Botro 7 - Il Natale da un punto di vista sociale

Botro 7 - Il Natale da un punto di vista sociale

Francesco Caliò (https://t.me/BotrosGiornale) [Art. 4 Dicembre 2022]

«Consumiamo ogni giorno senza pensare,
senza accorgerci che il consumo sta consumando
noi e la sostanza del nostro desiderio.
 È una guerra silenziosa e la stiamo perdendo»
Vite di scarto” (Laterza, 2007) Z. Bauman


Cosa è il Natale oggi?
Ci appartiene ancora?
Fa parte della nostra esistenza?
Ha ancora senso sociale?

Zygmunt Bauman intervenendo all’inaugurazione dell’incontro “Sete di Pace”, svoltosi ad Assisi nel 2016 ha descritto la storia dell’umanità come un processo di espansione della parola “NOI”.
Una storia che fa intravvedere “una luce in fondo al tunnel, anche se il tunnel appare ancora lungo e pieno di insidie e pericoli”.
Bauman ha ricordato che per paleontologi e antropologi il primo “NOI” non potesse includere più di 150 persone:

“Erano cacciatori, raccoglitori. Non avevano autobus, niente alta velicità, e sicuramente il car sharing non rientrava tra le priorità della mobilità urbana, né tanto meno discutevano delle anomalie del trasporto pubblico locale (TPL), o del surriscaldamento del pianeta. Niente supermercati, niente centri commerciali, niente Apple Store, etc. etc.. …. Il resto era “ALTRO” dal “noi”.

“Col tempo questa cifra è aumentata e si è giunti alle tribù, alle comunità, e poi gli imperi e gli stati nazione[1]” agli stati apparati, agli stati moderni[2], alla comunità internazionale[3]. Con la stessa progressione delle comunità sono cresciute le esigenze, i bisogni, le aspettative e quindi i consumi nonché il concetto stesso di consumo ha subito un mutamento sostanziale oltre che formale.

Oggi il Natale, per quanto possa essere triste affermarlo è sinonimo di “consumo”

Novembre è il mese del lancio delle campagne pubblicitarie di prodotti che nulla hanno a che vedere con il Natale in senso antropologico e religioso, ma che ne sfruttano totalmente il c.d. brand. Si, purtroppo il Natale è stato ridotto ad un brand consumistico, che esplode commercialmente nel mese di Dicembre. Tutto ruota (sotto il profilo capitalistico) intorno al consumo; Un profumo, un gioiello, una vettura, o qualunque cosa possa attirare l’attenzione del “soggetto/oggetto” consumatore.


Il mercato, potremmo dire, ha fiutato nella soddisfazione di un nostro bisogno (per come strutturato dalla ricerca della psicologia del lavoro)[4] l’opportunità di enormi profitti. Lo scorso anno, ancora in pandemia, furono spesi a Natale 110 miliardi di euro in beni di consumo, circa 158 euro procapite[5], Anche quest’anno la cifra dovrebbe essere simile, ma tendente al ribasso a causa del rincaro energetico.

Siamo quindi allettati dalla possibilità di avere tutto senza troppo stress, o almeno cosi crediamo o ci illudiamo. Pensiamo per esempio al cambiamento sostanziale del significato nell’epoca social della parola amico…ci rendiamo conto facilmente come i rapporti siano diventati superficiali e facili, si vive di monologhi e non di dialoghi, le amicizie vengono create con un click e con lo stesso gesto vengono cancellate[6].

Quindi, il Natale oggi è ridotto alla ricerca disperata di un regalo da gestire? Ad un acquisto dell’ultima ora del 24 Dicembre? Oppure se proviamo ad approfondire riusciamo a scorgere altro?

Ormai è certo che la valenza specifica di una festività carica di sacralità è inversamente proporzionale al tempo capitalistico, più cresce il secondo più si riduce la valenza sacra del primo fattore, i due tempi sono quindi opposti e antitetici. Non si tratta di due pesi specifici diversi, bensì di due diverse attribuzioni soggettive in termini di valenza attribuita ad ognuno dei due tempi (Vroom in particolare considera la motivazione come conseguente a un percorso cognitivo di stima e di valutazione degli esiti di una possibile azione; motivazione = V x I x E)[7].

Questa asincronia poi impatta ed è influenzata dall’ambiente esterno, dal sistema politico, da quello religioso, da quello economico, e non per ultimo dalle contingenze storiche vissute (quest’ultime meritano un approfondimento particolare, poiché non è così difficile da immaginare che la valenza sociale e sacrale del Natale assume maggior peso in situazioni difficili e di sofferenza.

Il relativismo del Natale è dunque oggi un fatto storico, in passato era legato a valori e ideali lontani anni luce dallo spirito capitalistico e di estremo profitto odierno (tutto e subito a qualunque costo) di derivazione dalle logiche del sistema multinazionale lobbistico.


