Bhagavad Gita 16.1-3

Bhagavad Gita 16.1-3


La Bhagavad Gita Così Com'è

Sua Divina Grazie

A.C Bhaktivedanta Swami Prabhupada

⚜CAPITOLO 16⚜

Natura divina e natura demoniaca

VERSI 1-3

sri-bhagavan uvaca
abhayam sattva-samsuddhir
jnana-yoga-vyavasthitih
danam damas ca yajnas ca
svadhyayas tapa arjavam

ahimsa satyam akrodhas
tyagah santir apaisunam
daya bhutesv aloluptvam
mardavam hrir acapalam

tejah ksama dhritih saucam
adroho nati-manita
bhavanti sampadam daivim
abhijatasya bharata


Dio, la Persona Suprema, disse: L’assenza di paura, la purificazione dell’esistenza, lo sviluppo della conoscenza spirituale, la carità, il controllo di sé, il compimento di sacrifici, lo studio dei Veda, l’austerità, la semplicità, la non violenza, la veridicità, l’assenza di collera, la rinuncia, la serenità, l’avversione per la critica, la compassione verso tutti gli esseri, l’assenza di cupidigia, la dolcezza, la modestia, la ferma determinazione, il vigore, il perdono, la forza morale, la purezza, la libertà dall’invidia e dalla sete di onori — queste sono qualità trascendentali, proprie degli uomini virtuosi dotati di natura divina, o discendente di Bharata.


SPIEGAZIONE: L’inizio del quindicesimo capitolo descriveva l’albero baniano che rappresenta il mondo materiale, le cui radici secondarie sono le azioni, talvolta favorevoli e talvolta sfavorevoli, degli esseri viventi. Il nono capitolo parlava dei deva, gli esseri di natura divina, e degli asura, quelli di natura demoniaca. Secondo gli insegnamenti vedici, le attività guidate dalla virtù sono favorevoli al progresso verso la liberazione e se sono considerate di natura spirituale, o daivi prakriti. Gli uomini di natura spirituale avanzano sulla via della liberazione, mentre quelli che agiscono sotto l’influenza della passione e dall’ignoranza non hanno alcuna possibilità di raggiungere la liberazione. Essi dovranno rimanere nel mondo materiale, o nella forma umana o nelle specie animali o in forme di vita ancora più basse. In questo capitolo il Signore spiega sia la natura divina, o spirituale, sia la natura demoniaca, con i loro rispettivi attributi, mettendone in rilievo gli aspetti positivi e negativi.

Il termine abhijatasya, che designa l’uomo nato con qualità spirituali, con tendenze divine, è molto significativo. La procreazione di un figlio in un’atmosfera divina è detta, nelle Scritture vediche, garbhadhana-samskara. In realtà, se i genitori desiderano un figlio dotato di qualità divine devono osservare i dieci princìpi della vita umana. In un capitolo precedente abbiamo visto che l’atto sessuale, quando mira a generare un bambino virtuoso, rappresenta Krishna stesso. La vita sessuale non può quindi essere condannata, purché sia compiuta in coscienza di Krishna. Coloro che sono nella coscienza di Krishna non devono generare figli come fanno i cani e i gatti, ma con lo scopo di farne persone coscienti di Krishna. Questa dovrebbe essere la benedizione che riceve un bambino nato da genitori impegnati nella coscienza di Krishna.

