2019-12 JW Broadcasting

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Vi do il benvenuto a questa edizione di dicembre 2019 di JW Broadcasting®.

La Scuola biblica di Galaad è iniziata il 1° febbraio 1943. Da allora in poi migliaia di studenti hanno partecipato a questo corso dedicandosi a un approfondito studio della Bibbia. E dopo mesi di studio intenso il conferimento dei diplomi è uno dei momenti più attesi per la classe. In questo programma vedremo la prima parte del conferimento dei diplomi della 147ª classe della Scuola di Galaad. Ascoltiamo con molta attenzione questi discorsi edificanti basati sulla Bibbia che sono stati pronunciati per gli studenti sabato 14 settembre 2019.

Questo è un giorno molto speciale per gli studenti della 147ª classe della Scuola di Galaad che oggi si diplomeranno. Vorrei cominciare con una domanda, e cioè: “Fin dove arriverete?” Se facciamo questa domanda a chi va alle superiori o all’università probabilmente intendiamo chiedergli se continuerà gli studi. Quindi se gli chiediamo: “Fin dove arriverai?”, il senso è: “Ti fermi al diploma? Pensi di prendere anche la laurea? Vuoi provare ad accedere al dottorato?” E spesso in genere l’obiettivo che spinge ad andare avanti negli studi è sentirsi realizzati, non necessariamente aiutare gli altri. Alcuni si dedicano alle “scienze pure”, cioè a quegli studi volti semplicemente ad aumentare la conoscenza teorica, senza però pensare all’utilità pratica. Altri studiano le cosiddette lingue morte, altri ancora i batteri o gli insetti, un ambito molto affascinante se ti piacciono gli insetti. Questi studi fanno aumentare la conoscenza, ma non sono necessariamente d’aiuto a qualcuno. L’istruzione divina invece è ben diversa, perché porta a chiedersi: “Fin dove voglio arrivare?”, non per sé stessi ma per aiutare gli altri. E in questo Geova Dio e Cristo Gesù ci hanno dato l’esempio. Seguitemi per favore e leggiamo insieme Salmo 113 versetto 6. Riferendosi al nostro meraviglioso Dio, Geova, dice: “Egli si china a guardare il cielo e la terra”. Ora, quanto in alto vi immaginate sia Geova? Ecco, per quanto in alto ve lo immaginiate, non è abbastanza. Lui è ancora più in alto. Geova è l’Iddio Onnipotente. Eppure guardate cosa diceva il versetto 6. “Egli si china”. Provate a immaginare questa scena: un uomo molto alto che parla con un bambino molto piccolo. Cosa fa l’uomo probabilmente? Si abbassa, per parlare con il bambino si piega sulle ginocchia e arriva alla sua altezza. Secondo voi come si sente a quel punto il bambino? Non è più intimidito, non ha più paura di quell’uomo così alto, si tranquillizza. Pensiamo adesso a Geova. Fin dove arriva Geova? Fino a che punto si ‘china’‎ per farci sentire amati, stimati e apprezzati? Che esempio meraviglioso ci dà: è disposto a ‘chinarsi’ per farci sentire a nostro agio con lui. E cosa possiamo dire del nostro Signore Gesù? Pensiamo a dove è arrivato per aiutare ognuno di noi. Apriamo la Bibbia in Filippesi 2. Qui capiamo che Gesù ha lasciato i cieli per venire sulla terra, giusto? Quindi fino a che punto è arrivato? Al versetto 5 leggiamo: “Abbiate lo stesso modo di pensare di Cristo Gesù, il quale, pur esistendo nella forma di Dio, non pensò di appropriarsi di qualcosa che non gli spettava, cioè l’essere uguale a Dio. Al contrario, svuotò sé stesso”. E cosa fece? “Assunse la forma di uno schiavo e divenne come gli uomini”. Fu disposto ad arrivare fino a quel punto. E, siamo d’accordo, la terra è un pianeta molto bello e affascinante. Ma chissà come sono i cieli! Gesù fu disposto a lasciare i cieli per venire qui e servire noi. E non solo, è andato ancora oltre. Leggiamo il versetto 8: “Per di più, quando venne come uomo, umiliò sé stesso e divenne ubbidiente fino alla morte, la morte su un palo di tortura”. Gesù fu disposto a spingersi fino a quel punto per aiutare gli esseri umani. Ok, ora siete venuti tutti qui, alla Scuola di Galaad. E perché siete venuti? Qual era l’obiettivo? Farvi conoscere di più la Bibbia? O forse farvi diventare esperti di storia biblica o trasmettervi nozioni di ebraico o greco biblico? No. L’obiettivo era prepararvi perché poteste rafforzare e dare stabilità nel campo e nelle filiali. È questo l’obiettivo della Scuola di Galaad. Nel campo e nelle filiali. Ma cosa sono il campo e le filiali? Sono persone. Perché sono le persone che hanno bisogno di sentirsi amate, che hanno bisogno di guida, di addestramento e di aiuto. E in classe avete approfondito Colossesi 4:11, che dice di essere per gli altri “fonte di grande conforto” o, per usare le parole della nota, “un aiuto rafforzante”. A questo punto la domanda che dovete farvi è: “Fin dove arriverò? Fin dove arriverò per essere un padre, una madre, un fratello o una sorella per gli altri?” Non c’è mai stato così tanto bisogno di questo tipo di aiuto. Oggi c’è un numero senza precedenti di fratelli che vengono perseguitati ed è molto probabile che questo numero aumenti. In alcuni paesi la malvagità ha raggiunto un livello mai visto; gli episodi di violenza incontrollata e i rapimenti sono ormai all’ordine del giorno. E molti nostri fratelli convivono con l’ansia e si sentono sotto pressione come mai prima. Loro hanno bisogno del vostro aiuto, hanno bisogno che siate lì per rafforzarli e confortarli. Certo, vi capiterà di pensare di non riuscire a farcela. A volte vi chiederete: “Cosa devo fare?” E magari non saprete esattamente cosa fare. E anche se ci avrete messo tutto l’impegno non otterrete i risultati sperati. Ma in quei momenti ricordate che i fratelli e le sorelle con cui state lavorando, quelli che state cercando di aiutare, sono persone meravigliose che collaboreranno con voi e vi sosterranno. Ma, più di tutti, ci sarà il nostro straordinario Dio, Geova, a sostenervi. Un avvenimento recente lo dimostra; quando me l’hanno raccontato mi ha incoraggiato molto. È successo ad Abaco, nelle Bahama. Poco più di una settimana fa il terribile uragano Dorian si è abbattuto su quelle località. Il comitato di soccorso si stava impegnando molto per trasferire i fratelli dall’isola di Abaco a Nassau. C’era un aereo a disposizione e si è fatto di tutto perché fosse pronto a partire da Nassau in serata. Nonostante quasi tutte le linee di comunicazione fossero interrotte, sono stati sfruttati tutti i canali possibili per dire ai fratelli che erano ad Abaco di raggiungere la pista di atterraggio. Ma proprio mentre si stava caricando sull’aereo tutto il necessario, i fratelli sono stati avvertiti che il governo non avrebbe dato il permesso di atterrare ad Abaco quel giorno. I fratelli hanno fatto di tutto. Hanno provato a insistere, ma le autorità sono state irremovibili. Provate a pensare come si saranno sentiti. Comunque, circa un’ora più tardi hanno ricevuto una notizia che non si aspettavano: 14 fratelli e sorelle da Abaco stavano per atterrare lì a Nassau. Non riuscivano davvero a crederci. Ma si sono messi subito all’opera per accogliere i 14 fratelli e sorelle che sarebbero arrivati stanchi e affamati alla Sala delle Assemblee di Nassau. In quel momento lì c’era una congregazione che stava tenendo un’adunanza e alla fine tutti sono usciti per salutarli e hanno cantato la nostra nuova canzone “Amore senza fine”. Che emozione devono aver provato tutti quelli che erano lì a Nassau! Naturalmente tutti si sono chiesti come avevano fatto a partire. I fratelli di Abaco hanno raccontato: “Abbiamo sentito il messaggio che diceva di andare alla pista di atterraggio e quindi ci siamo andati. È arrivato un aereo, e noi pensavamo fosse quello dei fratelli; invece era l’aereo di un’azienda che stava sorvolando l’isola. Quando l’equipaggio ci ha visto sulla pista, ha deciso di atterrare e farci salire a bordo”. Dopo questo racconto, piangevano tutti. Quattordici fratelli hanno ricevuto il messaggio, seguito le indicazioni, si sono incontrati per l’evacuazione e, come ha detto il comitato di soccorso, “Geova si è assicurato che i suoi servitori fossero messi in salvo”. Non è meraviglioso? Quindi anche quando dando il massimo vi sembrerà di non fare abbastanza per i fratelli, ricordate che c’è Geova: voi date il vostro meglio, lui farà il resto. Allora, fin dove arriverete se amate Geova e i fratelli? Quanto riuscirete a fare per gli altri? Riuscirete a fare tanto, tantissimo. Ora ascolteremo il primo discorso, che verrà pronunciato da un membro del Corpo Direttivo, il nostro caro fratello Samuel Herd. Ci farà un’importante raccomandazione, infatti il tema del suo discorso è: “Fate attenzione, ‘la conoscenza gonfia’!”