Un Natale Cristiano o un Natale economico (o forse sarebbe meglio dire una morale cristiana o una morale economica)?


Nella società moderna è indubbio che il Natale si basi sul consumismo, le cene e i negozi scintillanti, i supermercati sovrabbondanti hanno preso il posto del presepe (simbolo della povertà, degli ultimi, degli esclusi). Quindi l’occidente contiene ancora i valori cristiani? Oppure si autoalimenta di un rituale canonizzato ma che risiede nel lontano passato?

Dice bene Umberto Galimberti[8] quando descrive che nel momento in cui la società è passata dallo stato di bisogno allo stato di soddisfazione smodata del bisogno, la morale del cristianesimo ha finito la sua storia, e quindi o emigra nel Terzo e nel Quarto mondo dove vive la mortificazione del bisogno, o sparisce.

Questo effetto sociale è dato dal senso di alienazione rispetto alla fragilità e precarietà della vita. Una distanza sociale dettata dalla falsa possibilità che tutto possa avere un non fine, una non conclusione, un non epilogo. L’indicazione terzo/quarto mondo nella riflessione di Galimberti non ha valenza solo o soltanto geografica del pianeta, ma soprattutto di strutturazione sociale, e quindi ancora una volta emerge la stratificazione delle classi sociali all’interno di un perimetro di popolazione (un agglomerato urbano, un quartiere, una metropoli, uno stato).   

Laddove è più grave la fragilità sociale maggiore ne risulta l’importanza attribuita ad un evento sacro, è questo un fatto antropologico, le comunità si riaggregano e le criticità/contrasti tipiche dei gruppi si affievoliscono a beneficio di una maggiore attenzione del prossimo, dei nuclei familiari, delle aggregazioni sociali.

Insomma, per fare un esempio, un Natale in una città ucraina devastata dalla guerra ha una valenza ed una impronta di gran lunga maggiore rispetto ad una città californiana….poiché la percezione della sofferenza è oggettivamente e soggettivamente diversa. 

Mi piace ricordare un aneddoto, un esempio di qualche anno addietro di un carissimo amico Fisico (un oggetto dal peso di 1 Kg preso in mano da un soggetto ha sempre il medesimo peso indipendentemente da quanto tempo viene tenuto in mano. Ma per la persona che lo regge non è cosi… quel Kg aumenta la sua pesantezza man mano che trascorre il tempo (concezione soggettiva), più tempo passa e più il peso soggettivo/percepito (quello risentito fisicamente dall’arto del nostro soggetto) aumenta… attribuiamo quindi un valore maggiore pur rimanendo sempre 1 Kg).

Il fuoco stesso, inteso come elemento antropologico[9] e sociologico, pervade molte feste religiose, è in molte culture è sinonimo di purificazione, in altre invece rappresenta un fatto aggregante e protettivo (è quest’ultimo forse il valore attribuito nei nostri contesti sociali), il fuoco di Natale, cristallizza in realtà un momento di aggregazione ed attesa, di comunità unita[10].

Se osserviamo bene il contesto sociale del sud Italia ritroviamo un alone fatto di ritualità e di simbolismo. Il fuoco acceso ha anche una terminologia diversa (nel linguaggio catanzarese “fhocare”, in quello cosentino “carcare”, nel reggino “lumare”), spesso si butta nelle fiamme cosa è vecchio e che non è più utile, il falò è dunque un fatto aggregativo e di rafforzamento della propria identità culturale. Esso ha in realtà origini celtiche, simboleggia rinascita, rinnovamento.

Tempo addietro esisteva e resisteva anche una usanza sociale/familiare, quella di bruciare nel camino un grosso ceppo di legno e intorno 12 pezzetti di legno rappresentanti gli apostoli, mentre il ceppo bruciava la famiglia si aggregava per la cena e ad essa si riuniva un numero di poveri di pari numero ai defunti della famiglia stessa[11].

Il presepe stesso, simbolo cristiano del Natale ha lasciato il posto nelle città ai vari alberi natalizi e a pupazzi rossi aggrappati nei posti più disparati delle case (balconi, canaline, cornicioni, etc.. etc..). La figura di un babbo rosso paffuto con slitta magica trainata da renne polari altro non è che un ennesimo escamotage commerciale per vendere e quindi consumare (marketing strategico ed operativo). E’ questa una tradizione nata nei paesi anglosassoni nella seconda metà dell’ottocento. Lo stesso Cacciari parla di società anestetizzata, non ha più coscienza popolare, essa è evaporata. 