Il varnasrama-dharma, il sistema sociale che divide la società in quattro classi, o varna, non attua questa divisione secondo il principio di eredità. Questi quattro gruppi sono determinati dalla formazione personale degli individui e hanno lo scopo di mantenere la pace e il benessere nella società. Le qualità elencate in questo verso sono dette trascendentali, perché sono destinate ad aumentare nell’uomo la comprensione spirituale che gli permetterà di liberarsi dal mondo materiale. Nel varnasrama-dharma, il sannyasi (colui che è nell’ordine di rinuncia) è considerato la testa o il maestro spirituale di tutti i varna e gli asrama. È vero che il brahmana svolge il ruolo di maestro spirituale per i componenti degli altri tre varna — ksatriya, vaisya e sudra — ma il sannyasi, in cima all’istituzione del varnasrama, è il maestro spirituale anche del brahmana. Abhaya: assenza di paura. Innanzitutto, il sannyasi dev’essere senza paura. Dovendo vivere da solo, senza alcun sostegno e senza la prospettiva di averlo in futuro, non può che dipendere totalmente dalla misericordia di Dio, la Persona Suprema. Chi si preoccupa ancora se sarà protetto una volta troncati i legami con la famiglia e la società, non dovrebbe accettare il sannyasa, l’ordine di rinuncia. Si deve essere fermamente convinti che Krishna la Persona Suprema, Si trova sempre nel cuore di ognuno nel Suo aspetto localizzato di Paramatma, quindi Egli vede e sa sempre tutto delle nostre intenzioni. Bisogna possedere anche una ferma fede, la sicurezza che Krishna, come Paramatma, protegge l’anima che si è abbandonata a Lui. Si deve pensare: “Non sono mai solo. Anche se andassi a vivere nel cuore della foresta più oscura, Krishna sarebbe con me e mi darebbe ogni protezione.” Colui che possiede questa convinzione è abhaya, senza paura. Tale stato d’animo è indispensabile al sannyasi.

Sattva-samsuddhi: purificazione dell’esistenza. Il sannyasi deve purificare la sua esistenza seguendo i numerosi princìpi stabiliti a questo fine. Il più importante consiste nella severa proibizione d’intrattenere relazioni con una donna. Al sannyasi è perfino vietato parlare con una donna in un luogo solitario. Sri Caitanya Mahaprabhu, il Signore in persona, diede l’esempio del sannyasi perfetto: quando Si trovava a Puri, i Suoi discepoli di sesso femminile non potevano avvicinarsi a Lui neanche per offrirGli i loro omaggi, ma erano invitate a prosternarsi tenendosi a una certa distanza. Non bisogna vedere in questo un’avversione per le donne; è solo un dovere del sannyasi non intrattenere relazioni con loro. Se vuole purificare la sua esistenza, l’uomo deve rispettare le regole prescritte per il varna e l’asrama a cui appartiene. Nel caso del sannyasi è severamente proibito intrattenere qualsiasi legame con le donne e possedere ricchezze per la gratificazione dei sensi. Sri Caitanya Mahaprabhu fu un sannyasi perfetto e durante la Sua vita fu estremamente severo nel Suo comportamento verso le donne. Sebbene sia considerato l’avatara più liberale perché accettava sotto la Sua protezione le anime più cadute, Egli seguiva rigidamente le regole e i princìpi del sannyasa per quanto riguarda la compagnia delle donne. Uno dei sui intimi discepoli, Chota Haridasa, sebbene vicino a Lui e ai Suoi intimi compagni, un giorno si lasciò sfuggire uno sguardo di cupidigia verso una giovane donna in presenza di Sri Caitanya Mahaprabhu. Egli era così severo che lo escluse subito dalla sua compagnia. Dopo l’incidente Sri Caitanya pronunciò queste parole: “Per un sannyasi, o per chiunque aspiri a liberarsi dalla schiavitù della materia e si sforzi di elevarsi alla natura spirituale per tornare a Dio, nella sua dimora originale, volgere lo sguardo verso i beni materiali e le donne (anche senza goderne, ma animato da questo desiderio), è un atto così condannabile che sarebbe meglio per lui suicidarsi piuttosto che conoscere desideri così illeciti.” Queste sono dunque le vie della purificazione.

Jnana-yoga-vyavastiti: sviluppo della conoscenza spirituale. Il compito del sannyasi è portare la conoscenza spirituale ai capi famiglia e a tutti coloro che hanno dimenticato che lo scopo della vita umana è avanzare sulla via spirituale. Per provvedere alle sue necessità, il sannyasi deve elemosinare di porta in porta, ma ciò non significa che sia un mendicante. L’umiltà è un’altra qualità della persona situata sul piano trascendentale, e per umiltà il sannyasi va di porta in porta più per visitare le famiglie e risvegliarle alla coscienza di Krishna che per mendicare. Questo è i dovere del sannyasi. Se un discepolo è veramente avanzato nella vita spirituale e il maestro spirituale gli chiede di farlo, deve predicare con intelligenza la coscienza di Krishna, altrimenti dovrebbe evitare di accettare il sannyasa. E se si accorge di essere entrato nell’ordine di sannyasa senza avere una conoscenza sufficiente, allora deve coltivare il sapere ascoltando gli insegnamenti di un maestro spirituale autentico. Il sannyasi, in conclusione, dev’essere situato nell’abhaya, l’assenza di paura, nella attva-samsuddhi, la purezza, e nel jnana-yoga, la conoscenza.

