I poveri sono bestie. Parola di Eugenio Scalfari

I poveri sono bestie. Parola di Eugenio Scalfari

Eugenio Orso

 

Pubblicato il 23 febbraio 2016 su Pauper Class


I tempi attuali hanno questo di particolare: dovremo viverli sino in fondo e berne la coppa sino alla feccia.

Uno dei maestri residui del pensiero italiano (un altro, celebratissimo, è crepato recentemente), il nababbo Eugenio Scalfari, nei giorni scorsi se ne è uscito con tale argomentazione: i poveri soddisfano esclusivamente i loro istinti e voglie primari; non ne hanno di secondari: la ricerca di Dio, ad esempio; collezionare ceramiche Ming; leggere trattati di socialisti tedeschi dell’Ottocento; scrivere per il teatro; occuparsi di lirica et cetera.

Il loro mondo (il mondo dei poveri) è chiuso, basico, animale.

I poveri, ne consegue, dei bruti.

Ovviamente Scalfari ha ragione. Tutta la mia famiglia, ad esempio, in particolar modo i miei ascendenti diretti (nonni materni e paterni), son lì a confermare le sue tesi.

Aggiungo di più.

I poveri, quelli veri, quelli che ben presto popoleranno la nazione, sono pure brutti, sporchi e cattivi.

Brutti poiché le privazioni imbruttiscono; e un lavoro non intellettuale (lavoro intellettuale: scrivere articoli da quattro soldi con l’aria condizionata, i piedi sul tavolo e le sfogliatelle alla propria destra, ad esempio) non regala tempo per curarsi la barba come un orticello (altro esempio).

In quanto brutti i poveri attirano altri brutti: ne nascono, a meno di un terno secco cromosomico, figli brutti.

I poveri sono sporchi, poi, perché quando si è brutti, con un lavoro di merda, e la mattina ci si sveglia con una donna laida, grassa e sboccata al fianco (è un esempio pure questo) si va in depressione, e, in depressione, come tutti sanno, non si ha mica voglia di farsi la doccia, profumarsi con essenze che nemmeno si è in grado di comprare o tagliarsi i baffi in maniera cool.

Va da sè che un tizio che è brutto, con una moglie brutta, e figli brutti, senza una lira, con un lavoro merdoso e le ascelle che gli puzzano, si incattivisca ogni giorno che passa.

Queste mie considerazioni sembrano facili e posticce, ma non è così: si basano su una osservazione costante, empirica, trentennale, degli Italiani.

Quando dico che i poveri sono brutti intendo proprio questo: che esiste una relazione diretta, scientifica, causale, fra la mancanza di pecunia e le fattezze umane (le gambe delle donne: basta osservare le gambe delle nostre nonne e le gambe delle loro nipoti; la bellezza delle gambe delle donne è questione di censo. Le belle nipoti però non hanno da illudersi: le gambe delle loro figlie torneranno presto a incurvarsi).

Ed esiste una relazione diretta tra povertà e moralità umana (sempre dei poveri: ignoranti, zotici e maleducati).

Insomma Scalfari ha ragione: i poveri sono bestie.

Tuttavia oserei rivolgergli una domanda: com’è che i nababbi suoi pari (De Benedetti, Tronchetti Provera, Montezemolo, gli Agnelli et cetera) e tutti gli intellettuali che secolui intrattengono altissimi discorsi e pensose meditazioni (con una ruga sulla fronte), e tutti i dotti che ha il privilegio di interrogare con quesiti celesti sulla vita e sulla morte (vescovi illuminati, rabbini illuminatissimi, premi Nobel) – insomma tutta la sceltissima pletora di menti eccelse che i bisogni primari non sanno manco cosa siano, e vantano, invece, bisogni secondari, terziari, quaternari … come mai tutti questi eletti sono, alla fine della fiera, delle micidiali nullità?

È una semplice domanda, non altro.

Insomma, ragazzi miei, se l’italia è in declino da trent’anni almeno, tanto che la sua classe media è ormai in putrefazione culturale, a chi addebitare la colpa?

Non ai poveri, che pensano solo a magnà’, a beve e a scopà’ (i bisogni primari).

Cos’ha dato alla nazione De Benedetti? E Montezemolo? E il cardinal Martini, a ben pensarci, cosa ha fatto per impedire l’agonia dell’Italia? Hanno mai detto qualcosa, questi venerati maestri un tanto al chilo, contro la trasformazione d’un Paese geniale e bello in un mattatoio sociale (son solo tre esempi, potrei continuare per decine di pagine)?

Sorgono altre domande. Se i poveri sono come porci in calore, il cui unico scopo è guazzare nel tiepido brago della propria limitatezza, quali bisogni secondari aveva uno come Lapo Elkann? Privo di vere urgenze (proprie ai brutti, sporchi e cattivi), in realtà cosa cercava?

Son curiosità.

Che fanno sorgere altre curiosità. Esempio: cos’ha dato alla nazione Eugenio Scalfari? Come si son inverati i suoi bisogni secondari, terziari?

Mentre è sprofondato sui velluti della redazione di Repubblica meditando le superne cose de l’etternal gloria, insomma, che gli passa per la capoccia? Lui che è una delle punte più acuminate del genio nazionale.

Che gli passa per la testa a queste flebili increspature della storia della mediocrità, a parte tali sbocchi di boria suprematista, dopo decenni e decenni di chiacchiere, pontificazioni, giri di valzer, tradimenti? Quale debito vantano verso la comunità e il nostro futuro questi tronfi massoni del nulla?


