24 Maggio: l’Eritrea brilla sempre di più nel suo 33esimo anno d’età
di Filippo BovoEritreaShinesAt33, ovvero “L’Eritrea brilla a 33 anni d’età”, è stato uno degli hashtag più utilizzati negli ultimi tempi, man mano che l’Anniversario dell’Indipendenza s’avvicinava. Le nuove generazioni, sempre più “social”, s’affiancano a quelle (i lettori ci scusino per il termine) un po’ meno giovani, ma che non di rado coi figli e i nipoti si trovano a condividere croci e delizie dello stare in rete. Nel caso di certe comunità, e quella eritrea è sicuramente una di queste, le nuove forme di comunicazione garantite dal web hanno permesso d’accorciare simbolicamente le distanze, così come di renderle più immediate ed economiche. Non è difficile immaginare, dopotutto, quanto numerose famiglie si trovino ad essere un po’ sparpagliate tra il paese natio e l’estero, magari anche in più paesi europei o altrove: c’è chi magari risiede in Italia ma ha pure cugini in Germania o negli Stati Uniti, oltre magari ai nonni in Eritrea.
Sembra un po’ di parlare degli italiani, che bene o male hanno avuto la medesima esperienza di “popolo migrante”, a più riprese e verso più destinazioni: ma in fondo tutto il mondo è paese. Molti eritrei, tuttavia, tra gli Anni ’60 ed ’80 espatriarono non solo per ragioni economiche, ma soprattutto politiche: nel loro paese infuriava la guerra, sempre più accesa, tra il governo etiopico e i combattenti del FLE (Fronte di Liberazione Eritreo) prima e del FPLE (Fronte Popolare di Liberazione Eritreo) poi. In seguito, quando nel biennio 1991-1993 il paese è finalmente divenuto indipendente, la situazione ha iniziato a stabilizzarsi e molti eritrei liberamente andavano e venivano, quando per esigenze di lavoro, quando per ritrovare la famiglia, e così via ciascuno secondo i propri motivi. Stiamo raccontando troppe cose e tutte insieme: probabilmente i nostri lettori si staranno confondendo, soprattutto quelli italiani che alla storia eritrea sono meno avvezzi. Bene, nessun problema: rimedieremo facendo brevemente marcia indietro e raccontando tutta la storia per filo e per segno.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, al pari delle altre ex colonie italiane in Africa, anche l’Eritrea aveva tutto il diritto d’ottenere la propria indipendenza. Dopotutto, così stava avvenendo con diversi passaggi e procedure d’amministrazione fiduciaria per la Libia e per la Somalia, mentre l’Etiopia già nazione indipendente prima dell’aggressione fascista aveva visto ripristinata la propria sovranità sin dal 1941. Dopo la firma del Trattato di Parigi del 1947, che poneva ufficialmente termine al di fatto già smantellato colonialismo italiano, l’allora ministro degli Esteri Carlo Sforza s’era molto espresso in sede ONU affinché pure l’Eritrea si vedesse riconosciuto quel diritto all’autodeterminazione al pari delle altre. Inglesi ed americani tuttavia non la pensavano analogamente, preferendo un suo smembramento tra Etiopia e Sudan, oppure direttamente una sua annessione da parte dell’Etiopia. Prevalse infine questa opzione: dopo un periodo di gestione britannica, passò come Stato federato all’Etiopia nel 1952. In quell’occasione il Segretario di Stato americano John Foster Dulles, pur sapendo quanto gli eritrei volessero al contrario ottenere la loro indipendenza, cinicamente commentò: “Dal punto di vista della giustizia, le opinioni del popolo eritreo devono essere prese in considerazione. Tuttavia, gli interessi strategici degli Stati Uniti nel bacino del Mar Rosso e le considerazioni di sicurezza e di pace nel mondo rendono necessario che il paese sia collegato al nostro alleato, l’Etiopia”.