Ti sto guardando. E sto guardando anche te. Ma c’è qualcosa che io non posso vedere. Sta nelle vostre menti, nei vostri cuori. È la conoscenza. Avete sgobbato per 5 mesi, avete messo nei vostri cervelli tante informazioni e con la meditazione le avete fatte scendere fino al cuore. Magari pensate che non ci sia altro spazio. “Non ci sta nient’altro nel mio cervello!” Ma non è così. Avete spazio per mettere ancora un po’ di conoscenza nella vostra mente. E lo farete, anche se adesso forse vi sentite la testa scoppiare. Non fatela esplodere, ma riflettete su questo pensiero: “La conoscenza gonfia, mentre l’amore edifica”. Lo troviamo in 1 Corinti 8:1. Questo non deve succedere, specialmente quando si parla della conoscenza che viene da Geova. È una conoscenza che non ha lo scopo di farvi gonfiare, di farvi sentire migliori del vostro prossimo, cioè dei fratelli e delle sorelle che forse non hanno la conoscenza e l’istruzione che avete voi, che avete ricevuto qui. Non è questo lo scopo della conoscenza che avete acquisito alla Scuola di Galaad. C’è qualcosa a cui dobbiamo prestare attenzione. Di cosa stiamo parlando? Prendiamo la Bibbia. Apriamola in 2 Pietro, e diamo un’occhiata a quello che viene detto qui. 2 Pietro 1:5, 6 dice: “Per questa stessa ragione fate ogni diligente sforzo per aggiungere alla vostra fede la virtù, alla virtù la conoscenza, alla conoscenza l’autocontrollo, all’autocontrollo la perseveranza, alla perseveranza la devozione a Dio”. Vedete che cosa dovete aggiungere alla conoscenza? L’autocontrollo. Non dovremmo sparare a raffica tutte le informazioni che abbiamo ricevuto o parlarne continuamente. A prescindere da chi ci ascolta, dobbiamo controllare e misurare quanta conoscenza trasmettere in una o in un’altra situazione. Serve autocontrollo. Questo vuol dire che non dovremmo vantarci di quello che siamo riusciti a fare. Tutta la gloria deve andare a Geova, e non a noi. È facile che gli altri abbiano l’impressione che li stiamo sminuendo un pochino a motivo della nostra grande conoscenza. Perciò dobbiamo stare attenti, controllarci, e non vantarci. Mi viene in mente una favola che ho sentito raccontare anni fa; parlava di una pulce di nome Herman. Herman la Pulce salì sulla schiena di un enorme elefante. Sulla schiena dell’elefante, Herman passò su un ponte traballante, e il ponte traballava come se fosse sul punto di rompersi e crollare. Ma i 2 riuscirono ad attraversarlo. E quando giunsero dall’altra parte, Herman lasciò l’elefante. E una volta trovati i suoi amici si vantò di quello che aveva fatto con l’elefante, di come aveva fatto traballare il ponte insieme a lui. Quanto credete che abbia inciso Herman la Pulce sulle oscillazioni del ponte? Ma adesso facciamo una cosa: lasciamo stare le fiabe e passiamo alla Bibbia. Prendiamo la Bibbia, e scambiamo la pulce con una cavalletta. Leggiamo Isaia 40:22. Ascoltate: “C’è qualcuno che dimora sul circolo della terra, i cui abitanti sono come cavallette: colui che distende i cieli come un velo sottile e li dispiega come una tenda in cui abitare”. Quello che possiamo fare è applicare questo versetto a noi. Grazie al contesto, sappiamo che Geova non considera il suo popolo come delle cavallette, ma considera così le persone che hanno acquisito la sapienza del mondo. Sono come cavallette, dal punto di vista di Geova. È questo il contesto delle parole di Isaia. Ma lo applichiamo a noi perché siamo così piccoli agli occhi di Geova che possiamo essere paragonati ad una cavalletta sul dorso di un enorme elefante. E tutto quello che facciamo non dipende dalle nostre capacità, ma dall’aiuto che riceviamo dal cielo, da Geova. L’apostolo Paolo, ci dà un ottimo esempio di cosa significa non essere un pallone gonfiato. Che cosa possedeva? Moltissima conoscenza. Infatti, quando era conosciuto come Saulo di Tarso, era una persona molto istruita ed era un fariseo: possiamo dire quindi che per gli ebrei del tempo aveva un ottimo pedigree. Ma quando scrisse le sue lettere, non glorificò sé stesso. Per esempio, prendiamo 1 Corinti capitolo 2, e leggiamo i versetti dall’1 al 5. Notate come non permise alla conoscenza di gonfiarlo. Dice: “Così, fratelli, quando sono venuto da voi ad annunciarvi il sacro segreto di Dio, non l’ho fatto con parole altisonanti o con sfoggio di sapienza. Infatti, quando ero con voi mi ero proposto di non sapere nient’altro se non Gesù Cristo, e lui messo al palo. Sono venuto da voi con debolezza, con timore e con gran trepidazione; e le mie parole e la mia predicazione non sono consistite in persuasivi discorsi di sapienza, ma in una dimostrazione di spirito e potenza, perché la vostra fede non si fondasse sulla sapienza degli uomini ma sulla potenza di Dio”. Ecco un modello per noi. Facciamo del nostro meglio per seguirlo e per non essere come quelle persone che frequentano università prestigiose, riescono a ottenere questo o quell’altro titolo di studio, e poi non fanno altro che vantarsene. Noi non siamo così. Ma potremmo diventarlo, se non facciamo attenzione. La Bibbia ci mostra quello che la sapienza del mondo può ottenere e quello che non può ottenere. Per esempio, in Ecclesiaste 1:16-18, la questione viene posta così. Leggiamo: “Allora ho detto in cuor mio: ‘Ecco, ho acquisito grande sapienza, più di chiunque sia stato prima di me a Gerusalemme, e il mio cuore ha ottenuto una gran quantità di sapienza e conoscenza’. Mi sono dedicato a conoscere la sapienza, come pure la pazzia e la stoltezza, e anche questo è un correre dietro al vento. Infatti nell’abbondanza di sapienza c’è abbondanza di frustrazione, così che chi accresce la sua conoscenza accresce il suo dolore”. Perciò, se ogni tanto vi accarezza l’idea di saperne più degli altri, scacciatela via, cambiate. Noi non vogliamo pensare in questo modo. Non comportiamoci mai da saputelli! Gesù non sa tutto, anche se Geova lo sta istruendo da tantissimo tempo. Cosa intendiamo per tantissimo tempo? Beh, sappiamo solo che si tratta di un periodo di tempo lunghissimo, proprio impossibile da misurare. Solo Geova sa tutto. Tenetelo a mente. Niente sfugge alla sua comprensione. Come facciamo a saperlo? Ce lo dice la Bibbia. Torniamo al capitolo di Isaia che menziona la cavalletta, il capitolo 40, ma questa volta leggiamo i versetti 13 e 14: “Chi ha misurato lo spirito di Geova, e chi può fargli da consigliere e istruirlo? A chi si è rivolto per farsi spiegare qualcosa? Chi gli insegna il sentiero della giustizia, gli trasmette la conoscenza o gli mostra la via del vero discernimento?” Pensateci: possiamo sapere quello che dobbiamo sapere quando abbiamo bisogno di saperlo. Sembra uno scioglilingua, ma è un pensiero molto profondo. Tutti voi, diplomati di Galaad, parlate pure con altri di quello che avete imparato qui alla Scuola di Galaad. Dopo questo discorso non pensate di dovervi cucire la bocca. Non si sta dicendo questo. Ma abbiate il controllo su quello che dite, quando lo dite e a chi lo dite. Sappiamo che avete imparato tantissimo in questa scuola, ma parlatene con equilibrio. Ricordatevi queste parole del re Salomone: “Per ogni cosa c’è un tempo stabilito [...] un tempo per tacere e un tempo per parlare”. Non richiamate l’attenzione su di voi, ma su Geova. Glorificate sempre Geova, richiamate l’attenzione su di lui. Anche noi membri del Corpo Direttivo dobbiamo stare molto attenti perché ci vengono attribuiti dei meriti per cose che non dipendono da noi. I fratelli vengono ad abbracciarci e ci dicono: “Grazie, fratello membro del Corpo Direttivo. Sei proprio wow, uhhh, ohhh, ahhh!” Noi sappiamo di non aver fatto niente. Avreste fatto anche voi le stesse cose se foste stati al nostro posto. È lo spirito di Geova che rende tutto questo possibile. È vero, sì, noi siamo gli strumenti che usa, ma tutto dipende da lui. Non stiamo dicendo che non potete dirci: “Grazie, fratello, per quello che stai facendo, grazie del tuo lavoro”. State attenti però a non glorificare gli uomini, ma Dio. A noi membri del Corpo Direttivo vengono attribuiti meriti che non abbiamo. Tutto dipende da Geova e da Gesù, e noi vorremmo che gli oltre 8 milioni di fratelli in tutto il mondo comprendessero questo punto. Non è facile ma continueremo a provarci. In conclusione, siate come la cavalletta sul dorso dell’elefante. State vicini a Geova e godetevi il viaggio; ma ricordatevi di dare sempre a lui il merito dei vostri buoni risultati.

