Bhagavad Gita 1.31-38

Bhagavad Gita 1.31-38


La Bhagavad Gita Così Com'è

Sua Divina Grazie

A.C Bhaktivedanta Swami Prabhupada

⚜CAPITOLO 1⚜

Sul campo di battaglia di Kuruksetra


VERSO 31

na ca sreyo ‘nupasyami
hatva sva-janam ahave
na kankse vijayam krishna
na ca rajyam sukhani ca


Non vedo che cosa possa portare di buono l'uccisione dei miei parenti in questa battaglia; mio caro Krishna, non desidero neppure la vittoria che ne seguirebbe, il regno o la felicità.


SPIEGAZIONE: Senza sapere che il proprio vero interesse risiede in Visnu (Krishna), le anime condizionate cercano relazioni basate sul corpo e non sull’anima, e sperano di trovarvi la felicità. Illuse come sono, dimenticano che anche la felicità materiale viene da Krishna. Arjuna sembra aver dimenticato perfino il codice morale dello ksatriya. Si dice che due categorie di uomini siano degne di raggiungere il sole, astro potente e luminoso: lo ksatriya che cade sul campo di battaglia sotto gli ordini di Krishna in persona, e colui che abbracciando l’ordine di rinuncia consacra completamente la sua vita alla cultura spirituale. Ad Arjuna ripugna dover uccidere i suoi nemici, e tanto più i membri della sua famiglia. Pensando che una volta uccisi non conoscerà più alcuna gioia, Arjuna non vuole combattere, come una persona che non ha appetito non ha alcun desiderio di cucinare perché non ne trarrà alcun piacere. Nella sua disperazione decide di andare a vivere nella solitudine della foresta. Ma uno ksatriya deve possedere un regno per poter vivere, perché non può accettare nessun’altra occupazione. Arjuna invece non ha terre su cui regnare; per lui l’unica possibilità di ottenere un regno è quella di battersi contro i suoi cugini e riconquistare il regno lasciato in eredità da suo padre. Ed è proprio questo che Arjuna rifiuta di fare. Perciò crede di non aver altra scelta che ritirarsi nella foresta per vivere nell’isolamento e nella frustrazione.


VERSI 32-35

kim no rajyena govinda
kim bhogair jivitena va
yesm arthe kanksitam no
rajyam bhogah sukhani ca

ta ime ’vasthita yuddhe
pranams tyaktva dhanani ca
acaryah pitarah putras
tathaiva ca pitamahah

matulah svasurah pautrah
syalah sambandhinas tatha
etan na hantum icchami
ghnato ’pi madhusudana

api trailokya-rajyasya
hetoh kim nu mahi-krite
nihatya dhartarastran nah
ka pritih syaj janardana


O Govinda, a che servono tanti regni, la felicità e la vita stessa, quando coloro per i quali desideriamo tali beni si trovano ora schierati su questo campo di battaglia? O Madhusudana, maestri, padri, figli, nonni, zii materni, suoceri, nipoti, cognati e altri parenti, tutti pronti a sacrificare la vita e le proprietà, sono presenti di fronte a me. Perché mai dovrei desiderare di ucciderli, pur sapendo che altrimenti essi ucciderebbero me? O sostegno di tutti gli esseri, non sono pronto a combattere contro di loro neanche in cambio dei tre mondi, che dire di questa Terra! Che vantaggio avremo dall'uccisione dei figli di Dhritarastra?


SPIEGAZIONE: Arjuna chiama Krishna “Govinda” perché il Signore è la fonte di ogni piacere per le mucche e per i sensi di tutti gli esseri. Usando questo nome significativo Arjuna indica che Krishna dovrebbe capire ciò che può soddisfare i sensi di Arjuna. Ma Govinda non esiste per il piacere dei nostri sensi, tuttavia se ci sforziamo di allietare i sensi di Govinda automaticamente anche i nostri sensi saranno soddisfatti. Nel mondo materiale tutti vogliono soddisfare i propri sensi e pretendono che Dio sia ai loro ordini per soddisfarli. Ma il Signore risponde alle nostre richieste secondo il nostro merito, non secondo il nostro desiderio. Se invece di cercare la soddisfazione dei nostri sensi, cerchiamo di far piacere ai sensi di Govinda, la Sua grazia appagherà tutti i nostri desideri. La compassione che Arjuna prova per i membri della sua famiglia e della sua comunità, e che gli impedisce di combattere, è una manifestazione del suo profondo affetto per loro. Tutti vogliono mostrare la propria gloria ai parenti e agli amici, ma Arjuna teme di non poterla condividere con loro dopo la vittoria, perché tutti i suoi parenti e i suoi amici moriranno sul campo di battaglia. Questo calcolo è tipico della vita materiale, ma non trova posto nella vita spirituale. Poiché desidera soddisfare il Signore, il devoto è disposto ad accettare tutte le ricchezze del mondo, se questa è la volontà del Signore, e a usarle per servirLo, ma se il Signore non vuole non accetterà nemmeno un centesimo. Arjuna non vuole uccidere i suoi parenti, e se essi devono assolutamente morire, vuole che Krishna se ne occupi personalmente. Ignora che Krishna li ha già uccisi, ancor prima che si disponessero sul campo di battaglia, e che lui deve diventare solo il suo strumento, come il Signore gli rivelerà nei capitoli seguenti. Arjuna, puro devoto del Signore, non ha alcuna intenzione di vendicarsi dei fratelli e dei cugini miscredenti, ma la loro morte fa parte del piano del Signore. Infatti, il devoto non si vendica mai di un’ingiustizia subita, ma il Signore non tollera che un miscredente offenda il Suo devoto. Il Signore può scusare chi Lo offende personalmente, ma non perdona mai chi fa del male ai Suoi devoti. Perciò il Signore ha deciso di uccidere gli empi, sebbene Arjuna voglia perdonarli.