Dana: carità. Gli atti di carità sono in particolare per i grihastha. Gli uomini di famiglia, infatti, dovrebbero guadagnare onestamente la loro vita e devolvere metà dei loro guadagni a quelle istituzioni che si occupano di diffondere la coscienza di Krishna in tutto il mondo. La carità, infatti dev’essere offerta a uomini che ne sono degni. Come spiegherà in seguito la Bhagavd-gita, esistono diversi tipi di atti caritatevoli, quelli sotto l’influsso della virtù, della passione e dell’ignoranza. Nelle Scritture sono raccomandati gli atti di carità compiuti nella virtù, non quelli dettati dalla passione e dall’ignoranza, che sono un semplice spreco di denaro. L’unico scopo della carità dev’essere quello di aiutare a diffondere la coscienza di Krishna nel mondo. Questa è carità nella virtù.

Dama: il controllo di sé. È una qualità propria di tutti i varna, ma è soprattutto una qualità del grihasta. Sebbene viva in compagnia di una sposa, il grihastha deve astenersi dall’impiegare senza freno i suoi sensi nei piaceri sessuali. Egli è tenuto a osservare delle regole che riguardano anche la vita sessuale, che non deve avere altro fine se non la procreazione. E se il grihastha non ha intenzione di avere figli, gli sposi dovranno astenersi dai piaceri sessuali. Oggi gli uomini fanno uso di contraccettivi e di metodi ancora più abominevoli per godere dei piaceri sessuali senza doversi assumere la responsabilità che implica la nascita di un figlio. Questo non è certo un sintomo della natura divina, ma è un attributo demoniaco. Chiunque desideri avanzare sulla via spirituale, anche se è sposato, deve controllare la sua vita sessuale e generare della prole solo per servire Krishna. Se un uomo è sicuro che i suoi figli diventeranno coscienti di Krishna, può metterne al mondo anche centinaia, altrimenti è meglio non indulgere negli atti sessuali solo per godere del piacere dei sensi.

Yajna: il compimento di sacrifici. Anche questo è destinato in modo particolare al grihastha, perché richiede l’impiego di grandi ricchezze, che i membri degli altri varna — brahmacari, vanaprastha e sannyasi — non possiedono, vivendo di elemosine. Il grihastha deve compiere l’agnihotra-yajna, per esempio, come prescrivono le Scritture vediche. Ma questo sacrificio richiede ricchezze tali che oggi nessuno potrebbe eseguirlo. Perciò il migliore sacrificio per la nostra età, e anche l’unico raccomandato, è il sankirtana-yajna, il canto del maha-mantra Hare Krishna, Hare Krishna, Krishna, Krishna, Hare Hare / Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare. Questo è il più elevato e il meno costoso dei sacrifici; tutti possono adottarlo e trarne beneficio. La carità, il controllo dei sensi e l’esecuzione dei sacrifici sono dunque particolarmente desitinati al grihastha.

Svadhyaya: studio dei Veda. Questa qualità è propria del brahmacari, o studente. Egli deve evitare ogni associazione con donne; la sua vita dev’essere una vita di continenza e di assorbimento nello studio delle Scritture vediche al fine di coltivare la conoscenza spirituale.