Grazie, fratello Herd. È importante ricordare quello che hai detto. Ovvio, quell’unica volta che cito gli insetti nell’introduzione il fratello Herd ne parla nel suo discorso. Forse ci serve saperne di più sugli insetti. Adesso ascolteremo un assistente del Comitato del Servizio del Corpo Direttivo, il fratello Christopher Mavor. Il titolo del discorso del fratello Mavor è: “‘Contate i vostri giorni’”.

Spesso ‘contiamo i giorni’ che mancano a un evento importante. Vi capita, vero? Sono sicuro che voi studenti di Galaad contavate i giorni che mancavano a questo conferimento. E forse saprete che oggi è il 138° giorno della vostra esperienza alla Scuola di Galaad. Ma una volta passata questa giornata, dovreste continuare a ‘contare i giorni’? Per rispondere a questa domanda, aprite la Bibbia con me al 90° Salmo; è una preghiera che Mosè fece a Geova. Notate cosa gli chiese Mosè al versetto 12: “Insegnaci a contare i nostri giorni, così che possiamo ottenere un cuore saggio”. Quindi la risposta alla domanda è: sì, dovremmo continuare a contare i nostri giorni. Ma cosa significa ‘contare i nostri giorni’? E perché abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio per farlo? La risposta è che siamo servitori dedicati a Geova Dio. Dobbiamo essere sicuri che stiamo usando ogni singolo giorno per servirlo e per rendergli gloria. È vero, siamo imperfetti, quindi farlo non è sempre facile. Infatti, se notate, al versetto 10 del 90° Salmo Mosè disse che i nostri giorni sono pochi e pieni di problemi. Quindi abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio per tener fede alla nostra dedicazione. Dobbiamo contare i nostri giorni, e Geova promette che sarà lì ad aiutarci. Notate la promessa che troviamo in Isaia 30:21. Geova dice: “E i tuoi orecchi sentiranno dietro di te una parola: ‘Questa è la via. Seguitela’, se mai doveste deviare a destra o a sinistra”. È un dato di fatto che abbiamo bisogno dell’aiuto di Geova per vivere una vita dedicata a lui. E meno male che non dobbiamo cavarcela da soli. C’è lui che ci guida e che ci indica la direzione. Ma avete notato cosa si aspetta che facciamo? Quando lui ci dà un’indicazione poi ci dice: “Seguitela”. È un’espressione molto chiara, vero? Non lascia dubbi. Nella nostra vita dobbiamo seguire la via che ci viene indicata. Non possiamo vivere la nostra dedicazione in modo passivo. Come cristiani abbiamo una vita molto intensa, un programma fitto di impegni. Se poi serviamo a tempo pieno potremmo ricevere un incarico con indicazioni precise su come svolgerlo, e persino i tempi entro cui svolgerlo potrebbero essere stabiliti per noi. Così potremmo ritrovarci a fare tutto automaticamente. Se non stiamo attenti potremmo farci trasportare dal flusso degli appuntamenti e del lavoro e perdere di vista perché stiamo svolgendo quell’incarico e per chi lo stiamo facendo. In effetti potremmo diventare come questo giovane fratello sulla zattera.

Si gode il paesaggio, si lascia trasportare dalla corrente. Ma si rende davvero conto di dove sta andando e perché? Se ne sta lì seduto, si guarda attorno. Non sta remando. Non sta dando attivamente una direzione alla sua vita; è passivo. Ma rimanere passivi nella nostra dedicazione a Geova è molto pericoloso perché, come dice Ecclesiaste 9:11, “il tempo e l’avvenimento imprevisto capitano a tutti”.

