25 aprile, giorno della Liberazione

25 aprile, giorno della Liberazione

adi

25 aprile, giorno della Liberazione.

In questi giorni mi capita di dissotterrare ricordi che mi sembrava di aver perso, mi capita che fatti che mi sembravano lontanissimi diventino all'improvviso a portata di mano. Per esempio mi  viene spesso in mente il mio primo incontro con il movimento, verso la fine degli anni 90. Gli zapatisti del Chiapas erano in lotta già da anni contro il trattato NAFTA, avevano elaborato un linguaggio nuovo, che oscillava tra la poesia e l'invettiva politica, gli occhi del sub-comandante Marcos sfavillavano dietro il suo passamontagna e affascinavano il mondo, attivisti di tutto il mondo, intellettuali e persino star di Hollywood superavano i blocchi di San Cristobal per andare a conoscere i rivoluzionari EZLN, un esercito che aveva caricato i propri fucili con il suono delle loro parole: "camminare domandando", era uno dei loro motti.  Alla presidenza degli Stati Uniti c'era Bill Clinton, che Michael Moore, filmando la devastazione sociale di Flint, risultato della prima ondata di delocalizzazioni, accusava di fare la politica più reazionaria degli ultimi decenni. Io avevo poco più di vent'anni e da poco frequentavo il Forte Prenestino. Insieme a un gruppetto di compagni ci eravamo lanciati nel produrre una televisione underground che si chiamava Candida tv, registravamo e montavamo per tutta la settimana e al sabato qualcuno partiva in motorino fino a borgata Finocchio, alla sede di Teleambiente che la mandava in onda nella serata. Eravamo  lì a registrare quando arrivò la notizia che a  Seattle c'era stata una grande  manifestazione contro il Fondo Monetario Internazionale, c'erano stati scontri per tre giorni, la città era in fiamme, ma c'era  stato anche un forum con intellettuali e attivisti di tutto il mondo e dopo un po' di tempo qualcuno portò addirittuta un VHS che gli americani avevano prodotto e stampato da soli e inziammo a vedere con i nostri occhi cosa stava succedendo. La protesta del Chiapas stava dilagando, e noi, pur non  sapendo ancora che fare, capivamo che la cosa ci riguardava. L'occasione si presentò quando venimmo a sapere che poco lontano da Zurigo, a Davos, si sarebbe svolto il World Economic Forum. I compagni svizzeri da anni accusavano quegli incontri di progettare le nuove diseguaglianze e i nuovi sfruttamenti del  mondo, d'altra parte cos'altro potevano fare dei finanzieri ultramiliardari, asserragliati in una delle località più esclusive del mondo se non escogitare delle strategie per diventare ancora più ricchi e più potenti? Nel capitalismo non esiste stasi, o diventi più ricco o diventi più povero. Era il febbraio del 2000, da Roma partimmo con un paio di  macchine facendo tappa in vari centri sociali  lungo il percorso: al Leoncavallo di  Milano, poi Lugano,  Zurigo, dove era stato allestito il media center. Il media center negli anni successivi sarebbe diventato sinonimo di luogo di incontro e di coordinamento, ma sopratutto  avamposto strategico per controllare quanto più possibile la comunicazione di quello che facevamo. Qualcuno aveva capito che l'architrave della globalizzazione era proprio l'informazione, che da terreno di espressione era diventato uno  dei tanti asset in mano ai centri di potere. Del gruppone di sette o otto persone del Forte che arrivarano a Zurigo, io  fui designato per raggiungere la zona rossa, mentre gli altri avrebbero lavorato alla manifestazione di Zurigo. I compagni svizzeri sfoderarono un vecchio camper per viaggiare fino a Davos e allestire una specie di piccolo media center proprio lì, dove si sarebbero incontrate le sanguisuga del pianeta. Partii con un francese, uno svizzero e  una ragazza spagnola, nella cinquantina di chilometri che ci separavano da Davos la polizia ci fermò diverse volte, l'ultima in piena notte: erano addirittura in passamontagna, ci fecero scendere, ci disposero con le spalle contro un muro e tirarono fuori tutto quello che c'era dentro al camper, tutto. Furono molto insospettiti da una cassetta che avevo con me e  su cui c'era scritto techno-video-bombing, non volevano credere che fosse un montaggio di immagini psichedeliche che mi aveva regalato un tizio a Zurigo e me la sequestrarono. L'incantevole bellezza di Davos era offuscata dalla tensione: la polizia presidiava tutti gli angoli del paese e  controllava ossessivamente, spesso anche brutalmente. Passammo un paio di giorni disorientati, nevicava e il camper era freddissimo, la sera riuscivamo a mandare qualche breve report di quello che stava succendo, più di questo non riuscivamo a fare. Poi arrivò il giorno della manifestazione, non sapevamo se ci sarebbe stato qualcuno, se la polizia ci avrebbe caricato e arrestato, non sapevamo nemmeno se questa cosa della manifestazione era vera o era solo una  speranza. Uscimmo un po' prima dell'orario fissato, raggiugemmo il camper e poi, l'apparizione: un corteo di trecento persone marciava a passo spedito per le vie di Davos cantando l'internazionale in francese, nelle vie strette e fino al giorno prima deserte di Davos sembrava una valanga umana. A guidare il corteo c'era Vandana Shiva, con i suoi abiti indiani e con il suo viso dolce, di amore e di rabbia. Urlava, alzava i pugni, incitava gli altri, trasmetteva un carisma a cui era impossibile resistere, attraversammo tutte le pittoresche vie del paese, sotto la neve e con la gente del posto che ci guardava bonariamente. Alla fine riuscii pure ad  intervistare Vandana: era felice credo, era convinta di poter vincere la battaglia, di poter restituire giustizia al suo popolo. Nell'intervista mi disse quello aveva sempre detto e che avrebbe continuato a dire fino ad oggi: la Monsanto e le altre multinazionali agricole stavano riducendo in miseria gli agricoltotori indiani, stavano sterminando le colture tramandate per secoli, ma in quel momento poteva pensare che le persone ne stavano prendendo coscienza e sarebbero riuscite a  cambiare la rotta. E poi? E poi mentre io ero a Davos a Zurigo ci furono degli scontri violentissimi, non so come andarono esattamente le cose, tanti compagni furono arrestati, anche il Patata, uno del nostro gruppo, che faceva il dj ed era andato su con i piatti e con i dischi, lo tennero dentro  tre giorni senza farlo parlare con nessuno. E poi tante altre altre minifestazioni, tante discussioni, tanti libri, tanti dibattiti e tante botte. Soprattutto tante botte. Ed è andata a finire che quelli che all'epoca accusavamo di voler governare il mondo di nascosto adesso lo governano davvero, e alla luce del sole. Il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, Il WEF, sono loro che hanno in mano le redini della crisi di oggi e già è chiaro che la stanno usando e la useranno nel modo che in cui hanno sempre usato le crisi negli ultimi vent'anni: per ottenere più potere e più denaro, perchè nel capitalismo  non esiste  stasi: o diventi più ricco o diventi più povero. Ora io mi chiedo, dove stanno i compagni che erano con me a Davos, a Napoli, a Genova, alle manifestazioni contro la guerra? Non si accorgono di quello che sta succedendo?  Oggi io voglio  festeggiare il 25 aprile, lo voglio festeggiare davvero, con le persone che hanno capito in che tunnel stiamo finendo e che vogliano usare tutte le loro risorse umane per uscirne. Buon 25 aprile, buona Liberazione!


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