partenza di manodopera poco qualificata, dove rispetto al passato è presente un’importante componente femminile.

L’occasione dell’emigrazione nasce non solo dalle condizioni italiane ma anche dalle esigenze della ricostruzione post-bellica: in molti paesi, soprattutto europei, manca manodopera, mancano braccia si diceva. Le distruzioni della seconda guerra mondiale avevano determinato una profonda crisi del rapporto tra popolazione, esigenze economiche e manodopera in età attiva. Occorreva ricostruire da zero fabbriche, strade, città, infrastrutture, ma per farlo c’era bisogno molta manovalanza, che mancava costantemente. La guerra aveva infatti provocato moltissime vittime proprio nelle generazioni attive e in età lavorativa.  Per questo motivo il ricorso all’immigrazione fu immediato, veloce e fortemente richiesto. 


Si trattava però di una esigenza di manodopera molto legata alla congiuntura del momento, alla crisi determinata dalla fine della guerra e all’impellenza della ricostruzione: per questo i paesi europei crearono un sistema di politica migratoria molto rigido e vincolato a una presenza temporanea dei lavoratori e delle lavoratrici provenienti dall’estero.

L’emigrazione, come abbiamo già sottolineato, si sviluppa soprattutto verso l’Europa, in particolare in Svizzera, Francia, Germania ovest, Belgio, Regno Unito. Fuori dall’Europa i movimenti più importanti sono verso Argentina, Canada, Brasile e Venezuela. Tutti i paesi europei coinvolti hanno scelto di puntare sull’immigrazione italiana soprattutto per sopperire alle necessità della ricostruzione.[3]

Alla fine degli anni 50 i flussi diminuiscono, poiché iniziano a calare le richieste internazionali mentre in Italia – in particolare nel nord-ovest del paese – si aprono nuove prospettive ed esigenze occupazionali legate al miracolo economico: i flussi soprattutto dal sud si iniziano a dirigere in modo sempre più frequente e costante verso il centro-nord. Dalle regioni dell’Italia centro-settentrionale, che nell’immediato dopoguerra avevano partecipato all’emigrazione, si assiste invece ad un notevole e progressivo calo delle partenze. 

L’emigrazione italiana si struttura quindi come un movimento di persone proveniente prevalentemente dalle regioni meridionali e maggiormente specializzato rispetto al passato. Tra i paesi europei in testa alle statistiche nel corso degli anni 60 ci sono Svizzera e la Germania federale.


In questa fase lo strumento più utilizzato dai governi europei per promuovere l’emigrazione è quello dell’accordo bilaterale, sottoscritto con i paesi interessati alla manodopera italiana. In pratica, vengono sottoscritti una serie di trattati che prevedono le forme con cui promuovere e organizzare la partenza verso alcuni Stati.

L’Italia spesso accetta condizioni molto sfavorevoli e, anche se in generale gli articoli degli accordi sono scritti in funzione dei paesi destinatari di manodopera, questi ultimi in realtà non sempre li rispettano, costringendo i lavoratori a condizioni di impiego durissime e ai limiti del senso umano.

Il primo accordo di una certa rilevanza è quello sottoscritto nel 1946 con il Belgio, che prevedeva in cambio dell’arrivo di lavoratori l’invio verso l’Italia di carbone, poiché gli italiani venivano impiegati nelle miniere. L’ultimo accordo dell’immediato dopoguerra viene firmato nel 1955 con la Germania federale e apre le porte al successivo sviluppo delle partenze verso la Germania (nel 1951 e nel 1957 verranno firmati i trattati istitutivi della Comunità europea).

I governi italiani fin dal 1945 sostengono e spingono lo sviluppo dell’emigrazione al fine di abbassare da una parte la tensione sociale legata alla disoccupazione e dall’altra anche per favorire larrivo delle rimesse economiche degli emigrati (i risparmi che ogni mese i lavoratori all’estero inviano alle famiglie rimaste in Italia). Quindi per i governi italiani spingere e rilanciare l’emigrazione era funzionale a raggiungere obiettivi sia di politica sociale che di politica economica. 

A partire dalla metà degli anni 50 diventa sempre più rilevante l’emigrazione proveniente dal sud e diretta al centro-nord. Le grandi aree industriali e le grandi città attirano popolazione proveniente dal Meridione. Nel corso degli anni 60 il fenomeno diventa massivo. A trainare la crescita dei flussi tra le regioni è lo sviluppo eccezionale dell’industria di tipo manifatturiero oltre che chimico e metalmeccanico, che soprattutto nell’Italia nord-occidentale raggiunge livelli produttivi mai registrati in passato. Le medie e grandi industrie dalla fine degli anni cinquanta hanno una enorme esigenza di manodopera, inizialmente questa richiesta viene soddisfatta da personale proveniente dalle aree limitrofe ma rapidamente si estende alle regioni meridionali (Campania, Puglia, Calabria, Basilicata, Abruzzo, Molise, Sicilia, Sardegna). Si stima infatti che tra il 1951 e il 1971 circa 9 milioni di persone in Italia abbiano cambiato il proprio comune di residenza: un rimescolamento eccezionale, destinato a far incontrare popolazioni e culture diverse[4].


