-- Nightmare Alley (del Toro, 2022) --

-- Nightmare Alley (del Toro, 2022) --

Davide Lambardi

Una pietra miliare nella filmografia di del Toro: dopo 10 film in cui il protagonista dalle apparenze suo malgrado mostruose deve sopravvivere in un mondo che fraintende aspetto con identità, in questo 11° un Bradley Cooper in stato di grazia interpreta il mostro che, rifiutando radicalmente la propria identità, la cela scientemente a sé e agli altri, ai quali sa presentarsi soltanto dietro la maschera cui vuole assomigliare a ogni costo. Un mostro che rinnega tutto ciò che non riesce ad ammettere di essere, autodistruggendosi al termine di una lunga parabola di menzogne con cui si è illuso di potersi garantire l'accesso all’alta società prima di cadere rovinosamente nell'abisso del 'vicolo da incubo' che dà il titolo al film.

Quindi un'importante variazione sul tema per del Toro, da una serie di personaggi con cui empatizzare a uno da cui dissociarsi. Per portarla a termine era inevitabile che fosse tutto il resto della formula deltoriana a cambiare, virando dalle atmosfere fiabesche del gothic fantasy cui ci ha abituati in questi 30 anni verso il genere noir, di cui sfrutta i suoi ingredienti irrinunciabili, il cinismo crudele e l'attrazione per l'autodistruzione, per costruire personaggi disincantati e con un passato torbido da dissimulare per sopravvivere in un mondo più spietato di loro, fingendosi migliori della miseria con cui sono costretti a convivere. Date le tematiche di cui tratta solitamente del Toro - appunto l'essere umano come più mostruoso dei mostri o il potere delle istituzioni come forza nociva della società che sopprime l'anarchia creativa dell'individuo in nome di un ordine autoritario - è quasi strano che una sua incursione nel noir non sia arrivata prima da parte sua.

La spiegazione più semplice è (l'amara) constatazione che il noir sia un genere scomparso da decenni dalle sale, relegato ad altri media come la TV, dove trovano spazio innumerevoli serie poliziesche, e nei fumetti (Dylan Dog per tutti). Già questo è un indizio per non considerarla una rimozione culturale: in ambito cinema, il suo canone è sopravvissuto contaminando altri generi, in particolare la fantascienza, e sfruttato fino all'abuso nelle sue forme post-moderne, di cui la tarantiniana è una tra le più radicali. Tuttavia è indubbio che tra tutte le forme narrative inventate dalla Golden Age Hollywood, il noir sia quella più obsoleta e più difficile da riesumare oggi, vuoi per le sue stereotipizzazioni divenute inaccettabili per la sensibilità contemporanea, vuoi per i dialoghi arguti ed ermetici, vuoi per il pacing estremamente lento che il pubblico scambia troppo spesso per noioso. Forse è proprio l'immaginario cui si ispirava a non far più parte di noi con le sue metropoli vivibili solo di giorno, la criminalità dilagante, la corruzione delle istituzioni... o forse siamo noi ad aver rinunciato a mettere in discussione la nostra morale osservando le scelte di un uomo aberrante, costretto in un mondo che gli somiglia dove cane mangia cane, e scandalizzati abbiamo preferito optare per visioni della realtà meno ansiogene e conturbanti.

Tutte riflessioni che spiegano anche il flop di questo film al botteghino nonostante il cast di richiamo. A prescindere da ciò, c'è di buono che del Toro è un artista vero, che della spendibilità commerciale delle sue opere se ne frega il giusto, e che in questo caso ha potuto approfittare di un inedito potere contrattuale coi produttori grazie all'Oscar vinto per il suo precedente The Shape of Water, così confezionando un film indigesto fin dalle premesse al pubblico ma esattamente come lo voleva lui e come probabilmente non gli era mai stato concesso prima (confermando gli Oscar come premi utili al marketing delle produzioni più che a certificare il valore artistico di ciò che premiano, The Shape of Water tra le felici sporadiche eccezioni). La speranza è che la stessa libertà creativa gli sia concessa anche nel suo prossimo film, Pinocchio, un'opera che insegue ossessivamente da 15 anni (il fatto che sia stato comunque snobbato da tutte le produzioni tranne Netflix la dice lunga sullo stato deprimente dell'industria hollywoodiana e non fa ben sperare).