Questo caro fratello sta per avere un brusco risveglio. È spuntata una roccia imprevista: gli piomba addosso un’improvvisa tempesta di problemi. E siccome è passivo, viene colto alla sprovvista. Perde l’equilibrio e, spiritualmente parlando, fa naufragio. Non ha contato i suoi giorni. Nella sua vita si è dimenticato di ascoltare Geova Dio e di essere concentrato sulla propria dedicazione. Non ha ascoltato Geova. Gesù ha messo in evidenza che, per quanto riguarda la nostra dedicazione a Dio, è molto importante non essere passivi. In Luca 13:24 ci ha detto chiaramente che dobbiamo ‘fare ogni sforzo’, e non parlava solo di un incarico, ma di tutta la nostra vita come cristiani; parlava della necessità di sentirci coinvolti in prima persona in quello che facciamo come cristiani dedicati a Dio. L’apostolo Paolo diede al giovane Timoteo un buon consiglio che può essere utile anche a noi oggi. In 1 Timoteo 4:7 vi ricorderete che disse: “Esèrcitati avendo di mira la devozione a Dio”. Se ci stiamo esercitando vuol dire che non abbiamo ancora finito, ci stiamo ancora allenando, siamo ancora in gara. La devozione a Dio è qualcosa che siamo noi a dover sviluppare e richiede sforzo. Non è una cosa che viene da sé. E siamo grati che Geova ci aiuta. Ci ha dato la sua Parola, la Bibbia. Ci ha dato la sua organizzazione, che ci aiuta a mettere in pratica i princìpi biblici nella nostra vita e ci avverte delle cose a cui fare attenzione. Ma farlo dipende da noi. È come se Geova ci avesse dato un remo e ci avesse detto: “Prendilo e usalo per navigare nel flusso della tua vita”. Se lo facciamo, siamo come il giovane fratello che vediamo adesso.

Tiene il remo ben stretto. Lo usa anche nei periodi più tranquilli della sua vita cristiana, per essere sicuro di mantenere la direzione giusta. Quando incontra tentazioni o prove, ha già il suo remo in mano.

E Geova è lì per guidarlo, indicargli la direzione, aiutarlo a navigare attraverso i momenti difficili. Ci vuole impegno, e a volte può non essere facile, ma Geova ci ha dato gli strumenti che ci servono per navigare attraverso i momenti più duri e per continuare a impegnarci a vivere come cristiani dedicati. Gesù in questo ci ha dato l’esempio perfetto. Ogni giorno si affidava moltissimo alla guida di Geova. Non la dava per scontata. Sapeva che era stato mandato sulla terra con un incarico, e aveva poco tempo per portarlo a termine. Sarebbe stato impossibile per un uomo fare quello che fece Gesù, anche per un uomo perfetto come lui. Lui ci riuscì perché contava su Geova. Non lasciava le cose al caso: ogni giorno si rivolgeva a Geova per essere aiutato a mettere in pratica i princìpi che aveva imparato dalla sua Parola, e per ricevere la guida necessaria a svolgere il suo difficile incarico. E ogni giorno Gesù si rendeva conto che le cose che aveva insegnato e fatto erano state un miracolo. Lo disse lui stesso in Giovanni 14:10. Disse: “È il Padre, che rimane unito a me, a fare le sue opere”. Si rendeva conto che Geova lo stava sostenendo; Gesù lavorava con Geova e non lasciava le cose al caso. Anche noi possiamo avere lo stesso tipo di fiducia in Geova. Lui c’è sempre per noi, anche quando dobbiamo affrontare cose che ci sembrano umanamente impossibili. Pensiamo all’esempio che ci dà in questo una coppia che si è diplomata alla 24ª classe della Scuola di Galaad, Malcolm e Grace Allen. La loro storia si trova nella Torre di Guardia del 15 ottobre 2013 e vi suggerisco di leggerla. L’articolo dice che da giovani, subito dopo essersi sposati, hanno servito come pionieri, poi alcuni anni nella circoscrizione e poi sono stati invitati alla Scuola di Galaad; e dopo Galaad alla Betel di Brooklyn. Lì il fratello Allen ha svolto alcuni incarichi di responsabilità e sua moglie si occupava della pulizie. Amavano il loro servizio alla Betel. Ma dopo 25 anni di servizio alla Betel la loro vita ha subìto un improvviso cambiamento, una svolta. Inaspettatamente tutti e 4 i loro genitori si sono ammalati e hanno avuto bisogno di assistenza, così gli Allen hanno dovuto rinunciare al servizio alla Betel e al servizio di pioniere per potersi occupare di loro. Tenete presente che a questo punto avevano entrambi quasi 60 anni. Fin da giovani erano stati impegnati nel servizio speciale, quindi il fratello Allen non aveva una qualifica, o un lavoro che poteva tornare a fare. Ha dovuto cominciare a quasi 60 anni a mantenere la sua famiglia. E la sorella Allen ora doveva occuparsi dei loro 4 genitori. È stato un cambiamento drastico per loro, ma tenevano stretto il remo che Geova Dio gli aveva dato. Hanno imparato a contare su Geova Dio e ad appoggiarsi a lui ad ogni singolo passo, e ce l’hanno fatta. Il fratello Allen ha trovato un lavoro come assicuratore e con questo manteneva la sua famiglia. Sono andati avanti anche nei momenti più duri. Ce l’hanno fatta. Poi, quando i genitori sono morti, hanno pensato: “Beh, forse potremmo tornare a servire alla Betel”. Ma purtroppo, a questo punto della loro vita, erano la loro età e i loro problemi di salute a non permetterglielo. Quello che potevano fare era servire come leali proclamatori nella congregazione locale. E come l’hanno vissuta? Come una sconfitta? Hanno forse pensato di aver fallito, o si sono sentiti amareggiati per la situazione? Il fratello Allen ha detto una cosa molto profonda a proposito della sua vita nel servizio a Geova. Ha detto: “La vita è imprevedibile e a volte anche dura, ma Geova benedice chi confida in lui anziché contare su sé stesso. Questo è quanto io e mia moglie abbiamo constatato nella nostra vita lunga e soddisfacente”. Hanno vissuto una vita felice come dedicati servitori di Dio perché hanno fatto tutto quello che hanno potuto per dimostrare a Geova il loro amore e la loro lealtà, rimanendo devoti a Dio fino alla fine. E hanno visto la mano di Geova agire nella loro vita in modi davvero miracolosi. E presto vedranno un altro miracolo di Dio, perché ora entrambi si sono addormentati nella morte. Ma sappiamo che Geova ha già contato i giorni che mancano a quando risusciterà Malcolm e Grace, quando li riporterà in vita perché possano continuare a servirlo dedicati a lui per un’eternità di giorni avvenire. Questa è sicuramente una grande lezione per ognuno di noi: contare i nostri giorni e mettere tutto noi stessi nel nostro viaggio di cristiani dedicati a Geova. Quindi, cari studenti, ma in effetti tutti noi: in questi difficili ultimi giorni continuiamo ad appoggiarci a Geova e a impegnarci a fondo nel fare quello che lui ci indica di fare; e viviamo come la nostra dedicazione a Dio richiede! Così saremo di sicuro anche noi benedetti da Geova. Riceveremo da lui un’eternità di giorni da vivere nello splendido nuovo mondo che sta per arrivare.

Ti ringraziamo, fratello Mavor, per questi ottimi suggerimenti. Ora sarà un piacere ascoltare il discorso di un fratello che da poco è stato nominato assistente del Comitato degli Scrittori del Corpo Direttivo, il fratello Leonard Myers. Il suo discorso si intitola: “Hai confidato in me”.

