Intweetion - Cosa c'è in mezzo

Intweetion - Cosa c'è in mezzo

Intweetion


Questa è una newsletter che segnala e racconta storie. 


'Intuizione', in inglese, non si scrive 'Intweetion',

ma si pronuncia - quasi - nello stesso modo.

 




Cosa c'è nel mezzo? Tra due momenti? Tra due punti del proprio e di ogni percorso? Tralasciando per un attimo il proverbio tirato in ballo - spesso a sproposito - da quelli che hanno subito promesse da marinaio (il celebre "tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare") o quello famoso per essere usato in maniera strumentale dai forzati del Relativismo ("la Verità sta nel mezzo!" - casualmente citatissimo da chi cerca di smarcarsi dalle proprie responsabilità o graziare quelle altrui), credo sia utile invece concentrarci sullo spazio più ampio e dilatato che sta - appunto - 'nel mezzo'.

'Nel mezzo' è dove cambiano le cose. C'è un'intenzione (un'intuizione, se preferite - io preferisco) che molla gli ormeggi dal punto A e approda diversa, diversissima a un punto B e ciò che accade nel mezzo è ciò che fa la storia della vita di una persona e di quelle coinvolte. I problemi iniziano - lo sappiamo tutti - perché 'nel mezzo' è difficile orientarsi. Ci sono momenti in cui vorremmo accelerare verso la metà (non si può, a meno di non essere disposti a rischiare di mancarla) e altri in cui vorremmo tornare al punto di partenza; perché forse non siamo poi così convinti, siamo stanchi, abbiamo paura (a proposito, vi rovino la sorpresa: il punto A non esiste più una volta partiti).

Insomma, sembrerebbe che l'unica possibilità sia rimanere in mare (e rimanere in metafora) e vivere 'nel mezzo' quel tanto che ci tocca prima dell'approdo. Però noi esseri umani siamo dotati di testoline imprevedibili, siamo furiosi scoiattoli cocainomani e quindi ogni tanto - in un guizzo di follia e chiamando a raccolta le ultime energie - facciamo una cosa che fotte l'Universo: scartiamo di lato. È un po' il nostro "arrocco", la nostra "presa del dito Wuxy", il nostro asso nella manica che spariglia le carte e sbalordisce il tempo (fateci caso: quando troviamo quel gesto anticonvenzionale e improvviso, le cose sembrano rallentare a una velocità quasi accettabile per pensare di gestirle). 

Cosa accade quindi se scartiamo di lato nel mezzo di un 'viaggio' da A a B? Shazam! Le strade si moltiplicano. Ma come: non dovevamo andare verso B? Sì, certo, ma 'nel mezzo' succedono un sacco di cose e pensare che il percorso possibile sia uno solo è un po'... come dire: ...ridicolo? Dov'erano quindi prima queste molteplici, bellissime strade che ora ci entusiasmano e il cui numero di possibilità ci dà perfino un po' alla testa? Sempre qui, dove sono ora. Noi però, concentràti sul punto B ("Quandoarriviamo, quandoarriviamo, quandoarriviamo?.."), non avevamo provato a fare un gesto, una scelta, una semplice torsione del collo, un irriverente e infantile saltello per scartare di lato e riarrangiare la rotta. Anzi: le rotte. 

Succede anche questo, nel mezzo. Che puoi scoprire mille nuovi percorsi, mille nuovi modi proprio per stare 'nel mezzo', e magari trovi quello che piace a te.

Qualcuno avvisi quelli del porto al punto B che - se tutto va bene - stiamo arrivando.


Non proprio il mare, forse, ma la differenza tra desiderio e piacere (di più: la distanza colmata tra le due cose*) è meno breve di quanto non si pensi. In questo articolo di Oliver Burkeman pubblicato dal Guardian e tradotto su Internazionale, viene spiegata la differenza che intercorre e quanto il primo sia fondamentale per la definizione e per la qualità del secondo.

*Uso il termine vago e improprio non a caso. Cercando su Wikipedia, il Desiderio viene classificato come impulso, anzi, più precisamente, è "uno stato di affezione dell'io, consistente in un impulso volitivo diretto a un oggetto esterno", mentre il Piacere è "un sentimento o una esperienza, più o meno durevole, che corrisponde alla percezione di una condizione positiva".


Può capitare che il punto di partenza e quello di arrivo siano due riferimenti irrilevanti: in questo caso, ciò che cambia accade esclusivamente in mezzo, durante il tragitto percorso. "Transfiguration" è una camminata di poco più di sei minuti in cui un 'soggetto' muta costantemente forma variando la sua composizione. Remake aggiornato di un precedente lavoro del team Universal Everything, è un ipnotico e sbalorditivo esempio di CGI applicata. Imperdibile.