Dunque per la prima volta del Toro ci mostra una versione inedita del suo immaginario e della sua poetica, calandovi tutti i canoni del noir classico - la femme-fatale che è desiderio e rovina del protagonista, il conflitto tra anziani uomini di potere e giovani uomini volgari (intesi del volgo perché in realtà ributtanti lo sono entrambi i duellanti) e il trauma del passato che perseguita, da sopportare e soffocare con uno smodato uso di alcol e sigarette - resuscitandoli tutti e prendendosi sempre sul serio, eppure riuscendo a non scadere mai nella farsa. Dalla ricostruzione storica da manuale alla scenografia altamente simbolica e anticipatoria per la trama, ai tempi dilatati che danno un mood da Golden Age Hollywood (infatti del film è stata resa anche la versione in bianco e nero), alla sceneggiatura fatta di silenzi (che nel neo-noir contano quasi più dei dialoghi, basti pensare alle versioni parlata e non di Blade Runner): tutti i pezzi vanno al posto giusto a conferma del talento genuino dell'autore anche fuori dalla sua zona di comfort.

Negli USA del 1939 che cominciano ad accorgersi delle mostruosità in atto in Europa fin lì salutate con accondiscendenza, il mostro Stan nasce da un trauma (ir)risolto con la bieca vendetta e, fuggitivo dal suo passato, entra a far parte del mondo dei mostri, che in quest’epoca è rappresentato anche come un circo di freak. Persone che vivono del e per il loro essere mostri, in una realtà parallela ai non-freak coerentemente a tutti i film di del Toro, ovvero che dà accesso al fantastico e al metafisico e di cui i mostri sono emissari quando interagiscono con le persone comuni, in questo caso specifico esibendosi in performance artistiche per le quali gli astanti pagano così da evadere dalla loro monotona quotidianità.

Per la prima volta in un film di del Toro, mostri che non sono davvero creature magiche o sovrannaturali ma persone normali, afflitte dalle classiche deformazioni e patologie ma più che altro tutte dotate di un talento per la loro spettacolarizzazione. Mostri "simulati" che si intestano quel ruolo di tramite con il metafisico con professionalità, senza mai sconfinare nella truffa ma rimanendo sempre nell'ambito di ciò che è concesso a un artista di strada. Nel noir di del Toro, la magia vera del suo fantasy gotico lascia il posto alle illusioni da prestigiatore, ovvero la sua versione più triviale e concreta che non produce incantesimi ma si accontenta di portare a casa qualche soldo con cui arrabattare una cena a fine giornata.

Stan entra a far parte di questa schiera silenziosamente e con diffidenza per non destare sospetti sulle sue origini ma, pur limitandosi ad ascoltare e a esplorare questo mondo, subito ne rimane affascinato. Soprattutto nota un potenziale inespresso, castrato, ovvero il potere che questi freak hanno di convincere il pubblico pagante che il fantastico sia effettivamente un mondo metafisico a cui poter accedere e non una leggera manipolazione delle percezioni e dei contesti magistralmente orchestrata per catturare il loro interesse e imbonire la loro fiducia mentre gli sfilano un quarto di dollaro dalle mani.

Aiutato da un sorriso e una presenza fisica che in questo ambito contano come un talento naturale, Stan scopre la sua vocazione nel tirare a indovinare le persone, per cui si butta anima e corpo nello studio della disciplina migliorando quel talento con la tecnica appresa da Pete, ex-mentalista pentito che per Stan sfiora il ruolo di nuova figura paterna fino alle inevitabili conseguenze. Infatti, ben presto Stan rimane frustrato dai vincoli morali che Pete e colleghi mostri continuano a ripetergli di rispettare, ovvero di doversi limitare alla mera esibizione circense per evitare di valicare il confine tra artisti al sicuro in un contesto che li tutela e truffatori indistinguibili da quelli che abitano il mondo dei non-freak.