“Hai confidato in me”. Qualcuno potrebbe dire: “Fratello Myers, non ti conosco nemmeno. Come faccio a confidare in te?” È vero che prima di confidare in qualcuno deve esserci un rapporto tra noi e lui. Ma il “me” in questione non si riferisce a un uomo. Si riferisce al nostro Dio degno di fiducia, Geova. E quella frase “hai confidato in me” la pronunciò Geova a Ebed-Melec, un uomo fedele. Perché Geova gli disse queste parole? E in che modo il suo esempio può aiutare voi studenti? Apriamo la Bibbia in Geremia 38. E mentre consideriamo il suo esempio, vediamo in quali modi Ebed-Melec confidò in Geova. Come sapete, era un eunuco etiope che prestava servizio nella casa del re Sedechia ed era un amico del profeta Geremia. A quel tempo Gerusalemme era sotto l’assedio dei babilonesi e Geremia aveva più volte dichiarato che la città era stata condannata. Aveva incoraggiato gli abitanti ad arrendersi per potersi salvare e questo aveva fatto infuriare alcuni principi, consiglieri del re Sedechia. Questi principi volevano difendere la città a tutti i costi, e Geremia rappresentava un ostacolo. In Geremia 38:4 si legge che i principi andarono da Sedechia e accusarono Geremia di ‘abbattere il morale dei soldati’ e di tutto il popolo. Da re debole quale era, Sedechia dice al versetto 5: “È nelle vostre mani; il re non può far nulla per fermarvi”. Sappiamo bene cosa significò questo per Geremia. Quei principi lo gettarono in una cisterna piena di fango. Con le scorte di cibo praticamente esaurite in tutta Gerusalemme, Geremia non poteva sperare che qualcuno gli portasse da mangiare. Sarebbe morto di lì a poco. Qui entra in gioco Ebed-Melec. Venne a sapere quello che avevano fatto i principi e confidando in Geova andò dal re, non in privato o in segreto, ma in pubblico, a una delle porte della città. E notate cosa dice al versetto 9: “O re, mio signore, [...] quello che questi uomini hanno fatto al profeta Geremia è sbagliato! Lo hanno gettato nella cisterna, e là dentro morirà di fame perché, a causa della carestia, non c’è più pane in città”. Quale fu il risultato di questo atto di coraggio e fiducia in Geova? Al versetto 10 il re dice: “Prendi da qui 30 uomini e tira fuori dalla cisterna il profeta Geremia prima che muoia”. Quei 30 uomini avevano certamente il compito di proteggerlo, eppure Ebed-Melec avrebbe ancora potuto temere la reazione di quei principi. Ma l’amicizia e il rispetto che aveva per Geremia insieme alla fiducia in Geova erano più forti della paura che provava. E come sappiamo, i versetti da 11 a 13 descrivono il successo di quell’operazione di soccorso. Ma cosa aiutò Ebed-Melec a essere così coraggioso quando avvicinò il re e quando liberò Geremia? Il fatto che confidava in Geova. E notate in che modo Geova ricompensò quella fiducia. Andiamo al capitolo 39 e cominciamo a leggere dalla seconda parte del versetto 16. Notate le parole di Geova pronunciate tramite Geremia a Ebed-Melec: “‘Ecco, faccio avverare su questa città le mie parole portando su di lei la calamità e non il bene, e in quel giorno lo vedrai accadere. Ma in quel giorno ti libererò’, dichiara Geova, ‘e non sarai consegnato nelle mani degli uomini che temi. Io infatti ti provvederò sicuramente una via di scampo, e non morirai sotto i colpi della spada. Avrai la tua vita come bottino, perché hai confidato in me’”. Ebed-Melec non aveva nulla da temere. Proprio come lui considerava preziosa la vita di Geremia, Geova considerava preziosa quella di Ebed-Melec e lo avrebbe salvato; tutto perché, come dice il versetto 18, aveva confidato in Geova. La Bibbia non dice se fu deportato a Babilonia dove morì di morte naturale o se rimase nel paese di Giuda, ma in ogni caso si salvò e poté continuare ad adorare il Dio in cui confidava. A questo punto Ebed-Melec sparisce dal racconto biblico, ma il suo nome rimane così come il suo esempio in quanto a confidare in Geova. L’idea di confidare in Geova non è nuova per voi studenti. La fiducia in Geova vi ha portati a questa scuola. Avete dato prova di confidare in Dio anche nei vostri incarichi alla Betel o nel campo. La fiducia vi ha aiutati anche qui, mentre studiavate. Ricordate le volte in cui avete chiesto a Geova di aiutarvi con una parte da svolgere o un esame, o come ha detto un fratello diplomato da poco: “quando il cervello è così pieno che ci vorrebbe una settimana di vacanza per assimilare tutto”? In quei momenti avete dovuto confidare nell’aiuto di Geova. E anche in futuro confidare in Geova vi aiuterà ad assolvere i vostri incarichi efficacemente. Notate i commenti di alcuni diplomati dell’ultima classe di Galaad. Un fratello ha scritto: “Abbiamo messo la nostra vita nelle mani di Geova. Ora preghiamo Geova con un’intensità e una fiducia mai sperimentate prima”. Un altro fratello ha scritto: “A volte mi chiedevo: ‘E adesso che facciamo?’ Poi ricordavo che quando mettiamo con fiducia le cose nelle mani di Geova possiamo essere certi che ci penserà lui o che ci aiuterà a capire cosa fare”. E infine un altro fratello ha scritto: “A volte ci siamo sentiti schiacciati: una nuova lingua, nuove responsabilità, nuova cultura e così via. Ma confidare in Geova ci ricorda che questa è la sua organizzazione, la sua opera, e i fratelli sono le sue pecore. Se facciamo la nostra parte e ci impegniamo, non c’è alcun dubbio che ci aiuterà. Non dobbiamo mai confidare in noi stessi”. Come nel caso di Ebed-Melec, confidare in Geova vi aiuterà ad assolvere i vostri incarichi con successo. Ecco 2 modi in cui potete rafforzare la vostra fiducia. Numero 1: confidare in Geova implica confidare nella forza dello spirito santo. Per esempio, confidare nello spirito vi aiuterà nei vostri rapporti con i fratelli e le sorelle. I vostri incarichi vi porteranno a stare a stretto contatto con loro. Si creeranno problemi a volte? Probabilmente sì. Siamo tutti imperfetti. Confidate nello spirito santo che può aiutarvi a coltivare amore, pace, pazienza, mitezza e autocontrollo, necessari per gestire quelle situazioni. Numero 2: confidare in Geova significa fidarsi di chi si fida lui. Geova ha costituito “lo schiavo fedele e saggio” su tutti gli interessi del Regno sulla terra. Fidatevi della nomina dello schiavo, fidatevi delle disposizioni di Geova e seguite tutte le direttive provvedute dallo schiavo. Questi sono 2 modi per rafforzare la vostra fiducia in Geova. Vi incoraggiamo a confidare in Geova specialmente quando affrontate situazioni difficili. In quei momenti ricordate versetti come Proverbi 3:5: “Confida in Geova con tutto il tuo cuore e non fare affidamento sulla tua intelligenza”. Salmo 56:3, 4: “Quando ho paura, io confido in te. In Dio, di cui lodo la parola, in Dio confido”. E Isaia 26:3, 4: “Custodirai quelli che ripongono completa fiducia in te; darai loro pace durevole, perché è in te che confidano. Confidate in Geova per sempre”. Versetti come questi possono davvero aiutarvi nei momenti difficili. La fiducia in Geova vi ha portati alla Scuola di Galaad, vi ha aiutati nello studio e vi aiuterà nei vostri incarichi. Come Ebed-Melec, continuate a confidare in Geova. Un giorno spero di conoscere ognuno di voi. Allora potremo davvero dire di fidarci l’uno dell’altro. Fino a quel giorno, cari studenti continuate a confidare in Geova in modo che lui possa dire a ognuno di voi: “Hai confidato in me”.