L’Etiopia d’allora, in quanto Stato autocratico retto da un monarca assoluto come il Negus, senza parlamento, partiti e sindacati, e neppure liberi giornali, mal tollerava lo Stato eritreo che gli inglesi le consegnarono: ben presto provvide a renderlo omogeneo al resto dell’Impero, svuotandone e sopprimendone le istituzioni interne fin proprio a sopprimerlo in quanto tale e a ridurlo a quattordicesima provincia etiopica nel 1960. Nessuno degli alleati del Negus, Haile Selassie, osò fiatare, ma a farlo furono gli eritrei che iniziarono sempre più a manifestare venendo severamente repressi dalle forze etiopiche sin dalla fine degli Anni ’50. Nel frattempo era nato il Fronte di Liberazione Eritreo (FLE), che mirava ad ottenere una completa indipendenza dell’Eritrea; fu Hamid Idris Awate ad iniziare quella che sarebbe stata una guerra trentennale, durata fino al 1991, con un attacco armato il 1 Settembre 1961. Il movimento combatté con valore, ma non riuscì a superare alcune sue contraddizioni interne che tra gli Anni ’60 e ’70 portarono alla formazione di un nuovo movimento, in parte nato da una sua costola, il Fronte Popolare di Liberazione Eritreo (FPLE). Il nuovo movimento aveva basi ancor più socialiste e marxiste, e non distingueva tra uomini e donne, dando a quest’ultime un enorme valore che le portò rapidamente a divenire oltre il 35% dei suoi combattenti.
Nel 1974 un colpo di Stato abbatté il regime imperiale, portando alla rapida scomparsa del Negus e all’instaurazione di una giunta militare, il DERG, in cui ben presto avrebbe cominciato a primeggiare la figura di Menghistu Haile Mariam. Questi diede all’Etiopia un sempre più marcato orientamento filosovietico, ottenendo dall’URSS una cospicua assistenza militare per fronteggiare le rivolte interne e sostenere la guerra con la Somalia scoppiata nel 1977-1978. Ecco perché così tanti eritrei nel corso del tempo si sono sparsi nel mondo, a partire dall’Italia e dal resto d’Europa: si fuggiva da un regime sempre più oppressivo come quello del DERG, a tacer del precedente, ma soprattutto per reperire fondi per la causa e curare i combattenti feriti. Merita una particolar menzione, in questo caso, la città di Bologna, che divenne la “capitale morale” degli eritrei all’estero fornendo loro i maggiori sostegni: nella città felsinea si tennero i primi grandi Festival della Comunità Eritrea e si diedero le maggiori cure a feriti e malati. Tutti questi spostamenti dal Corno d’Africa all’Italia e al resto del mondo furono resi possibile dalla Somalia che fornì i propri passaporti agli eritrei che altrimenti sarebbero rimasti intrappolati in Etiopia: molti di loro, sfollati in Sudan, potevano avvalersi del consolato somalo a Khartoum. Questo spiega la grande amicizia e gratitudine che l’Eritrea serba oggi verso le due nazioni sorelle in gravi difficoltà: per la Somalia Asmara sostiene il dialogo tra le fazioni ancora in contrasto e forma in gran numero i combattenti del nuovo Esercito Nazionale, per il Sudan analogamente svolge un ruolo diplomatico di primo livello per concluderne la guerra civile in corso ed ospita numerosi cittadini sudanesi fuggiti dai combattimenti, garantendo loro il tetto e il pane.
Malgrado l’immensa assistenza che i sovietici fornirono al regime di Menghistu, questi non riuscì mai a prevalere sui combattenti del FPLE: la sua tanto decantata Operazione Stella Rossa, dopo un iniziale successo, vide rapidamente crollare ogni risultato raggiunto, lasciando solo morte e distruzione. I soldati etiopici, catturati dal FPLE, venivano trattati come fratelli, curati e rifocillati prima che i combattenti eritrei li riconducessero oltre il fronte. Tornati in patria, questi riferivano che la realtà sul suolo eritreo era ben diversa da quella propagandata dal regime del DERG: ciò contribuì enormemente a demotivare le truppe etiopiche, indebolendone sempre più la presa esercitatavi da Menghistu. Questi, pur intensificando sempre più la misura dello scontro, si ritrovò sempre più solo nel proprio regime, mentre in tutta l’Etiopia scoppiava pure nel 1984 un’enorme carestia. Pochi anni dopo, nel 1989, l’URSS decise di chiudere la generosa assistenza che sino a quel momento gli aveva fornito, e che le era già costata centinaia di milioni di dollari del tempo tra fondi economici e materiali militari. Cuba, che aveva inviato un cospicuo corpo di propri uomini ad assistere gli etiopici contro gli eritrei, aveva già abbandonato Menghistu allorché Castro s’era reso conto chi davvero fosse quel colonnello etiopico in cui inizialmente aveva ravveduto una grande promessa rivoluzionaria; anni dopo, L’Avana si sarebbe scusata col nuovo Stato eritreo, stabilendovi rapporti da quel momento sempre più amichevoli.