Limiti che tengono in piedi il fragile equilibrio tra i due mondi, i mostri esclusi dalla società e consapevolmente confinati in un circo che gli permette di sopravvivere al riparo dal suo giudizio impietoso, e i non-freak liberi di farvi visita per farsi consciamente abbindolare, comprando uno sguardo sul fantastico. Non appena questi vengono messi in dubbio, il monopolio della violenza piccolo borghese arriva a far capire chi è subalterno a chi, con arresti sommari e intimidazioni. Ed è proprio in questa occasione che il film svolta: Stan si espone in difesa della remissiva nuova famiglia di cui è entrato a far parte sfruttando ciò che ha imparato fin lì per far cadere in tutti i suoi tranelli il timorato sceriffo locale. Una prova che lo convincerà definitivamente di avere le capacità necessarie per abbandonarla, perché il suo gesto non è quello di un paladino disinteressato, ma di un narcisista patologico.

Incapace di accettare la propria natura e il ruolo che i mostri vorrebbero riservargli per il suo bene, Stan è inevitabilmente portato a riempire il suo vuoto d’identità compensando la sua profonda insicurezza con uno spasmodico desiderio di ottenere tutto quello che la sua abilità è in grado di conquistare, lasciando il circo per prendersi il mondo (inteso degli uomini) "e tutto quello che contiene", proprio come il Tony Montana di De Palma che qui sembra venire citato. L’unica cosa di cui Stan è convinto è che non vuole sprecarsi come si sono sprecati il padre che ha perso e il padre che ha acquisito nel circo, entrambi accomunati dalla rassegnazione priva di fiducia in se stessi che li ha portati a perdere le donne che amavano.

Per reazione, anche nei confronti delle donne Stan si pone come conquistatore: segnato dal trauma della perdita della madre a causa della debolezza del padre, appena posa il suo sguardo su una donna che le interessa subito rompe gli indugi senza farsi problemi nell’interpretare il ruolo di amante per una saggia moglie annoiata, di figura paterna mancante per una pura giovane innocente, e di feticcio sessuale per la vera femme-fatale del film. Tuttavia, gravato da un ego fuori misura, non si tratta mai di relazioni basate sull’amore, in quanto prevedono sempre una qualche sorta di guadagno personale per lui che sopprima il suo senso di inferiorità portandogli in dono prestigio o mezzi per continuare la sua scalata della società, tanto che appena smettono di essergli utili non si fa scrupoli ad abbandonarle, esattamente come fatto con il circo di freak.

Inutile dire che quando si sentirà invincibile di fronte a qualsiasi interlocutore credendosi sempre il più furbo tra i due della conversazione, quello sarà il momento in cui farà il passo più lungo della gamba, sottovalutando quella che alla fine per lui era solamente l’ennesima leva per elevare se stesso, una donna. E non è un caso che il personaggio di Cate Blanchette in questione (anche lei in partissima) sia una psicanalista che sfida un mentalista...

Durante una sessione di terapia le basta la prima domanda per mandare in crisi Stan e la recita che conduce senza interruzioni 24 ore al giorno, che lui stesso ammette candidamente di condurre, fiero di potersene vantare pensando di fare colpo piuttosto evidenziando quanto sia ridicolo il suo senso di superiorità con cui si atteggia a grande conoscitore della mente umana mentre è palesemente tenuto in pugno senza sforzo da una vera professionista della materia. Lilith che è a sua volta un mostro, colmo di rancore da scatenare su chi le ha fatto del male in passato unito a una drammatica solitudine, la quale le farà rischiare di innamorarsi di Stan mentre lo manovra come una pedina per arrivare ai suoi scopi: una vera femme-fatale, per certi versi simile all'antieroe della storia, per altri sua nemesi e antagonista, rendendo inevitabile l'attrazione erotica tra i due.