Ci hai dato davvero dei consigli eccellenti, grazie fratello Myers! Ora seguiamo con attenzione uno degli insegnanti della Scuola di Galaad. Sono certo che tutti gli studenti non vedono l’ora di ascoltare quello che ha da dire. Il fratello James Cauthon pronuncerà il discorso dal tema: “Scossi ma non abbandonati”.

Congratulazioni! Oggi vi state diplomando alla 147ª classe della Scuola di Galaad. È un giorno da ricordare. Godetevi questa giornata. Ve lo meritate, avete lavorato tanto. Anche quando pensavate di essere arrivati al limite, non vi siete arresi. Avete continuato a frequentare le lezioni e a confidare in Geova. In qualità di vostri insegnanti, ci fa davvero piacere vedervi così felici e sorridenti. E vorremmo potervi augurare che ogni giorno della vostra vita sia come questo. Però, anche se ci proviamo, non possiamo avere il controllo su tutto quello che ci capita nella vita. Questo vale per tutti: prima o poi le cose cambiano, è inevitabile. Alcuni cambiamenti sono piccoli. Altri, invece, sconvolgono così tanto la nostra esistenza da scuoterci profondamente. E quando questo accade potremmo improvvisamente sentire che non siamo più le persone che pensavamo di essere. Ci potrebbe sembrare di aver perso la nostra identità. Pensiamo a Mosè.

Crebbe in quello che all’epoca era uno dei posti più sfarzosi della terra, ovvero la corte reale egiziana. La famiglia reale viveva in residenze lussuosissime che si trovavano lungo il fiume Nilo. Erano case decorate con pietre preziose, dove c’erano piscine e giardini e dove si gustavano piatti prelibati preparati dalla numerosa servitù. Mosè probabilmente sapeva come erano stati costruiti alcuni tra gli edifici più straordinari che il mondo abbia mai visto. E perché? Probabilmente perché fin da piccolo fu istruito in materie come scrittura, matematica, scienza e architettura. Oltre a questo, Mosè avrà visto con i propri occhi l’Egitto diventare un grande impero e una potenza militare. Mosè crebbe in un ambiente privilegiato e ricco, e senza dubbio diventò un uomo sicuro di sé e influente. Atti 7:22 dice: “Così Mosè fu istruito in tutta la sapienza degli egiziani, e diventò potente in parole e in opere”. E così, quando uccise un egiziano per proteggere uno dei suoi fratelli ebrei, si considerò un liberatore. Era sicuro di sé, si sentiva pronto. Ma si sbagliava. Sappiamo cosa accadde dopo. Fuggì in Madian.

Non era più il principe prediletto e non esercitava più alcuna autorità, se non su qualche pecora. Quella sicurezza di sé che aveva in Egitto cedette il posto alla confusione, allo smarrimento e alla paura. Mosè sarà stato scosso. Spesso nella vita le delusioni ci fanno sentire tristi, insicuri e inutili. E tutti questi sentimenti in effetti ci privano della nostra preziosa identità. Il rischio che questo accada è ancora più alto se tendiamo a definirci in base alle nostre doti e qualità, oppure in base a quello che gli altri pensano di noi, o perfino in base all’incarico o al ruolo che abbiamo. Ma questo significherebbe in realtà dire: “Sono ciò che faccio”, o: “Sono ciò che gli altri pensano di me”. Questi sono filtri che distorcono e che ci fanno perdere di vista chi siamo realmente; così, quando poi arriva il cambiamento, siamo scossi. Ma siamo forse abbandonati? Torniamo a Mosè. Era lui la persona che era stata scelta per liberare gli ebrei? La risposta è sì. Era il momento scelto da Geova? La risposta è no. E poi Mosè non era ancora pienamente qualificato per quell’incarico. Doveva essere istruito da Dio, e quell’istruzione non poteva riceverla in Egitto. Era istruito dal punto di vista del mondo, era sicuro di sé, aveva contegno. Ma doveva sviluppare pazienza, mansuetudine, umiltà e autocontrollo in misura ancora maggiore. Geova lo sapeva, e sapeva anche come aiutarlo perché ci riuscisse: Mosè avrebbe svolto l’umile lavoro di pastore in Madian. Ora andiamo avanti nel tempo. Mosè vede il roveto ardente e rimane sbigottito quando Geova gli affida l’incarico di liberare gli ebrei, dopo 40 anni. Ora pensate a cosa avrà provato Mosè in quel momento: capisce di non essere inutile e che Geova lo considera ancora prezioso. Il dolore che prova ogni giorno per la sofferenza dei suoi fratelli ebrei viene sostituito dall’impaziente attesa per quello che Geova sta per fare, e sarà sicuramente qualcosa di straordinario. È chiaro quindi che Mosè non era mai stato abbandonato da Dio. Piuttosto, Geova lo aveva accompagnato in ogni momento durante quei 40 anni, lo aveva modellato e preparato per un incarico che andava ben oltre quello che lui avrebbe mai potuto immaginare. Geova farà lo stesso con voi. Lui è lungimirante, vede il vostro potenziale, sa come farlo emergere. E ricordate che Geova lo farà al momento giusto, al momento da lui stabilito; dobbiamo vedere la nostra situazione come la vede lui. Perciò quando arriva un cambiamento, qualunque esso sia, pensate che si tratta solo di una scena, non del film intero; si tratta di un capitolo, non di tutto il libro. Forse non sapete cosa succederà dopo, ma non preoccupatevi: Geova lo sa. Decenni più tardi, dopo che Mosè aveva condotto il popolo di Geova fuori dall’Egitto e l’aveva guidato attraverso il deserto, fu Giosuè a diventare il condottiero. In Deuteronomio 31:8 leggiamo che Mosè disse a Giosuè: “Geova [...] non ti lascerà né ti abbandonerà”. Queste parole l’avranno incoraggiato molto. Mosè non dimenticò mai quello che aveva imparato tanti anni prima. Era stato scosso, ma non era stato abbandonato. Forse fu per quel motivo che scrisse queste parole che possiamo leggere nella Bibbia, e vi saranno familiari: “Chiunque dimora nel luogo segreto dell’Altissimo sarà accolto all’ombra dell’Onnipotente. Dirò a Geova: ‘Sei il mio rifugio e la mia fortezza, il mio Dio, in cui confido’”. Ve le ricordate? Sono nel Salmo 91. Mosè aveva chiaramente capito che Geova era sempre stato con lui, sia nei momenti belli che in quelli difficili. Proprio come Mosè, anche voi vivrete momenti di gioia, a volte affronterete delusioni e, prima o poi, vi troverete davanti a un cambiamento. Forse si tratterà di lasciare un incarico a cui tenete molto. Potreste sentirvi devastati. A quel punto potrete o incassare il colpo e andare avanti o farvi mettere al tappeto. Ma come farete a incassare il colpo? Ci riuscirete se terrete a mente che voi non siete il vostro ruolo, non siete il vostro incarico, non siete il vostro privilegio; e se ricorderete che Geova continua ad amarvi, che lui ricorda tutto quello che avete fatto per servirlo e che vi attende un futuro meraviglioso. Questo vi farà accettare con serenità i cambiamenti che arriveranno. Ma c’è qualcos’altro che potete fare: potete usare la vostra esperienza per aiutare gli altri. E se sarete pronti a farlo anche quando sarete scossi per una vicenda personale, rivelerete la vostra lealtà e maturità. Fate le piccole cose come se fossero grandi. Sono le piccole cose che si fanno per gli altri a rivelare la grandezza del cuore. Fa tutto parte dell’addestramento che riceviamo, utile ora e nel nuovo mondo. E ricordate anche che di fronte a un cambiamento la cosa più importante è avere l’atteggiamento giusto. Geova vi benedirà non per il ruolo che avete ma per il vostro atteggiamento. Quindi, per concludere, i cambiamenti arriveranno. Il mondo cambia, le circostanze cambiano, noi cambiamo. Ma Geova no, non cambia; la sua Parola non cambia e il suo amore per voi non cambierà mai. È vero, a volte potreste essere scossi, ma siate certi: non sarete mai, mai, abbandonati!