Ciò che sta in mezzo, che si interpone, determina anche la nostra capacità di ricordare. Registriamo un'informazione e poi il cervello ci aiuta, tramite una serie di processi cognitivi, a trasformarla in memoria. Ovviamente il cosiddetto information overload si configura come un ostacolo alla facilità di assimilazione e alla durata del ricordo nel tempo. Pantheon è un osservatorio sulla memoria collettiva. Monitora oltre 70.000 personaggi e ne classifica la persistenza del 'ricordo' in base a una serie di fattori, che potete confrontare voi stessi all'interno di ogni scheda. Attenzione perché, se iniziate ad esplorare, il rischio di perdersi è alto.


Ci siamo noi, esseri umani, che ci spostiamo e, nel mezzo, cambiamo. E poi ci sono i rondoni, che vivono senza toccare mai terra, sperimentando un'idea diversa di come intercorrono spazio e tempo. Cosa possono insegnarci?


La narrazione è un buon modo per colmare ciò che sta nel mezzo, descrivendolo e approfondendolo. I paradigmi narrativi e produttivi, con buona pace di molti ("Ah... l'odore della carta...") stanno cambiando a una velocità altissima, incurante - grazie al cielo - degli stereotipi culturali e di chi li perpetra, anche spacciandosi per progressista. C'è bisogno di coraggio, di curiosità e di tecnologia applicata con intelligenza e sensibilità. Non di muraglie che difendono ciò che è indifendibile a scapito della diffusione culturale. Quelli del NYT lo sanno bene (anzi, benissimo) e stanno lavorando da anni in questa direzione. Come rendere immersiva la narrazione giornalistica? Come aggiungere valore e dimensioni a un'intervista o a un'inchiesta? Per esempio con la fotogrammetria ambientale. Cos'è? Ce lo spiegano loro, ovviamente utilizzandola. Applausi.


'Nel mezzo' risiede anche il concetto di distanza, un concetto spesso difficile da approcciare. Uno degli esempi di questa difficoltà si manifesta nella necessità di imporre dei sani confini alla propria disponibilità e generosità. "The giving tree" è un libro per bambini di Shel Silverstein, pubblicato nel lontano 1964. Un best-seller, uno di quei testi capaci di formare intere generazioni. Il messaggio alla base è chiaro (qui potete guardarlo e ascoltarlo in versione animata) e potente: donarsi ci rende felici. Migliori, anche. Quindi diamo tutto quello che abbiamo, senza preoccuparci delle conseguenze. Topher Payne, autore e sceneggiatore, ha dato vita al progetto "Fix it" in cui 'corregge' alcune pericolose esagerazioni contenute nei libri per bambini. Finora ha modificato due testi: uno è "The tree who set healthy boundaries: an alternate ending for Shel Silverstein's The Giving Tree", ovvero la versione "sì, ma occhio a non farsi depredare" del libro di Sliverstein.


Quando un elemento che viene aggiunto a un processo più o meno lineare non va a posizionarsi pesando sulle due estremità (avvio e risultato), finisce 'nel mezzo'. A questo punto l'espressione svela l'ennesima ambiguità: se qualcosa si mette 'nel mezzo' è percepita come un ostacolo - almeno potenziale. Non è detto che lo sia, ovviamente, ma può diventarlo. Nell'industria musicale, la digitalizzazione dei formati e delle dinamiche produttive è ormai da anni un elemento con cui fare i conti. La recente intervista al CEO di Spotify ad esempio, contiene dichiarazioni forti, non necessariamente condivisibili, ma assolutamente divisive (in breve: non ci si può più permettere le 'assenze' di una volta. Far passare anni tra una pubblicazione e l'altra è un privilegio che non può concedersi più nessuno - dice lui). Eppure c'è stato un tempo in cui ciò che stava 'nel mezzo' era fonte di fantasiose trovate, nate dall'ingegno di alcuni appassionati. Idee che non solo hanno aiutato i fruitori ad attraversare uno spazio fatto di limiti, ma che, nel farlo, hanno dato forma alla cultura legata a quell'ambiente. La stringa 212-OPEC-SID a noi non dice nulla, ma per i veri appassionati di musica newyorkesi cresciuti durante gli anni '80 è invece la versione estesa di qualcosa che conoscono: l'OPEC SID. Nel giro underground, quello di band punk, hardcore, metal e new-wave, i concerti venivano promossi con la distribuzione di flyer (accade anche ora, ma in forma ridotta) o tramite inserzioni sul "Village Voice". Il che significava trovarsi nel raggio d'azione di chi volantinava o dover sborsare qualche soldo. L'idea venne a un gruppo di attivisti anarchici, riuniti sotto la sigla APRC (The Alternative Press and Radio Council), che decisero di utilizzare il denaro ricavato con concerti, sottoscrizioni e vendita delle fanzine (altro capitolo fondamentale della controcultura DIY statunitense e non solo) per avviare una linea telefonica. Al numero, un messaggio registrato in segreteria aggiornava - con voce piuttosto aggressiva... - sui live previsti per i giorni successivi. Qualche cent, un telefono pubblico e si poteva sapere dove andare a seguire i propri gruppi di culto. Il resto di questa bellissima storia è tutto qui.