Persino nella letteratura sociale troviamo tracce importanti di questo meccanismo, Italo Calvino per esempio ne “I figli di Babbo Natale”, riesce con la sua naturalezza in una descrizione ai limiti e ai confini del fiabesco (tipica del grande scrittore), ma che sprofonda invece nella fotografia reale del consumismo natalizio.

Lo scrittore costruisce uno spaccato di vita reale e moderna, laddove il protagonista del racconto (figlio di un industriale) nel distruggere un nuovo giocattolo regalatogli, accende l’ingegno folgorante del padre “industrialotto”, che reinventa un gioco distruggi tutto, così da incrementare i consumi e gli acquisti con un ciclo senza fine e senza ritorno, auto-generando la cultura dei rifiuti e abissando quella del riciclo e del rispetto delle risorse naturali)[12].

Viene a questo punto quasi naturale, focalizzarsi su un aspetto soggettivo, la percezione individuale/collettiva (le percezioni anche soggettive sono sempre influenzate dall’ambiente e quindi anche dai gruppi sociali, siano essi minori o maggiori) del Natale come festa, come ricorrenza, come attesa, come fatto umano.
La riscoperta di antiche e nobili tradizioni lasciate e abbandonate nel passare degli anni, potrebbe essere un inizio, una risalita, una riscoperta di una strada vera e autentica
, è in questo marasma che Bauman, con naturalezza esplode il suo pensiero nei suoi scritti. Il superamento del NOI mediante la soppressione del pronome LORO.

Nella società globale, dove tutti siamo interconnessi, dove ogni cosa ha un impatto sul pianeta, sui nostri figli e sulle prossime generazioni, dobbiamo ancora imparare a sviluppare una consapevolezza cosmopolita, gestiamo questa situazione con gli strumenti dei nostri antenati, con risorse superate e arcaiche. Se non si cambia… ci si estingue.

Il Natale sociale (termine improprio), potremmo dire che rappresenta un tempo extra-ordinario, viene atteso tutto l’anno, è una festa spartiacque con un prima e un dopo, si contano persino i giorni che ci separano all’arrivo del Natale, si ritorna con la memoria all’anno precedente per ricordarsi come è stato e cosa abbiamo fatto o con chi lo abbiamo trascorso.

Non è un giorno qualsiasi, è triste trascorrerlo in solitudine, mentre non è cosi in genere per gli altri giorni, quelli comuni. E’ quella che Durkheim chiama “effervescenza collettiva” che si innesca in determinate e particolari situazioni agganciate a riti/eventi proprio perché siamo attori sociali, soggetti collettivi e quindi poniamo in essere azioni collettive[13]. La libertà senza solidarietà non esiste, di fatto è una astrazione, ci si salva in modo collettivo e non individuale egoistico[14]. Al di la delle apparenze, è indubbio che il Natale porti con se un carico di emozioni sociali non secondarie a quelle individuali, forse perché l’uomo è sempre alla ricerca di un perché, di una domanda, di un guardare oltre, senza fermarsi alla prima risposta.

Ogni essere umano è qualcosa di unico ed irripetibile[15].



[1] Roberto Bin - Giovanni Petruzzella – Diritto Pubblico – Giappichelli 2022

[2] Antonio Marongiu – Lo stato Moderno – Edizioni Ricerche Roma - Collana La Sapienza - 1988

[3] Benedetto Conforti – Diritto Internazionale – Editoriale scientifica 2010

[4] A. Maslow – La piramide dei bisogni – in Psicologia del lavoro - P. Argentero – C. Cortese – Raffaello Cortina editore 2016

[5] Il Sole 24 Ore – 04/12/2021 - https://www.ilsole24ore.com/art/a-natale-110-miliardi-consumi-158-euro-testa-i-regali-AENPPA1

[6] Z. Bauman – Amore liquido – sulla fragilità dei legami affettivi – La Terza editore 2017

[7] V. H. Vroom – Teoria Aspettativa-Strumentalità-Valenza VIE – Introduzione alla Psicologia del lavoro – G. Sarchielli – Franco Fraccaroli – Il Mulino 2017

[8] Umberto Galimberti – Il senso del Natale – Feltrinelli 2020

[9] Ugo Fabietti – Antropologia culturale – l’esperienza e l’interpretazione – La Terza editore 1999

[10] Loredana Sciolla – Sociologia dei processi culturali – Il Mulino 2077

[11] Eleonora Chiais – Semiotica del Natale – Nemo-sancti editore - 2020

[12] Italo Calvino – Marcovaldo – ovvero le stagioni in città – Mondadori 2012

[13] Franco Crespi – Introduzione alla Sociologia – Il Mulino 2002

[14] Massimo Recalcati - https://www.politicamentecorretto.com/2021/09/10/cosmofarma-limportanza-dei-valori-la-lezione-di-massimo-recalcati/

[15] Hermann Hesse



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