Beh, non so voi, ma io me lo sono segnato: non importa il ruolo, ma l’atteggiamento. Me la rigiocherò. Grazie, grazie davvero, fratello Cauthon, belle riflessioni! Adesso ascoltiamo un altro insegnante della Scuola di Galaad, il fratello Mark Noumair. Il suo discorso si intitola: “Ricordate la visione”.

Sono stati pochissimi gli uomini che hanno avuto l’onore di avere una visione del trono di Geova. Ed è utile per noi scoprire di più su un uomo che ebbe questo privilegio e su come quella visione gli cambiò la vita. Vedremo in che circostanze ebbe la visione e soprattutto capiremo come quella visione può influire sulla vostra vita e quali lezioni dovreste sempre ricordare. Perciò aprite la Bibbia in Isaia 6:1, o ascoltate con attenzione le parole che troviamo lì. Isaia 6:1: “Nell’anno in cui morì il re Uzzia vidi Geova seduto su un trono alto ed elevato; i lembi della sua veste riempivano il tempio”. I lembi della splendida veste di Geova che riempivano il tempio, è questo che vide Isaia. Cosa significava? Che Geova era simbolicamente presente nel tempio e che era perfettamente consapevole di tutto ciò che succedeva lì, era consapevole anche di quello che aveva fatto il re Uzzia. Ora, ricorderete che a Uzzia non bastava essere re. Cosa fece infatti? Irruppe nel tempio, nell’area del Santo. Perché? Per offrire incenso come fosse un sacerdote. E per questo fu colpito dalla lebbra. Ma è interessante che Geova ispirò Isaia a scrivere non nell’anno in cui Iotam, il figlio di Uzzia, divenne re, bensì “nell’anno in cui morì il re Uzzia”. Indicando a Isaia di scrivere quelle parole nell’anno della morte di Uzzia, possiamo dire che Geova stava preparando il terreno per insegnare a Isaia quali sono le qualità che ama e quali quelle che odia. Questa visione avrebbe cambiato la vita a Isaia e vorremmo che la cambiasse anche a voi. Cosa succede dopo? Al versetto 2 leggiamo che Geova mostra a Isaia qualcosa che forse nessun altro uomo ha mai visto in visione: i serafini. Isaia è l’unico scrittore biblico che ne parla. I privilegi che questi serafini hanno, ovvero il loro alto rango e il fatto di servire vicino al Sovrano dell’universo, li spingono a coprirsi umilmente il volto con le ali e a cantare lodi a Geova in modo così potente da far tremare le fondamenta del tempio. Wow! Geova forse voleva insegnare una lezione a Isaia usando un contrasto. Riflettete su questo: Uzzia divenne re a soli 16 anni e inizialmente aveva dimostrato un ottimo potenziale. Anche Isaia quando divenne profeta era giovane, probabilmente tra i 20 e i 30 anni. Aveva una moglie che lo sosteneva, e che viene definita “profetessa”. Perciò mostrando a Isaia l’esempio di quegli umili serafini nello stesso anno in cui Uzzia morì, fu come se Geova volesse dirgli: “Isaia, sei un bravo ragazzo. Hai un gran futuro davanti a te. Hai anche una brava moglie, ma non diventare presuntuoso come Uzzia”. Davvero un forte contrasto su cui Isaia doveva meditare! Senza dubbio ebbe un potente effetto su di lui. Ed ecco la prima lezione: come Isaia, anche voi avete un gran futuro davanti. Ma non dimenticate il motivo per il quale siete stati chiamati a Galaad. Il vostro compito è dare onore a Geova Dio. Avete imparato a sostenere la sua organizzazione. Stiamo investendo su di voi per il futuro. Perciò ricordate la visione. Imitate i serafini. Copritevi il volto e rimanete sempre umili, evitando di attirare l’attenzione su voi stessi. Anche un piccolo gesto di vanto porterebbe gli altri a concentrarsi su di voi e comincerebbero a chiedersi chi siete e che incarico svolgete. Attenti: potreste distogliere gli altri dal dare gloria a Geova. Perciò quando l’idea di vantarvi vi tenta, ripensate al potente canto dei serafini. Cantate lodi a Geova, non a voi stessi. Qualsiasi incarico ricevete dovrebbe rendervi ancora più umili come i serafini, non farvi inorgoglire come Uzzia. E se rimarrete umili, Geova potrà impiegarvi al massimo. Sapete perché? Perché potrà essere sicuro che darete gloria a lui. I serafini non ambiscono a diventare re, non vogliono essere sacerdoti. Sono soddisfatti del lavoro che gli è stato dato. Siate come loro facendo la vostra parte nel promuovere la pura adorazione. Cos’altro ha potuto imparare Isaia da questo canto? Il capitolo 6, versetto 3, parte b, dice: “L’intera terra è piena della sua gloria”. Questa è un’affermazione interessante. Perché Geova avrà incluso queste parole all’interno della visione? Riflettete su questo: le persone a cui Isaia profetizzava erano fortemente apatiche. In Giuda la falsa adorazione era molto diffusa. E il regno ribelle delle 10 tribù di Samaria aveva rinnegato Geova. Forse Isaia aveva l’impressione che nessuno stesse dando gloria a Geova. “Dov’è la gloria che gli spetta?” Se si fosse concentrato su queste difficoltà avrebbe potuto facilmente scoraggiarsi e arrendersi. “A che serve continuare a profetizzare? Tanto nessuno mi ascolta”. Cosa gli avrà permesso di non arrendersi? Avrà avuto bisogno di ricordarsi della visione e di immaginare un futuro in cui l’intera terra sarebbe stata piena della gloria di Geova. E con gli occhi della fede si sarà concentrato su ciò che Geova doveva ancora fare per adempiere il suo proposito. Geova rafforzò Isaia tramite profezie riguardanti un futuro in cui la terra sarebbe stata piena della sua gloria, profezie sul Messia e il ristabilimento della vera adorazione. Isaia stesso fu testimone oculare dell’adempimento di profezie, come la caduta del regno delle 10 tribù per mano degli assiri. Poi, a più di 40 anni dall’inizio del suo difficile compito, ebbe l’onore di mettere per iscritto una delle più spettacolari dimostrazioni del potere distruttivo di Geova verso i suoi nemici: l’uccisione di 185.000 soldati in una sola notte. Una chiara prova che Geova può riempire la terra con la sua gloria. Fu come se Geova gli dicesse: “Ascolta, Isaia, so che intorno a te vedi solo malvagità, ma non ti distrarre. Concentrati sulle cose positive che sto realizzando ora e che farò in futuro”. Ecco la seconda lezione per voi. Quando vi sentite schiacciati dai problemi, dai difetti di una, 2, 3, 4, 5 persone con cui lavorate, dalle difficoltà legate al lavoro o dai privilegi che non arrivano, e iniziate a pensare: “A che serve lavorare così tanto? Perché impegnarsi per mettere in pratica tutto l’addestramento ricevuto a Galaad? Tanto non interessa a nessuno”, beh, allora fate un bel respiro. Fermatevi un attimo e ripensate alla visione. Distogliete l’attenzione da voi stessi e concentratevi su ciò che è davvero importante, cioè che tutta la terra si riempia della gloria di Geova. Concentratevi sugli 8 milioni e mezzo di persone nel mondo che stanno glorificando Geova Dio nel suo grande tempio spirituale. Ogni servitore di Geova ha un ruolo piccolo ma importante nella realizzazione del suo proposito. Se farete questo, lui vi aiuterà ad apprezzare il vostro posto nella sua organizzazione mondiale. A questo punto arriva l’invito, l’invito che conosciamo bene. Lo troviamo al versetto 8, ed è così vivido, così intenso che Isaia è spinto a rispondere: “Eccomi! [Eccomi!] Manda me!” Nessuna esitazione. Isaia non chiede cosa ci avrebbe guadagnato. Non chiede che incarichi avrebbero ricevuto gli altri profeti suoi contemporanei. “Che farà quel profeta? Che farà Michea? e Osea?” No. Dice solo: “Eccomi! Manda me!” Non è eccezionale? E in realtà lui non sapeva neppure cosa avrebbe comportato quell’incarico. I dettagli sarebbero arrivati, ma sarebbero arrivati 17 anni dopo. A Isaia viene chiesto di prendere il suo bambino, Sear-Iasub, e andare dal re Acaz, il malvagio re Acaz, per offrirgli aiuto. Riuscite a immaginarlo? Voglio dire, cosa avrà pensato Isaia? “Aspetta, Geova, fermati un attimo. Acaz uccide perfino i suoi figli e tu mi chiedi di portare mio figlio con me? Ti avevo detto: ‘Eccomi! Manda me!’, non: ‘Manda noi’”. E pensate anche a sua moglie, cosa avrebbe potuto dirgli? “Isaia, non pensare di portare il mio bambino con te. Sear-Iasub, torna subito qui”. Certo, sono solo ipotesi, ma ci aiutano a immaginare la scena. Quindi, sia Isaia che la moglie avevano bisogno di ripensare alla visione per ricordare che i lembi della veste di Geova, la sua attenzione, stavano davvero riempiendo Giuda. Geova era al corrente di tutto. Loro dovevano solo confidare in lui e seguire le sue indicazioni. E in effetti la reazione di Isaia fu: “Ci vado! Sarò fedele anche se il re non lo è”. Isaia non si lasciò condizionare dalla mancanza di integrità degli altri. Lezione numero 3: gli incarichi per sostenere l’opera del Regno non sono sempre facili, neanche per voi mogli. Quando vostro marito riceve un incarico che forse nessun altro vorrebbe, il vostro ruolo è fondamentale. Come reagite quando lui vi dice di quell’incarico? “Perché hanno scelto te? Non puoi dirgli di scegliere qualcun altro? Lo fanno fare sempre a te”. O invece siete orgogliose di lui perché dimostra di essere come Isaia, pronto ad accettare con fedeltà gli incarichi che riceve e anche offrendosi volontario per svolgerli? Il sostegno di voi mogli ha un valore inestimabile agli occhi di Dio, e può davvero fare la differenza. Cosa pensate avrà ricordato Isaia della visione? Indubbiamente non ricordava solo le immagini, ma anche i suoni della veste di Geova che si spiegava, riempiendo il tempio; le potenti ali dei serafini che colpivano l’aria e le parole melodiose del loro canto. Di certo saranno stati ricordi indelebili nella sua mente. Possiamo solo immaginare quante volte Isaia e sua moglie saranno ritornati col pensiero alla visione. E in che modo saranno stati aiutati a rimanere leali a Geova e non lasciarlo mai per più di 40 anni. La visione può fare lo stesso anche per voi. Questo è il punto. Questa visione ispirata, questo brano delle Sacre Scritture, può aiutarvi a rimanere attaccati a Geova e non lasciarlo mai, soprattutto nelle difficoltà. Quando non vi è facile mantenere forte la vostra fede, quando avete una sfida da affrontare, quando vi sembra di sprecare tempo ed energie, non arrendetevi. Ritornate col pensiero alla visione. Guardate quelle immagini; ascoltate i suoni e provate lo stupore che provò Isaia. E poi mettete in pratica quelle lezioni nella vostra vita. Mettete in pratica quelle meravigliose lezioni che vengono dalle Scritture. Imitate i serafini: copritevi il volto e rimanete umili. Vedete la gloria di Dio che riempie l’intera terra. Guardate il quadro completo. Tenete vivo il fuoco dell’“Eccomi! Manda me!” Quindi, ricordate la visione e mantenete così il vostro prezioso posto nel grande tempio spirituale di Dio ora e nel cuore di Geova per tutta l’eternità.