La fase immigratoria

Alcuni numeri; Dal censimento del 1991 e quello successivo del 2011 si evince la crescita esponenziale dell’immigrazione in Italia: si passa infatti da circa 350.000 persone a oltre 4 milioni. Possiamo affermare che si tratta una trasformazione senza precedenti, perché la contaminazione culturale che ne consegue è un processo irreversibile.

Tra il 2001 e il 2010 le forze di lavoro straniere stimate dall’Istat sono triplicate: da circa da 724.000 unità circa a circa 2,3 milioni di unità: l’immigrazione si inserisce in modo articolato e duraturo nel mondo del lavoro. Nello stesso periodo gli occupati stranieri sono passati da 636.000 a 2,1 milioni. Se nel 2005 la percentuale di stranieri occupati era di poco superiore al 5% sul totale degli occupati, nel 2011 tale percentuale era di fatto raddoppiata, raggiungendo il 10,2%. Nel 2008 l’Italia ha una percentuale di occupati stranieri sul totale degli occupati superiore alla media della neonata Unione europea a 27 Stati: il 7,5% contro il 6,7% della media europea. Una percentuale stabilmente superiore a Paesi di più antica tradizione migratoria quali la Francia, dove la percentuale si attestava al 5,2%.

L’Italia conosce una progressiva evoluzione della legislazione: le tappe più importanti sono la legge Turco Napolitano (1998) e la Bossi Fini (2002).

La legge del 1998 confluisce nello stesso anno nel Testo unico e costruisce un quadro generale al governo dell’immigrazione, introduce i Centri di permanenza temporanea (successivamente chiamati Centri di identificazione ed espulsione), favorisce un approccio di flussi annuali e di accordi bilaterali, definisce un legame piuttosto stretto tra permesso di soggiorno e lavoro.

La legge Bossi Fini irrigidisce numerosi punti già contenuti nella Turco Napolitano, rendendo più precaria la presenza e la permanenza degli immigrati e riducendo le tutele sociali. Sia la legge del 1998 sia quella del 2002 sono state accompagnate da regolarizzazioni di massa: 217.000 persone nel 1998, 634.000 nel 2002.

Ciò che emerge già dagli anni ’90 nel sistema italiano è uno scarto tra portata effettiva del fenomeno immigratorio, e il supporto nell’opinione pubblica, e poi tra gli elettori di piattaforme anti-immigrazione. L’Italia in realtà non è chiaramente pressata da una forte immigrazione (vedi Fig.).

[Data: OECD, International Migration Outlook 2018]

 

Populismo … prima i padani …prima gli italiani…prima……!!!! Ma prima cosa???

In realtà non è vero che i partiti populisti dilagano dappertutto: nella figura seguente è indicata la percentuale di consensi dei partiti populisti o far-right (in nero) e dei partiti mainstream (in grigio) alle ultime elezioni politiche. È il sistema politico italiano a sembrare sotto attacco come si può osservare nella figura riportata sotto.


In generale, è l’impatto dell’austerity comunitario ad avere un risvolto politico e di consenso anti-immigrazione sul sistema politico, in termini di polarizzazione del voto, crescita dei partiti populisti e far-right e ridimensionamento dei partiti tradizionali.  Solo in alcuni paesi però questo ha provocato una esplosione delle agende anti-immigrazione. 

Di massima, l'agenda dei governi, sia a guida social-democratica che di centro-destra, registra nei principali paesi europei forme di irrigidimento delle politiche di accoglienza e cittadinanza, talora per iniziativa di nuove formazioni anti-immigrazione che premono sulla o entrano nella maggioranza. Stessa sorte tocca alle politiche anti immigrazione in Italia[5].

La cd fase governativa giallo verde e i motivi della frattura; Sarà il caso “Sea Watch”[6] che vedrà contrapposti all’interno dello stesso esecutivo due visioni opposte. Una quarantina di migranti soccorsi in mare internazionale, rimarranno bloccati a bordo della nave per la posizione intransigente dell’allora capo del dicastero dell’interno, che vedrà cadere tutti i decreti emanati per la palese violazione dei diritti fondamentali[7].


Sul concetto di “carico residuale
”!!

