Botros 10 - La donna calabrese

Botros 10 - La donna calabrese

Francesco Caliò (https://t.me/BotrosGiornale) [Art. 8 Marzo 2023]

Una diagonale sociologica

Il rischio che si corre quando si affronta un tema di ricerca come quello esposto, è la retorica giornalistica, o dei talk show televisivi, o peggio ancora quella dei social. Se a questo mix aggiungiamo il focus sulla dimensione territoriale, culturale, economica, antropologica di una regione tra le più bistrattate (regioni obbiettivo 1 un po’ di tempo addietro si diceva, per identificare un territorio dove la sperequazione socioeconomica era ed è purtroppo abissale), l’output che ne viene fuori non è affatto nitido, anzi, appare confuso e surreale.

Motivo per il quale il percorso proposto non si spinge nella direzione di guardare alla donna calabrese come emblema di semplice autonomia (il femminismo come fenomeno sociale), tema inflazionato del quale si scrive molto ma si agisce poco, bensì sulla particolarità del rapporto che la donna ha con le dinamiche culturali, sociali e familiari in rapporto al territorio, nonché politiche.


Tra l’altro quello della donna calabrese è una visione non omogenea sia dal punto vista territoriale (zone marittime vs zone interne), sia dal punto di vista temporale.

Non è difficile immaginare quale era la posizione femminile in Calabria negli 50/60/70 del secolo scorso per esempio… (senza andare ancora più a ritroso…), non dissimile da quelle vicende raccontate nelle serie televisive turche propinate proprio sui nostri canali televisivi oggi. Una donna subalterna a padre e marito…. Insomma, anche su questo punto, invece che essere l’Italia esportatrice di racconti cinematografici/televisivi degni una società garantista ed evoluta, importiamo concezioni sociali di 50/60 anni addietro, e per di più da stati che hanno veramente poco a che fare con la libertà di pensiero e di autodeterminazione.


Se fate un piccolo balzo indietro nel tempo.. noterete che anche i detti popolari sulla donna calabrese sono a dir poco “misogeni”[1], e vanno quasi a identificare nella donna una iattura per la famiglia, sancendone addirittura una esclusione sociale. Nel fare questo breve percorso ricostruttivo, non si può non considerare il poderoso lavoro di Renate Siebert[2] (Sociologa dell’UNICAL di Cosenza). Il viaggio della ricercatrice si potrebbe descrivere così;

orizzonti inediti sempre a cavallo fra i sotterranei dell’anima e i meandri intricati dei fenomeni sociali più concreti”.

In sostanza, si indaga sulle condizioni socioculturali delle donne, il loro status, ma anche il loro sguardo molto spesso ignorato. Ma è anche un geniale punto di osservazione privilegiato sulla mafia, sulle dinamiche familiari, sul pregiudizio, sul rapporto fra culture. Per non parlare della “memoria”, con riferimento alle “memorie ferite”, delle vittime di emarginazione, discriminazione, violenze subite, siano esse esplicite ed occulte....silenti si dice..!

Il caso di Lea Garofalo è forse il più emblematico per la sua crudeltà dolosa e programmata[3]. Oppure la triste vicenda di Maria Chindamo, uccisa perché si rifiutò di cedere un terreno ad un appartenente alle cosche vibonesi/reggine, anche in questa storia una barbarie devastante si scaricò sul corpo affinché potesse tacere per sempre[4]. Solo per citarne alcune purtroppo delle tante.


Negli ultimi dieci anni sono stati oltre 100 i femminicidi in Calabria
, quasi a testimoniare la presenza di una frattura drammatica. Il 40 % sono omicidi volontari[5]. In più, oltre ai casi di violenza diretta, ciò che preoccupa è la condizione “generale” della donna in Calabria. A partire da quella lavorativa. Il mercato del lavoro calabrese (già di per se asfittico) sino al 2019 mostrava un leggero ma costante recupero, dal mese di giugno 2020 si registra un arresto del trend positivo.

A certificarlo il rapporto sull’economia della Calabria della Banca d’Italia. Ovviamente su tale situazione, molto ha inciso la pandemia (o meglio Sindemia) da Covid-19 che ha prodotto sui comparti produttivi e di servizi un effetto drammatico. Ma a pagare sono sempre le “solite” categorie, con impatto sulle classi sociali medio basse. La riduzione dell’occupazione ha riguardato principalmente la fascia di lavoratori di età compresa tra 15 e 29 anni, e ovviamente la parte femminile è quella che ha risentito maggiormente dell’effetto negativo.


