Bhagavad Gita 5.1-2

Bhagavad Gita 5.1-2


La Bhagavad Gita Così Com'è

Sua Divina Grazie

A.C Bhaktivedanta Swami Prabhupada

⚜CAPITOLO 5⚜
Karma-yoga,
l’azione nella coscienza di Krishna

VERSO 1

arjuna uvaca
sannyasam karmanam krishna
punar yogam ca samsasi
yac chreya etayor ekam
tan me bruhi su-niscitam


Arjuna disse: Krishna, prima Tu mi chiedi di rinunciare all’azione, poi mi consigli di agire con devozione. Per favore, spiegami ora in modo definitivo quale delle due vie è la migliore.


SPIEGAZIONE: In questo quinto capitolo della Bhagavad-gita il Signore dichiara che l’azione devozionale è superiore all’arida speculazione mentale. In realtà il servizio di devozione è più facile perché, essendo trascendentale, libera l’uomo dalle conseguenze delle sue azioni. Il secondo capitolo c’introduceva alla conoscenza dell’anima, spiegando come essa si trovi prigioniera del corpo e presentava il metodo per mettere fine a questo condizionamento, cioè il buddhi-yoga, ovvero il servizio di devozione. Il terzo capitolo mostrava come la persona che possiede la conoscenza spirituale non abbia più alcun dovere da compiere. E nel quarto capitolo il Signore insegnava ad Arjuna che tutti i sacrifici culminano nella conoscenza. Tuttavia, alla fine del quarto capitolo, il Signore consigliava ad Arjuna, una volta che si era stabilito nella conoscenza perfetta, di alzarsi e combattere. Sottolineando l’importanza dell’azione devozionale e insieme dell’inazione nella conoscenza, Krishna scuote la determinazione di Arjuna, immergendolo ancora di più nella confusione. Arjuna pensa che la rinuncia nella conoscenza implichi la cessazione di ogni attività dei sensi: come si può, da un lato, cessare di agire e dall’altro agire nel servizio devozionale? In altre parole, Arjuna crede che il sannyasa, cioè la rinuncia nella conoscenza, implichi l’arresto di ogni tipo di attività, perché l’azione e la rinuncia gli sembrano incompatibili. Sembra non capire che l’azione compiuta nella conoscenza non genera nessuna reazione e quindi si ricongiunge all’inazione. Perciò Arjuna domanda se è preferibile rinunciare ad agire o agire in piena conoscenza.


VERSO 2

sri-bhagavan uvaca
sannyasah karma-yogas ca
nihsreyasa-karav ubhau
tayos tu karma-sannyasat
karma-yogo visisyate


Dio, la persona Suprema, rispose: La rinuncia all’azione e l’azione devozionale conducono entrambe alla liberazione, ma tra le due l’azione devozionale è la migliore.


SPIEGAZIONE: L’azione interessata, compiuta per la gratificazione dei sensi, è la causa del condizionamento materiale. Finché l’uomo agisce al solo scopo di migliorare le condizioni di vita materiale dovrà trasmigrare di corpo in corpo, perpetuamente prigioniero del mondo materiale. Lo Srimad Bhagavatam lo conferma:

nunam pramattah kurute vikarma
yad indriya-pritaya aprinoti
na sdhu manye yata atmano ’yay
asann api klesa-da asa dehah

parabhavas tavad abodha-jato
yavan na jijnasata atma-tattvam
yavat kriyas tavad idam mano vai karmatmakam yena sarira-bhandhah

evam manah karma-vasam prayunkte avidyayatmany upadhiyamane
pritir na yavan mayi vasudeve
na mucyate deha-yogena tavat

“L’uomo è avido di piaceri materiali, e ignora che il suo corpo, pieno di miserie è il risultato delle azioni interessate che ha compiuto in passato. Questo corpo, benché temporaneo, fonte di continue sofferenze. A che serve, dunque, agire soltanto per il proprio piacere? Vive invano l’uomo che non cerca di conoscere la sua vera identità. Finché non conosce la sua vera identità agirà solo per il proprio piacere e finché resterà immerso nella coscienza del piacere dei sensi dovrà trasmigrare da un corpo all’altro. Anche se abbiamo la mente immersa nell’ignoranza e pervasa dal desiderio dei frutti dell’azione dobbiamo imparare ad amare il servizio di devozione a Vasudeva, il Signore, Soltanto allora potremo troncare i legami dell’esistenza materiale.” (S.B. 5.5.4-6)

Per raggiungere la liberazione non è sufficiente essere uno jnani, cioè sapere di non essere un corpo materiale ma un’anima spirituale. Si deve anche agire come anima spirituale, perché questo è l’unico modo per sfuggire al condizionamento materiale. Infatti, l’azione compiuta nella coscienza di Krishna non ha niente in comune con l’azione materiale interessata, ma ci consente di avanzare verso la conoscenza pura. Rinunciare alle attività interessate, senza impegnarsi nella coscienza di Krishna, non basta a purificare il cuore dell’anima condizionata. E finché il cuore non è purificato è impossibile evitare d’impegnarsi in attività interessate. Ma l’azione compiuta nella coscienza di Krishna libera immediatamente l’anima dalle conseguenze dell’azione interessata e le impedisce di venire nuovamente coinvolta nelle attività materiali. L’azione compiuta nella coscienza di Krishna è dunque superiore alla semplice rinuncia, che comporta sempre il rischio di una caduta. La rinuncia senza coscienza di Krishna è incompleta, come Srila Rupa Gosvami conferma nel suo Bhakti-rasamrita-sindhu (1.2.258):

prapancikataya buddya
hari-sambandhi-vastunah
mumuksubhih parityago
vairagyam phalgu kathyate

“La rinuncia di chi desidera raggiungere la liberazione liberandosi di cose che, anche se materiali, sono legate a Dio, la Persona Suprema, è una rinuncia incompleta.” La rinuncia è completa solo quando è fatta nella consapevolezza che tutto appartiene a Dio e che nessuno può pretendere di essere proprietario di qualcosa. Dobbiamo capire che in realtà niente ci appartiene. Come si può dunque rinunciare a quello che non ci appartiene? Solo colui che riconosce in Krishna il proprietario di tutto è sempre situato nella rinuncia. Poiché tutto appartiene a Krishna, tutto va usato al servizio di Krishna. Questo tipo di azione, compiuta nella coscienza di Krishna, è perfetta e di gran lunga superiore alla falsa rinuncia di tutti i sannyasi mayavadi.


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