Il film trova il suo climax nel ‘41 con l’entrata in guerra degli USA nella Seconda Guerra Mondiale, quando la pazienza è esaurita e il momento di opporsi ai mostri non può più essere rimandato. Evento annunciato alla radio esattamente mentre nel frattempo il castello di menzogne di Stan crolla fragorosamente, smascherando la sua vera natura di fronte al mondo e ai suoi affetti: è il tipico parallelismo deltoriano tra il contesto storico e la storia che vi si ambienta, tra il momento storico in cui il male nel mondo divenne intollerabile e quello in cui la malvagità di Stan viene smascherata di fronte a tutti, le sue illusioni si infrangono e lo fanno precipitare ai margini della società, da cui non potrà più riemergere. Persa la sua chance di fare del bene perde anche tutto ciò che lo rendeva umano, trasformandolo in un mostro con cui non è più possibile empatizzare, una bestia.

Un film che dimostra il talento di del Toro nel fabbricare delle sceneggiature tanto intricate quanto serrate e asciutte, dove ogni momento è essenziale per far girare il meccanismo che porta all'ovvio finale. Dove ovvio non vuol dire banale, ma solo che si tratta della logica conseguenza di tutto quanto visto in precedenza, tra l'altro esposta neanche troppo implicitamente fin dall'inizio. Infatti, l’intero film è simbolicamente narrato nei suoi 15 minuti iniziali, quando uno Stan ancora alla ricerca di sé entra a far parte del circo di freak e fa la conoscenza di ciò che è destinato a diventare, inseguendolo (e inseguendosi) mentre cerca di evadere dal mondo dei mostri.

Una fuga dovuta al suo non identificarsi come tale e alla convinzione di essere finito lì contro la propria volontà quando invece non è altri che lui stesso l’artefice della propria fine. 15 minuti in cui Stan non parla mai finché non incontra il suo riflesso appunto, pronunciando le sue prime battute del film che sono di compassione mentre cerca di ammansirlo e con il quale sembra empatizzare a prima vista. Tuttavia quando questi tenta di aggredirlo, Stan subito esplode in una violenza calcolata e controllata, quasi come se fosse una routine a cui è abituato, e per questo apparendo spietato e tradendo la sua incapacità di elaborare la propria identità complessa, riducendosi a doverla zittire pestandola fin quasi al punto di ucciderla.

15 minuti che da soli basterebbero a raccontare in anticipo l’intero senso del film, ma in modo così ben celato che ce ne si rende conto solo quando si capisce dove si stia andando a parare col finale e che, riconoscendo la pena durissima a cui sarà condannato Stan, portano a un incredibile moto di compassione nonostante tutto il disprezzo provato fin lì. Una sequenza in cui i chiaroscuri della fotografia raggiungono l'apice del film, esaltando il conflitto interno di Stan mentre si trova in una scenografia disturbante ed espressionista che non sembra parte del mondo reale ma una bolgia infernale dantesca, dove gli è concesso avere un'anticipazione del contrappasso che lo attende alla fine della sua parabola, quando verrà condannato a pagare per tutti i peccati imperdonabili che ha commesso.

Impeccabile nella messinscena, si permette di lasciare sullo sfondo le tematiche soltanto sfiorate (come le condizioni dei freak di inizio '900), grazie a una forte scrittura delle leve che muovono il racconto, cioé i suoi personaggi, tutti credibilissimi tanto quanto la ricostruzione storica e utilizzati con cognizione di causa e dignità. E qui è facile fare il paragone con Freaks Out (Mainetti, 2021) in sala pochi mesi prima e simile per ambientazione storica (l'Italia post-armistizio di Cassibile) e soggetto (anche qui i fenomeni da baraccone, declinati in salsa supereroistica): un caleidoscopio di suggestioni e trovate geniali (che da sole giustificano la visione, anche solo per rinfrancarci sul fatto che il cinema di genere italiano si è solo deciso di smettere di farlo a livello produttivo, non perché ci manchino le idee) che però a metà lunghezza diventa un calderone dove tutto sembra gettato alla rinfusa, proprio perché manca un baricentro fondato sui personaggi a dare ordine e coerenza alla messinscena.

In definitiva, un film calcolato in ogni dettaglio con la massima precisione, che va spedito verso la potente morale finale senza divagazioni e rendendo funzionali alla storia ogni sequenza. Sicuramente uno dei migliori film di del Toro.

https://youtu.be/I25c2WZQqSY

Report Page