Come si può immaginare la componente socio economica e culturale ha una base solida sulla situazione descritta, potremmo dire che essa rappresenta la condicio sine qua non[6]. Interessantissimo è il volume L’ape furibonda” il temperamento delle donne – la Calabria[7]. Vengono in esso raccontate 11 storie di donne, dalla prima donna sindaco eletta in Italia, all’operaia sindacalista e cosi via. Purtroppo la cruda verità, che riguarda l’emancipazione civica delle donne calabresi, è un processo incompiuto, con molti spazi dove risultano dominanti la presenza e il pensiero maschili, o meglio, maschilisti: sistemi subculturali che occultano la valenza delle donne; precariato nella condizione lavorativa a causa della crisi produttiva di alcuni settori ad alta caratterizzazione femminile; scarse, o addirittura assenti, misure a sostegno della famiglia, intesa come sfera di espressione esistenziale libera e consapevole, non come ambito ghettizzante; isolamento e discriminazioni per le donne svantaggiate per condizioni di non autosufficienza o per minorazioni fisiche o sensoriali; pregiudizio, o meglio, luogo comune endemico, veicolante la correlazione tra successo femminile e dubbia moralità[8] (interessantissimo articolo in nota di Annamaria Palummo Consigliera nazionale dei ciechi e degli ipovedenti).


Ancor più grave è la situazione laddove sono presenti situazioni di disabilità, poiché i servizi essenziali sul territorio regionale sono spesso o carenti o praticamente assenti.
Non dissimile è la situazione della partecipazione politica femminile (attivismo), frenata da condizioni culturali colmi di bigottismo acuto.

Ricordiamo che in Italia il diritto al voto delle donne è avvenuto solo nel 1946 in forte ritardo rispetto agli altri paesi Europei. In questi 77 anni, la coscienza, e soprattutto la libertà politica, apparentemente si sono evolute, ma in realtà non è cosi, persino quando ci si trova davanti a strumenti legislativi che dovrebbero garantire le pari opportunità; strumenti che serbano l’ombra delle discriminazione invece che scongiurarla. Si pensi alle cd quota rosa, esse appaiono nella realtà delle concessioni piuttosto che dei diritti. Nonostante ciò, in Calabria questi istituti (concessioni in senso pseudopolitico) non riescono a garantire una effettiva parità di genere nella gestione della cosa pubblica.


Il Gender Policies Report[9] elaborato dall’Inapp (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) si commenta da solo: “I dati dell’ultimo Gender Policies Report sono la fotografia di una realtà molto triste con cui dobbiamo fare i conti. La parziale ripresa a cui abbiamo assistito nel 2021 ha accentuato la grande disparità di genere che vede per 1 donna su 2 contratti di lavoro part-time e spesso a tempo determinato o somministrato e collaborazioni coordinate e continuative (in pratica precariato spinto). Un dato certamente preoccupante, soprattutto se lo confrontiamo con quanto accade agli uomini, per i quali la percentuale si dimezza, fermandosi a circa il 26%. Questo a livello nazionale.

La Confcommercio Catanzaro ha commentato i dati del Gender Report 2021, la ripresa nel periodo successivo alla pandemia per le donne calabresi è ancora all’insegna della precarietà e della discontinuità occupazionale. In Calabria meno del 40% dei nuovi contratti stipulati riguarda le donne, una delle percentuali più basse del territorio e inoltre, mediamente, il 49,6% di tutti i contratti femminili è a tempo parziale, addirittura al di sotto del part time 50%. Tendenza al contrario per gli uomini che si attestano al 26,6%. Si rafforza ulteriormente, dunque, il gap di genere di occupazione e di retribuzione. Due variabili ovviamente interconnessi.

Sul versante delle sociologia politica le cose non vanno meglio, la rappresentanza femminile in Calabria esaminata in un rapporto della Regione Calabria[10] (Analisi della parità rappresentativa in Calabria) fotografa in modo efficace la reale situazione: dati del 2018;

Se poi lasciamo l’ambito comunale e ci addentriamo in quello dell’amministrazione regionale, la situazione è ancor più desolante. Su 31 seggi solo 6 sono occupati da donne, e addirittura il dato odierno è già un balzo in avanti soprattutto se rapportato al passato. Questo vuol dire che anche le politiche potenzialmente sviluppabili scontano un gap di tipologia verso i servizi sociali poiché è quasi assiomatico che la presenza femminile indirizzi le politiche di genere verso un maggiore orientamento in direzione favorevole alle politiche sociali[11] (o cosi almeno dovrebbe essere, lo è certamente nelle regioni settentrionali o in contesti europei nordici). La presenza/partecipazione femminile in politica determina una maggiore attenzione verso “politiche ad orientamento sociale”, assistenza alla persona, asili nido, mense scolastiche, associazionismo[12].

Nel comparto sanitario si registra una situazione non dissimile rispetto a quella politica; 4 donne e 19 uomini ai vertici delle aziende sanitarie su 23 incarichi totali[13]. Si registra invece una tendenza migliorativa, soprattutto se osserviamo i dati della partecipazione femminile alla vita scolastica/universitaria calabrese[14]. Il dato degli iscritti è decrescente poiché sconta la tendenza negativa demografica.

Purtroppo la donna calabrese (fenomeno che accomuna tutto il sud Italia) subisce la necessità del triste fenomeno della migrazione sanitaria. E’ questo un argomento molto delicato perché afferisce alla cronica assenza di assistenza puntuale verso quelle donne che vivono situazioni di drammatica valenza. La malattia, soprattutto quella oncologica..; Siamo infatti una delle regioni che ha il più alto tasso di mobilità verso le strutture sanitarie settentrionali, al fine di per poter avere cure dignitose e accettabili ed in tempistiche accettabili.