VERSO 36

papam evasrayed asman
hatvaitan atatayinah
tasman narha vayam hanturh
dhartarastran sa-bandhavan
sva-janam hi katham hatva
sukhinah syama madhava


Saremo sopraffatti dalla colpa se uccidiamo i nostri aggressori. Non è degno di noi uccidere i nostri amici e i figli di Dhritarastra. Che cosa ci ricaveremo, o Krishna, marito della dea della fortuna, e come potremo essere felici dopo aver ucciso i nostri stessi parenti?


SPIEGAZIONE: Secondo i Veda esistono sei categorie di aggressori: 1) chi avvelena una persona, 2) chi incendia la casa altrui, 3) chi occupa la terra altrui, 4) chi saccheggia le ricchezze altrui, 5) chi assale con armi micidiali, e 6) chi rapisce la moglie di un altro. Uccidere tali aggressori non è un peccato, ma un dovere che non ammette esitazioni. Per una persona comune è normale uccidere questi aggressori, ma Arjuna non è un uomo comune. Egli è virtuoso per natura e vuole agire misericordiosamente verso i suoi nemici. Questo genere di santità non si addice però a uno ksatriya.

Un capo di Stato ha il dovere di essere santo ma non codardo. Sri Rama, per esempio, era così puro che ancora oggi tutti vorrebbero vivere nel regno di Rama, il rama-rajya; ma non mostrò mai segno di codardia, e quando Ravana Lo aggredì col rapimento della Sua sposa, Sita, Rama gli diede una lezione senza pari nella storia del mondo. Nel caso di Arjuna bisogna naturalmente considerare il carattere particolare dei suoi aggressori; si trattava di suo nonno, del suo precettore, degli amici, dei figli e dei nipoti. Perciò Arjuna pensa di non dover prendere contro di loro le severe misure prescritte normalmente per gli aggressori. Inoltre le Scritture ingiungono agli uomini santi di accordare sempre il perdono, in qualsiasi circostanza. Tali ingiunzioni destinate alle persone sante sono più rilevanti di qualsiasi emergenza politica. Gli sembra dunque più importante essere santo e religioso e perdonare piuttosto che uccidere i suoi parenti per ragioni politiche. Quale profitto trarrebbe dalla loro morte? Dopotutto, i piaceri del regno sono temporanei; perché dunque rischiare la vita e la salvezza eterna uccidendo i propri parenti? Qui Arjuna si rivolge a Krishna chiamandolo Madhava, il marito della dea della fortuna, per fargli notare che Lui non dovrebbe impegnarlo in un combattimento che sarà la causa della sua sfortuna. Ma Krishna non è mai causa di sfortuna per nessuno, tantomeno per i Suoi devoti.


VERSI 37-38

yady apy ete na passyanti
lobhopahata-cetasah
kula-ksaya-kritam dosam
mitra drohe ca patakam

katham na jneyam asmabhih
papad asman nivartitum
kula-ksaya-kritam dosam
prapasyadbhir janardana


O Janardana, se questi uomini accecati dalla cupidigia non vedono alcuna colpa nel distruggere la loro famiglia o nel lottare contro gli amici, perché mai noi, che in questo atto riconosciamo il crimine, dovremmo impegnarci in azioni colpevoli?


SPIEGAZIONE: Uno ksatriya non può rifiutare una sfida al gioco o in battaglia, Sfidato da Duryodhana, Arjuna non può evitare di combattere anche se pensa che i suoi rivali siano incapaci di prevedere le conseguenze di una simile sfida. Lui invece ne prevede le conseguenze e per questo motivo non vuole accettare la sfida. Un impegno è obbligatorio quando il risultato è positivo, ma se il risultato non lo è nessuno deve sentirsi obbligato. Considerati i pro e i contro, Arjuna decide di non battersi.


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