Amato Cortelloni e l'infelice odissea del Museo archeologico frignanese (...con un ricordo personale)

Amato Cortelloni e l'infelice odissea del Museo archeologico frignanese (...con un ricordo personale)

Giovanni Fantozzi
La copertina del libro di Cesare Romani presentato il 27 maggio al castello di Montecuccolo, alla presenza dell'autore e con l'introduzione di Alessio Bononcini

La presentazione del libro di Cesare Romani Memorie archeologiche frignanesi, Iaccheri editore, che si è svolta sabato scorso nella cornice del castello di Montecuccolo, è stata l’occasione per rievocare l’instancabile attività di Amato Cortelloni per il recupero e la salvaguardia delle più antiche testimonianze del Frignano.

Ultimo di nove fratelli, Cortelloni era nato a Monzone di Pavullo nel 1912. Per tutta la vita affiancò alla professione di notaio la passione per l’archeologia che lo portò, nelle vesti di Ispettore onorario per l’archeologia del Frignano, a esplorare e a “scavare” in lungo e in largo la montagna modenese, spesso a proprie spese, alla ricerca di manufatti di epoca storica e preistorica.

Le centinaia di reperti di cui era venuto in possesso tramite i suoi scavi o che gli erano stati donati dalla gente del luogo in seguito a rinvenimenti casuali, avrebbero dovuto essere esposti nel Museo civico frignanese, insieme ad altri oggetti che documentavano la storia, gli usi e i costumi della gente dei Frignano.

Alla sua morte avvenuta prematuramente a Pavullo nel 1978, quel progetto rimaneva ancora largamente sulla carta. L’eredità di Cortelloni passò allora al nipote Cesare Romani, anch’egli appassionato di archeologia e suo assistente, insieme alla cugina Rita Cortelloni, in molte esplorazioni nel territorio frignanese.

Amato Cortelloni intento a uno scavo a Piana di Musso (Coscogno di Pavullo), 24 luglio 1959

Per un decennio Romani si prodigò inutilmente per dare esecuzione alla volontà dello zio e realizzare finalmente un museo archeologico a Pavullo. Nel 1988, constatata in via definitiva l’insensibilità degli enti pubblici che avrebbero dovuto sostenere economicamente l’opera, Romani rinunciò all’incarico di direttore del museo e consegnò gli oggetti di cui era in possesso, regolarmente inventariati, alla Soprintendenza ai beni archeologici di Bologna.

Da quanto è dato sapere, al momento i manufatti si trovano in parte in deposito a Bologna, in parte esposti nei musei civici di Modena, e quelli di più grandi dimensioni e d’incerta provenienza, “dimenticati” nel polveroso magazzino comunale di Pavullo.

L’infelice odissea del Museo archeologico del Frignano rientra fin qui a pieno titolo nel novero delle “occasioni mancate” per valorizzare concretamente il territorio della montagna modenese. I ripetuti proclami sull’urgenza d’invertire il processo di declino demografico ed economico del Frignano, in atto da molti decenni, troppo spesso non sono seguiti da un coerente impegno degli enti pubblici. La cultura continua a essere relegata al ruolo di “cenerentola” e delegata alla meritoria e disinteressata iniziativa degli appassionati che nutrono amore per la propria terra, di cui Cortelloni è stato un importante ma purtroppo inascoltato esempio.

L’area archeologica in cui si concentrò maggiormente il lavoro di Cortelloni fu quella del Ponte Ercole, conosciuto ai più come Ponte del Diavolo, al confine tra i comuni di Pavullo, Polinago e Lama Mocogno, e a un tiro di schioppo dalla sua casa natale di Monzone. E’ lecito supporre che la sua passione per l’archeologia fosse scaturita in occasione delle visite a questo luogo suggestivo, noto da tempo immemorabile per i copiosi ritrovamenti di monete e oggetti di epoca romana, repubblicana e imperiale, probabilmente da ricondursi alla presenza di un luogo di culto molto frequentato.

Ponte Ercole o Ponte del Diavolo, nei pressi di Poggio Pennone o Monte Apollo, alla confluenza dei comuni di Pavullo, Lama Mocogno e Polinago. La sua forma particolare è all'origine della leggenda che sia stato modellato dal diavolo in persona

Gli abbondanti manufatti che affioravano intorno a questo monolite di arenaria lungo 23 metri diedero impulso alla leggenda che nei pressi si nascondesse un autentico tesoro in monete d’oro e, addirittura, un “vitello d’oro”, adorato dai romani.  