UN LIBRO

In mezzo c'è una rete e - credetemi - è un bene che ci sia. Perché il Tennis è uno sport feroce e violento, sia dal punto di vista fisico che mentale. Ne parlo con consapevolezza: è l'unico sport che ho praticato seriamente e con una certa costanza (anche se non gioco più da decenni) e mi ha appassionato e formato moltissimo. Qualche tempo fa, in occasione della vittoria della giovanissima Cori Gauff, ho scritto un post che conteneva queste parole: "Nel Tennis sconfiggi sempre te stesso quando vinci. È una sensazione straniante, ma favolosa. Ti piglia anche un momento velocissimo di malinconia mentre vai a rete a fine partita. C'è un altro, lì, che in qualche modo sei tu. La parte di te che hai sconfitto". Mi concedo di riportarla perché - chi non ha mai giocato seriamente non lo sa - mi aiuta a descrivere una delle cose che ti insegna il Tennis: a fare i conti con il sé che è all'opera come avversario di te stesso. Un'attività in cui servono nervi saldi e colpi convinti, ma sempre rispettosi. Se avete amato questo sport o ne avete anche solo seguito saltuariamente i protagonisti, "Il Tennis è musica" è un libro immancabile. L'autore è Adriano Panatta - in collaborazione con Daniele Azzolini, direttore di "OkTennis" - ovvero uno dei tennisti migliori tra quelli che hanno rappresentato l'Italia (forse il migliore, insieme a Nicola Pietrangeli), sicuramente il più elegante e assolutamente capace di raccontare questo strano mondo fatto di gesti atletici, duelli psicologici e scandito da un folle sistema di punteggio, tra i più anacronistici. Chi si aspetta una versione di "Open" (la vendutissima autobiografia di Agassi) all'Amatriciana - anzi: alla Carbonara, visto che Panatta è romano - sarà prontamente smentito. "Il Tennis è musica" lascia pochissimo spazio alle vicende personali, circumnavigandole con stile e concentrandosi sulla storia dello sport, i suoi più grandi protagonisti (sia femminili che maschili), sulle rivalità e l'analisi delle partite (mai troppo tecnica - vi basta conoscere i nomi base dei colpi), sulle debolezze (tante), sulla passione (tantissima) e sulle amicizie (insospettatamente numerose) che il Tennis ha prodotto. La narrazione è incredibilmente accattivante: il merito va sicuramente a Panatta che è ormai da anni un abile commentatore sportivo, ma anche all'editing di Azzolini. Il piacere bonus (almeno per me) è stato condividere tutte o quasi le valutazioni e vi assicuro che sarà interessante anche leggerle per contraddirle.


UN DISCO

Nata come musicista (violoncello e sintetizzatori), ma cresciuta al confine culturale tra diverse discipline (cinema, antropologia), la brasiliana paulista Priscilla Ermel, ha pubblicato quattro album tra il 1986 e 1992. John Gómez, compiler già noto per i due splendidi volumi di "Outro Tempo: Electronic and Contemporary Music From Brazil", ha radunato gli episodi migliori della discografia della Ermel in "Origens Da Luz": doppio LP licenziato sempre per la benemerita Music From Memory. Come accennavo, la Ermel è stata una personalità molto complessa, che ha scoperto il fascino e le radici del suo popolo nelle tribù amazzoniche e si è fatta poi portavoce dell'emergenza ambientale legata alla deforestazione. Una personalità dotata di uno sguardo obliquo sia sulla musica che sulla realtà: l'espressione "Outro tempo", ad esempio - contenuta nel titolo delle antologie di Gómez - è stata ispirata da lei e definisce la diversità del concetto da "Another Time" a "Another Tempo" (un tempo 'altro') durante il periodo del regime militare in Brasile, quello che vide la nascita della nuova musica brasiliana con Veloso e Zé - tra gli altri. Il disco è un compendio decisamente esaustivo della sua attitudine a stare 'nel mezzo' delle cose, in uno spazio continuamente mutevole che si traduce in paesaggi sonori evocativi in cui la componente quasi etnografica è perfettamente bilanciata con quella compositiva. Un disco ancestrale e modernissimo.


UN FILM / UNA SERIE

Non che in giro ci sia molto altro in grado di farci alzare il sopracciglio dalla curiosità, ma la notizia è che dal 1 agosto Amazon Prime ha finalmente messo a disposizione in streaming tutte le puntate di "The West Wing": ovvero una delle più belle serie mai realizzate, probabilmente nella Top 5 di tutti i tempi. Il capolavoro che ha dato via al (sacrosanto - se posso dire la mia) 'culto' di Aaron Sorkin. Accurata, divertente, scritta con un'abilità tale che renderà alcune trovate dei veri e propri cliché sorkiniani, imitati e assolutamente inimitabili. Il miracolo si ripeterà con "The Newsroom" qualche anno dopo e - ovviamente - con il pluripremiato "The Social Network". 

 


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