Old

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Recensione di Emanuele Sacchi


mercoledì 21 luglio 2021


Guy e Prisca stanno attraversando un momento difficile, ma tengono tutto nascosto ai figli Trent e Maddox, per non rovinare loro la vacanza speciale che si accingono a vivere: un periodo di relax in un resort esclusivo e poco noto. La proposta dei gestori del villaggio turistico di accedere a una spiaggia oceanica incontaminata sembra impossibile da rifiutare, ma presto i Capa scopriranno che il luogo nasconde un segreto.

Il gioco a cui M. Night Shyamalan ci e si sottopone, adattando molto liberamente la graphic novel "Castello di sabbia", agisce su più livelli e più dimensioni.

Tra queste l'attraversamento della quarta parete gioca un ruolo rilevante. La consapevolezza di essere, nonostante molteplici sforzi, conosciuto principalmente da Il sesto senso in avanti come "il regista dei twist (semplificando potremmo renderli con "colpi di scena") diviene, da possibile prigione, occasione ideale per prendersi gioco del proprio pubblico e del proprio cinema. Dove "gioco" non deve apparire come accezione irridente, bensì come "rimettere in gioco", nella forma più alta di rispetto e di approccio libero alla materia narrata.
Le produzioni recenti di Shyamalan sembrano insistere sull'idea che non occorre aggrapparsi disperatamente all'elemento narrativo, ossia a ciò che lo ha reso celebre in un primo momento, ma che questo rappresenta solo un velo - furbescamente cucito su una trama di genere - per celare profonde riflessioni sullo stato della società contemporanea. Sui ceti sociali che la costituiscono e sul loro bisogno di sicurezze che ribadiscano le distanze; sulla famiglia come elemento fondante, sempre più messo in discussione e alla prova, ma ancorato alla storia dell'uomo da una simbiosi antica e inscindibile.
Dal regista di Il sesto senso al creatore della geniale serie TV Servant è passata un'epoca di cambiamenti radicali e di evoluzione di un percorso autoriale. Lo Shyamalan di oggi ha sempre meno bisogno di rientrare in parametri mainstream e si muove liberamente, anche in senso letterale, grazie a una folle macchina da presa che non disdegna di avanzare e indietreggiare bruscamente.

Il disinteresse ostentato per la grammatica cinematografica cara ai contabili della sceneggiatura diviene un'ulteriore prova di forza per un autore che dispone del linguaggio a suo piacimento, con l'irriverenza di un Hitchcock o un De Palma e la naïveté di un giovane shooter alle prime armi.
L'orrore rimane principalmente fuoricampo, ed è forse il segnale più evidente di come Shyamalan utilizzi il genere più che aderirvi, invitandoci a guardare altrove. Old diviene così un laboratorio nel laboratorio, dentro la sceneggiatura e al di fuori dalla stessa, per proporre una nuova separazione tra un sistema isolato e uno interconesso (The Village), un'altra coppia che nasconde un segreto (E venne il giorno), bambini non sono ciò che sembrano (Servant, Il sesto senso), un'adolescenza che procede di pari passo con sgradevoli mutazioni corporee, impossibili da comprendere senza la loro esasperazione parossistica (Split).
Credere che Shyamalan giri sempre lo stesso film è fuorviante, a meno di intenderlo nella migliore accezione possibile della definizione, quella di Monet di fronte alla chiesa di Rouen, che preferisce affinare il medesimo soggetto, anche per sconvolgerlo, al salto nel buio. In questo senso l'insistenza sull'importanza del contrappasso e la riscoperta del fanciullo interiore assumono la forma di un ludus in cui evidenziare le parole con un colore sgargiante sembra l'unico modo per attirare l'attenzione su di esse. Il regista-bambino che si diverte con l'evidenziatore cerca compagni di giochi tra i suoi spettatori. Rinunciare assomiglia a perdere una occasione irripetibile, specie di fronte a lancette dell'orologio che scorrono troppo in fretta.

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