Appare inverosimile che un termine tecnico in uso nella pratica marittima, in particolare nel diritto dei trasporti e della navigazione (la nozione infatti afferisce a merci, derrate alimentari, combustibili, etc. ect.), venga utilizzata per identificare essere umani per i quali si ritiene che non siano meritevoli di sbarco/assistenza a terra (ndr). Viene alla mia memoria questo concetto dall’esperienza trascorsa per le attività di tutorato e ricerca nella cattedra di diritto dei trasporti e diritto dell’unione europea e diritto internazionale presso l’UNICZ, con il compianto Prof. Alessandro Zanelli, che fu mio maestro e riferimento universitario negli anni 1997/98. Solo una visione corporativa poteva produrre questa aberrazione. Molti ricorderanno questa pratica come anche riportata e riproposta al cinema (Tolo Tolo, di Checco Zalone nei panni di un immigrato che attraversa il deserto e viene bloccato a bordo della nave ONG), pellicola che diede non pochi fastidi ad una certa parte dell’arena politica. 

L’Italia di centro destra o forse è meglio dire di destra governativa, dal punto di vista della sociologia politica segue l’onda ultranazionalista di paesi come l’Ungheria di Orban. Ma solo in Italia questo tipo di dinamica diviene esplosiva, sul piano elettorale, la deriva populista e nazionalista è storia recentissima ormai, con l’insediamento dell’attuale esecutivo che come primo atto governativo del 2023 pensa di emanare un decreto legge, 1/2023[8] per rendere inoperative le ONG (medici senza frontiere e altre), per non parlare della burocratizzazione delle operazioni SAR. Il problema è quindi politico e non operativo. Anche uno studente iscritto al primo anno di Giurisprudenza saprebbe benissimo che le norme contenute nel decreto sono illegittime, non solo sotto il profilo costituzionale (i principi fondamentali art. 1-10 Cost.), ma con i più basilari principi del diritto Internazionale, quei principi pattizi e soprattutto consuetudinari, a cui il nostro ordinamento fa riferimento all’art.11 della Costituzione[9].


Ma c’è di più, l’immigrazione come fenomeno socio economico viene visto dai paesi europei (nordici) come una grave minaccia, e di fatto impediscono che a livello comunitario si possano prendere delle decisioni collettive di ripartizione dei flussi in arrivo. Non dimentichiamo che i corridori umanitari vengono ostacolati proprio dai paesi che più hanno avuto dall’Europa in termini di risorse finanziare (si pensi alla Gran Bretagna che dopo aver beneficiato per decenni di aiuti e agevolazioni del mercato unico, ha deciso con la Brexit di uscire dal perimetro europeo). Un nazionalismo/sovranismo in salsa anglofona.

Molto interessante è il recente testo di Maurizio Ambrosini[10], la cui lettura apre a riflessioni di tipo umano prima ancora che sociologico e il cui titolo dà il senso della fotografia reale e non di quella sbandierata nei comizi, testo a cui rimando per chi volesse avere una visione omogenea del fenomeno immigratorio. Tra l’altro, come dice lo stesso autore, l’aiuto umanitario non è un’alternativa alle migrazioni internazionali, ma aiuta a costruire ponti e non muri tra paesi e popoli diversi.

Per ultimo, è illuminante l’articolo di Igiaba Scego (scrittrice italiana di origini somale), “A Roma anche l’elefantino del Bernini è uno straniero indesiderato”. Apparso su “internazionale”, il pezzo è del 22 novembre 2016, ma è tristemente attuale[11].  


[1] Franco Battiato –Povera patria - https://www.google.com/search?q=provera+patria&rlz=1C1CHBF_itIT846IT846&oq=provera+patria&aqs=chrome..69i57j33i160l2.4550j0j15&sourceid=chrome&ie=UTF-8
[2] Piero Bevilacqua – Storia dell’emigrazione italiana – Donzelli editore 2001
[3] Ugo Draetta – Elementi di Diritto dell’Unione Europea parte generale – Giuffrè editore 2010
[4] Fonte ISTAT

[5] Marco Accorinti, Enrico Pugliese e Mattia Vitiello - Nuovi flussi migratori, accoglienza e diritti umani. https://www.futura-editrice.it/wp-content/uploads/2019/09/Rps-2-2019_Nota-introduttiva-_Accorinti_Pugliese_Vitiello.pdf
[6] Umberto Latorre – Comando e comandante nell’esercizio della navigazione - ESI 1997
[7]
Migranti. Caso Sea Watch, la Corte Ue: per fermare le navi servono prove – AVVENIRE - https://www.avvenire.it/attualita/pagine/caso-sea-watch-corte-ue-per-fermo-servono-prove

[8] Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione – Commento al Decreto Legge 1/2023 – profili di illegittimità costituzionale - https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/03/Commento-d.l.-1.2023_def_6marzo.docx.pdf

[9] Benedetto Conforti – Diritto Internazionale – ESI 2021

[10] Maurizio Ambrosini – L’invasione immaginaria – L’immigrazione oltre i luoghi comuni – Laterza 2020
[11] https://www.internazionale.it/opinione/igiaba-scego/2016/11/22/elefantino-bernini-zanna-sfregiato




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