Lo sfacelo della sanità calabrese (poche risorse umane e tecnologiche, strutture spesso obsolete) è sotto gli occhi di tutti costringendo circa il 44% delle donne interessate dalla malattia a migrare seppur temporaneamente. Questo è un problema quasi endemico, che ha assunto nella rassegnazione sociale quasi un suo fisiologico percorso. Criticità e problematica volutamente inascoltata dalla classe politica/dirigente, troppo fastidiosa, troppo pesante e ingombrante per destare impegno e l’attenzione che merita, forse troppo impegnativo per i policy maker. Quella della migrazione sanitaria è un fenomeno sociale oltre che medico, perché afferisce allo status patologico sia del paziente (al di là del genere), sia delle strutture deputate a garantire il servizio[15].


C’è poi una breve riflessione da fare senza nessuna pretesa esaustiva, storica e soprattutto di memoria che riguardava e interessava soprattutto le donne del sud Italia, (Calabria ovviamente compresa). E’ significativo infatti che ci vorranno ben 33 anni (dopo l’entrata in vigore della nostra Carta Costituzionale – 1 Gennaio 1948) perché vengano espunti dal nostro ordinamento giuridico due istituti tra i più abominevoli sanciti dal codice penale Rocco di derivazione fascista, il “matrimonio riparatore” e il “delitto d’onore”. Correva l’anno 1981, e la legge 442 del 5 Agosto 1981 pose fine a questi fenomeni che erano sociali e rituali prima ancora giuridici.   

Siamo le donne che hanno definito lo stupro reato contro la persona e non contro la morale, lottando per cancellare le norme ereditate dal codice fascista Rocco insieme al delitto d’onore, al matrimonio riparatore, allo ius corrigendi del marito, titolare di ogni potere su moglie e figli.
Siamo le donne che da sempre si battono contro la violenza maschile fuori e dentro la famiglia. Siamo le donne dei Centri antiviolenza.
Siamo le donne che hanno lottato per il diritto al lavoro, per il valore e il rispetto del lavoro, per la centralità e il valore sociale della maternità, per i congedi di maternità e paternità, per un welfare solidale e non basato su nonne e nonni.
Siamo le donne che si prendono cura delle persone, delle comunità, dei territori. Siamo coloro che tengono davvero al centro il benessere e la serenità di bambine e bambini perché è grazie a noi che bambini e bambine sono diventati soggetti di diritto. Siamo le famiglie in tutte le possibili declinazioni.
Siamo le donne e gli uomini giovani, che vorrebbero lavorare e non emigrare, che rivendicano il diritto di poter decidere se, dove, come e quando costruirsi una famiglia.
Siamo le donne e gli uomini che cercano di dar vita giorno per giorno ad una società accogliente, solidale, inclusiva, aperta e giusta.[16] 





[1] Concetta Carrà – Pari e dispari: uomini e donne nei detti popolari calabresi – UNICAL Scienze politiche -
[2] Monica Massari – Attraverso lo specchio - Scritti in onore di Renate Siebert – Pellegrini editore 2012
[3] Marika Demaria – La scelta di Lea – Feltrinelli 2022
[4] La scomparsa di Maria Chindamo -
[5] Ministero dell’interno – Rapporto Agosto 2020 – Luglio 2021
[6] https://icalabresi.it/inchieste/calabria-non-e-una-regione-per-donne/ - Secondo quanto riportato nel Documento di indirizzo strategico regionale per l’avvio della programmazione 2021-2027 «la Calabria esprime un tasso di occupazione del 31%, di oltre 30 punti inferiori alla media europea». Sempre nel medesimo Documento, l’individuazione delle cause di tali numeri inquietanti: «La scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro è legata in buona parte alla carente disponibilità di servizi di cura e assistenza (anche, ma non solo, per la prima infanzia), insufficienti investimenti nelle politiche di welfare e di conciliazione tempi di lavoro/tempi di vitarigidità organizzative del lavoro, squilibrio persistente nel riparto del lavoro di cura all’interno della famiglia».
[7] Laura Cimino – L’ape furibonda - Rubbettino 2018
[8] Annamaria Palummo -
[9] Gender GAP in Calabria - 
[10] https://www.regione.calabria.it/website/portalmedia/2018-12/opuscolo%20ANALISI%20DELLA%20PARITA'RAPPRESENTATIVA%20E%20LAVORATIVA%20IN%20CALABRIA1.pdf
[11] Antonio La Spina – Efisio Espa – Analisi e valutazione delle politiche pubbliche – Il Mulino 2011
[12] Cotta – Della Porta – Morlino – Fondamenti di Scienza politica – Il Mulino 2018
[13] https://www.openpolis.it/la-disparita-di-genere-nei-vertici-delle-aziende-sanitarie-locali/
[14] MIUR -
[15]https://pne.agenas.it/main/doc/Report_PNE_2022.pdf
[16]https://www.collettiva.it/copertine/diritti/2021/08/05/news/la_conquista_di_franca_viola_nessun_matrimonio_riparera_mai_una_violenza-1357541/.



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