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derosse il 24 febbraio 2016 alle 9:17 scrive:

Certo che è così e sarebbe strano il contrario. Buffoni sinistroidi da salotto come Scalfari, tutto meno che grandi personalità, quando moriranno saranno incensati come in vita. e i media martelleranno ancora per un po’ con le loro “opere”, la loro vita, il loro esempio(?). Chi si schiera fuori dal sistema – come Ida Maglie – ha e avrà forse “diritto” a qualche ansa, a un paio di parole alla fine di un telegiornale, ma niente di più. Costanzo Preve mi ha fatto, anni fa, l’esempio di Moravia, grande scrittore celebrato e incensato in vita dal sistema, ma, dopo qualche anno dalla morte, nessuno lo ricordava più e, oggi, le sue opere sono letteralmente cadute nel dimenticatoio.

Cari saluti

Eugenio Orso


derosse il 24 febbraio 2016 alle 18:36 scrive:

Non soltanto la coerenza non è gradita, ma è d’ostacolo alla carriera, così come l’esperienza e le capacità effettive, rispetto a quelle “potenziali”, frutto di una valutazione soggettiva (sei o non sei aderente al sistema? Ti adatti senza “resistere al cambiamento”?). Questo è il mondo in cui gli individui come Scalfari sguazzano, da bravi intellettuali celebrati e totalmente organici alla mediocrità.

Eugenio Orso


Nieuport il 24 febbraio 2016 alle 21:26 scrive:

Gli intellettuali di sinistra odiano i poveri perché sono sporchi, brutti e cattivi, oppure i poveri sono brutti, sporchi e cattivi perché gli intellettuali di sinistra li odiano?

A Firenze le ultime case popolari furono quelle delle Piagge dei primi anni 70. Da allora più nulla, in 40 anni le opere pubbliche realizzate sono state il Palazzo di giustizia, in stile gotico-Metropolis, per processare i poveri (Firenze è la città dove un giovane per avere rubato una tavoletta di cioccolato in un supermercato ha avuto due anni e tre mesi senza condizionale), il teatro dell’opera in stile Matrix, per far divertire i ricchi (era il fascismo populista che portava l’orchestra della Scala nelle fabbriche) e la scuola dei Carabinieri, in stile babilonese-Terminator.

Diceva Chesterton 100 anni fa che lo scopo del governo, allora, era la persecuzione dei poveri, ma chissà se Eco o Scalfari hanno mai letto Chesterton.


derosse il 25 febbraio 2016 alle 9:36 scrive:

Per Nieuport

La risposta alla tua domanda è, senza ombra di dubbio: “i poveri sono brutti, sporchi e cattivi perché gli intellettuali di sinistra li odiano”. Sarebbe più corretto e preciso dire, però, che gli intellettuali di sinistra (costantemente con la puzza sotto il naso) sono lacchè del grande capitale finanziario esattamente come i politici di sinistra, per conto del quale pontificano, pur mascherandosi (ma sempre meno efficacemente), da portatori di un progresso che dovrebbe assicurare l’emancipazione alle classi dominate …

Scalfari è semplicemente la merda più grossa in quel cesso che è repubblica (mi si perdoni la finezza).

Cari saluti

Eugenio Orso


Anonimo il 25 febbraio 2016 alle 19:41 scrive:

Mi permetto di mandarle un pezzo del meraviglioso libro

Chesterton ‘What is wrong with the world’ che ha spiegato tutto 100 anni fa. 

Gudge è il plutocrate conservatore, Hudge è il socialista, oggi il piedino:

“E ora, mentre il libro volge alla fine, sussurrerò nell’orecchio del lettore un terribile sospetto che mi ha assillato: il sospetto che Hudge e Gudge siano segretamente in partnership. Che l’opposizione che si dimostrano in pubblico sia una finzione, e che il modo in cui continuamente giocano l’uno per l’altro non è una coincidenza che si ripete.

Gudge, il plutocrate, vuole un capitalismo anarchico, Hudge, l’idealista, gli offre una esaltazione lirica dell’anarchia. Gudge vuole le donne al lavoro perché costano meno, Hudge chiama il lavoro femminile “libertà di vivere la sua propria vita”.

Gudge vuole operai tranquilli e obbedienti, Hudge predica il proibizionismo – per gli operai, non per Gudge. Gudge vuole una popolazione domata e timida che non prenda mai le armi contro la tirannia, Hudge dimostra col pacifismo di Tolstoi che nessuno deve mai prendere le armi contro nulla.

Gudge è naturalmente un gentiluomo sano e pulito; Hudge predica con impegno la perfezione dell’igiene di Gudge a gente che non può metterla in pratica.

Soprattutto, Gudge domina con un brutale e crudele sistema di licenziamenti e sfruttamento e lavoro di entrambi i sessi che è totalmente incompatibile con la famiglia libera, e che è destinato a distruggerla, perciò Hudge, aprendo le braccia all’universo con un sorriso profetico, ci dice che la famiglia è qualcosa che presto supereremo gloriosamente.

Non so se questa partnership di Hudge e Gudge sia conscia o inconscia. So solo che insieme tengono ancora l’uomo comune senza casa. So solo che incontro ancora Jones che gira per strada nel tramonto grigio, guardando con tristezza alle inferriate e alle reti che ancora proteggono quella casa che non è meno sua solo per il fatto che non vi è mai entrato.


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