Tra l’8 e il 10 febbraio 1990 l’Operazione Fenkil lanciata dal FPLE permise la liberazione di Massaua: Menghistu reagì nuovamente in modo duro, usando anche bombe a grappolo ed altro armamento proibito dalle convenzioni internazionali, come già aveva fatto in passato, dove anche il napalm era stata una delle sue “specialità”. Ma non servì: il FPLE avanzava sempre più, territorio dopo territorio, città dopo città. Il 21 maggio 1991 il FPLE liberò Dekhmare, segnando la decapitazione del comando militare etiopico nel territorio eritreo. Quello stesso giorno Menghistu si dimise e fuggì in Zimbabwe, con l’assistenza dell’intelligence USA: malgrado l’assistenza da Mosca, già negli anni precedenti era infatti riuscito ad ottenere un sostegno anche dagli USA e soprattutto da Israele, che come già sappiamo non gradivano l’idea di un’Eritrea indipendente. Tre giorni dopo, il 24 maggio, il FPLE entrò ad Asmara, liberandola dalle ultime residue presenze militari etiopiche. Pochi giorni dopo, le bandiere del FPLE sventolavano anche ad Addis Abeba, capitale etiopica, dove i combattenti eritrei erano giunti portando alla caduta di quel che rimaneva del vecchio regime. Tutti festeggiavano, eritrei ed etiopici, grande era l’emozione.
Ora i nostri lettori capiranno perché il 24 maggio è l’Anniversario dell’Indipendenza: due anni dopo, nel 1993, quando il referendum organizzato dall’ONU ratificò a larghissima maggioranza la volontà del popolo eritreo di costituirsi in un proprio Stato, sempre il 24 Maggio fu scelto per proclamare il nuovo Stato di Eritrea. All’indipendenza de facto, pagata col sangue, gli eritrei vollero ribadire anche quella de iure, con altrettanta energia e determinazione. In tutti questi anni, sotto l’accorta guida del Presidente Isaias Afewerki, che già dagli Anni ’70 era alla guida del FPLE, l’Eritrea ha compiuto in solitario enormi progressi: unico paese africano a rifiutare l’indebitamento con l’Occidente, venendo per questo subito osteggiata, ha preferito far tutto da sé, autofinanziandosi e costruendo nel tempo, solo per fare un esempio, 800 tra grandi dighe e bacini idrici, oltre a garantire ai suoi cittadini sanità ed istruzione completamente pubbliche e gratuite. Potremmo parlare per ore elencando le numerose altre opere pubbliche costruite o ripristinate, ad esempio in termini di politica degli alloggi o di ferrovie e strade ricostruite, o la messa a coltura di nuovi terreni per raggiungere l’obiettivo dell’autosufficienza alimentare, o ancora la rigorosa politica diplomatica ed internazionale, che ha visto il paese mediare in numerose crisi regionali e stabilire un rapporto strategico nel Movimento dei Non Allineati con alleati come la Russia, la Cina, l’India, l’Arabia Saudita, e via dicendo. E’ riuscita a far tutto questo nonostante le sfide del terrorismo internazionale, con al-Qaeda che dal Sudan aveva tentato d’insinuarsi nel suo territorio venendo prontamente sconfitta; con una nuova guerra d’aggressione da parte dell’Etiopia tra il 1998 e il 2000, che nuovamente l’ha vista vittoriosa; e con le sanzioni di tutto l’Occidente, a cui era inviso un paese africano così libero delle proprie azioni. Oggi, in una regione turbata da tante turbolenze, si staglia come un’unica isola di stabilità e di pace. Non mancheranno comunque le occasioni per parlare di questo e di tanto altro ancora: dopotutto ci siamo già fin troppo dilungati.
Ma ora permetteteci davvero di condividere con tutti voi, che avete avuto la pazienza di giungere fin qua, il nostro entusiasmo per questo Anniversario, e di dedicarlo alla memoria di quei Martiri che col loro sacrificio resero possibile il sogno di un’Eritrea finalmente libera ed indipendente. E, dunque, Auguri Eritrea!
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