Grazie mille, fratello Noumair, ci hai incoraggiato molto!

Il programma di questo conferimento ci ha arricchiti spiritualmente. E nelle prossime settimane troverete la seconda e la terza parte del conferimento nella sezione JW Broadcasting del nostro sito. Non perdetevele! Prima di salutarci facciamo un salto nell’Isola della Riunione, che si trova nell’Oceano Indiano tra il Madagascar e l’isola di Mauritius. Qui ci sono splendide spiagge di sabbia vulcanica, cascate, profonde vallate, montagne impervie e uno dei vulcani più attivi al mondo, il Piton de la Fournaise. Il primo proclamatore del Regno arrivò qui nel 1955. Ora ci sono più di 3.000 fratelli e sorelle e oltre 400 servono come pionieri regolari. Anche se il francese è la lingua ufficiale, sull’Isola ci sono 3 congregazioni di lingua malgascia e 13 di lingua creola della Riunione. I fratelli predicano con molto entusiasmo, tanto che nel 2018 qui più di 6.500 persone hanno assistito alla Commemorazione. Questa è la congregazione di Grand Bois, composta da più di 130 proclamatori, e 13 sono pionieri regolari. In base al rapporto di maggio 2019, conducevano 61 studi biblici. Qui invece vediamo la congregazione di Salazie Creole. I suoi 21 proclamatori conducono ben 13 studi biblici! I fratelli e le sorelle delle congregazioni di Grand Bois e Salazie Creole sono molto ospitali e si stanno impegnando molto per predicare il messaggio del Regno. Vogliamo bene ai nostri fratelli dell’Isola della Riunione e li salutiamo con affetto. E vogliamo bene anche a tutti voi che state seguendo il programma. Dalla sede mondiale dei Testimoni di Geova, questo è JW Broadcasting!

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