Per secoli la caccia a questo presunto tesoro contagiò febbrilmente ingenui paesani e avventurieri di ogni risma. Intorno al 1620 entrò in scena Rodolfo Montecuccoli, dissoluto esponente dell’illustre famiglia; per Rodolfo la scoperta delle ricchezze del Ponte Ercole divenne un’autentica ossessione, al punto da ricorrere a riti magici e a evocare nientemeno che il diavolo racchiuso in un cristallo di rocca. A dispetto di tutti i riti propiziatori, naturalmente non trovò nulla, come non trovarono nulla la sorella Lucrezia e la variegata combriccola che aveva raccolto intorno a sé, nella quale si distingueva anche un giovane prete, don Silvio Tomasi di Camatta.

Delle pratiche esoteriche e blasfeme utilizzate per rinvenire i tesori al Ponte Ercole venne a conoscenza la Santa Inquisizione, che arrestò e condannò nel 1623, per la verità a pene non severissime, i principali indiziati, compresa Lucrezia Montecuccoli, ma non il fratello Rodolfo nel frattempo deceduto. La sorprendente vicenda è narrata con dovizia di particolari nel volume di Andrea Pini La Santa Inquisizione al Ponte del Diavolo, anch’esso edito da Adelmo Iaccheri.

Andrea Pini, La Santa inquisizione al Ponte del Diavolo, Pavullo, Iaccheri editore, 2022

Anche se il mitico tesoro non fu mai trovato, cercatori più o meno occasionali continuarono a setacciare senza posa i castagneti tra Brandola e Monzone. E pur senza mai giungere a scoperte sensazionali, gli oggetti scoperti continuarono a essere numerosi e pregevoli. Nel 1732, Lorenzo Gigli, nel suo Vocabolario del Frignano scriveva che “in longo circuito di questo ponte si vanno successivamente, massimamente dopo gagliarde pioggie aspersive, scoprendo di quando in quando monete antichissime d’oro, d’argento e di bronzo, catenelle d’oro, aghi d’oro, anelli d’oro; diamanti, agate, ed altri vari preziosi lapilli in diverse bellissime statuette eccellentemente intagliati”.

Riproduzione a disegno di monete romane rinvenute a Ponte Ercole. Il quaderno originale di don Giuseppe Bosi, edito nel 1750, si trova presso la Biblioteca estense di Modena

A partire dalla fine degli anni ‘50, Cortelloni condusse al Ponte del Diavolo numerose indagini archeologiche. Le cronache documentano che nel 1958 lui, ricercatore serio e scrupoloso, fece ricorso anche alla radioestesia, mediante l’utilizzo di un pendolo o un legno a forma di Y, un metodo senz’altro scientificamente assai poco ortodosso. Per tradizione, la rabdomanzia era frequentemente usata dai cercatori di tesori, come documentano anche gli atti del processo dell'Inquisizione a Lucrezia Montecuccoli, e rimase pratica diffusa anche nel '900.

Nel processo dell'Inquisizione del 1623 contro Lucrezia Montecuccoli e i suoi soci è descritto il metodo per costruire una bacchetta in legno con la quale cercare tesori


Il curioso ricorso alla radioestesia da parte di alcuni collaboratori di Cortelloni a Ponte Ercole. E' probabile che tra i cercatori occasionali del luogo vi fosse qualcuno che ne facesse abitualmente uso, vantando scoperte inattese

Con o senza la rabdomanzia, i reperti inventariati tra il 1958 e gli anni ’60 da Cortelloni nei dintorni di Ponte Ercole furono comunque di buona quantità e qualità.

Le acquisizioni di quegli anni provenivano non solo dagli scavi ma anche dalle spontanee donazioni degli abitanti della zona, che nel corso del tempo avevano rinvenuto gli oggetti, per lo più monete, in circostanze spesso fortuite.

Alcune monete romane furono donate a Cortelloni da mio padre Giuseppe. La famiglia possedeva un podere a qualche chilometro dal Ponte Ercole e un castagneto di proprietà si trovava sul monte Pietra Beretta, quasi al limitare del Ponte. Qui un po' per caso, un po' per curiosità, rovistando nella terra intorno ai castagni mio padre e mio nonno avevano scovato alcune monete, che poi consegnarono a Cortelloni, quando si diede a setacciare con metodo tutta la zona e a chiedere informazioni sulle testimonianze del passato venute alla luce.

A mio padre l’appassionato archeologo promise che sarebbero state esposte nel museo frignanese che aveva in progetto. Purtroppo, anche quei reperti verosimilmente giacciono, insieme a molti altri, del tutto inutilizzati e dimenticati nel fondo di qualche magazzino.


Report Page