Tapas, o austerità, è soprattutto destinato ai vanaprastha. Un uomo non deve rimanere un capofamiglia per tutta la vita, ma deve sempre ricordare che la vita spirituale comporta quattro tappe: il brahmacarya, il grihastha, il vanaprastha e il sannyasa. Perciò, dopo essere stato grihastha, un uomo di famiglia, dovrà prepararsi a vivere in un luogo solitario. Dei cent’anni della sua vita, venticinque vanno al brahmacarya, agli studi, venticinque al grihastha, alla vita di famiglia, venticinque al vanaprastha, alla vita ritirata, e gli ultimi venticinque al sannyasa, alla vita di rinuncia. Queste sono le norme disciplinari della vita spirituale nella società vedica. L’uomo che lascia la vita di famiglia deve praticare l’austerità del corpo, della mente e della lingua; ciò che costituisce il tapasya. In realtà, questo tapasya è raccomandato per tutte le divisioni del varnasrama- dharma. Senza tapasya, o austerità, nessuno può ottenere la liberazione. La Bhagavad-gita, come ogni altro Testo vedico, non raccomanda quelle teorie secondo cui non ci sarebbe alcun bisogno di austerità, ma si potrebbe tranquillamente continuare ogni sorta di speculazioni. Queste teorie sono invenzioni di pseudo-spiritualisti interessati solo ad accrescere il numero dei loro seguaci. Non appena si tratta di seguire certe regole, certe restrizioni, la gente improvvisamente diventa restia. Perciò quelli che vogliono solo fare discepoli e mirano a far brillare le loro glorie in nome della spiritualità, non osservano né fanno osservare ai loro studenti alcun principio regolatore. Ma questi metodi non sono approvati dai Veda.

Quanto alla semplicità, non dev’essere un principio solo per i membri di un particolare asrama, ma per ogni uomo, che sia brahmacari, grihastha, vanaprastha o sannyasi. Tutti devono vivere nella più grande semplicità.

Ahimsa: non violenza. Significa non interrompere l’evoluzione di nessun essere vivente. Non si deve credere che poiché la scintilla spirituale non muore mai e sopravvive anche quando il corpo muore, non ci sia niente di male nel massacrare gli animali per mangiarseli. Oggi la gente preferisce nutrirsi di carne animale, nonostante abbia a disposizione grandi quantità di cereali, frutta e latte. In realtà, non c’è alcun bisogno di abbattere gli animali. E nessuno fa eccezione a questa regola. Se non ci fosse altra scelta, si potrebbe uccidere un animale in caso di necessità, ma si dovrebbe dapprima offrirlo in sacrificio. L’uomo desideroso di avanzare nella realizzazione spirituale non deve, in nessun caso, fare violenza agli animali quando il nutrimento è in abbondanza. La vera ahimsa consiste nel non frenare lo sviluppo di un essere, di qualunque specie esso sia. Gli animali, trasmigrando da una specie all’altra, progrediscono seguendo una certa evoluzione, ma se un animale viene ucciso, il suo progresso è rallentato. Infatti, prima di elevarsi alla specie animale superiore dovrà ritornare nella specie che ha prematuramente lasciato per completarvi il suo dovuto numero di giorni o di anni. Non si deve dunque rallentare l’evoluzione degli animali solo per soddisfare il proprio palato. Questa è l’ahimsa.

Satyam: veridicità. Consiste nel non deformare la verità a scopi personali. Certi passi delle Scritture vediche sono difficili da comprendere e la spiegazione del loro contenuto e della loro finalità dev’essere ricevuta da un maestro spirituale autentico. Questa è la giusta via per capire i Veda. Il termine sruti sottolinea che si deve ascoltare la conoscenza da un’autorità in materia. Non si devono interpretare le Scritture per qualche motivo personale. Ci sono numerosi commenti della Bhagavad-gita che deformano il significato del Testo originale. Ogni parola dev’essere presentata con il suo vero significato, e da un maestro spirituale autentico.

Akrodha: controllo della collera. Bisogna tollerare le provocazioni, perché se la collera scoppia tutto il corpo ne viene contaminato. La collera è il frutto della passione e della lussuria, perciò chi ha superato le tre influenze della natura materiale deve riuscire a liberarsene.

Apaisunam: avversione per la critica. Significa non ricercare difetti negli altri o correggerli senza necessità. Chiamare “ladro” un ladro non può ovviamente ritenersi una critica, ma dare del ladro a un uomo onesto è una grave offesa per chi progredisce sul sentiero della vita spirituale

Hri: modestia. Si deve dar prova di riservatezza ed evitare di compiere azioni detestabili.

Acapalam: determinazione. L’uomo determinato non si lascerà turbare o scoraggiare nei suoi sforzi, qualunque siano i risultati. Un tentativo può anche fallire, ma invece di affliggersene bisogna continuare a sforzarsi con pazienza e determinazione.

Tejas: vigore. È una qualità propria degli ksatriya a cui è richiesta una grande forza per poter proteggere i deboli. Essi non devono pretendere di essere non violenti; se la violenza si rivela necessaria, devono farne uso. Ma una persona che è in grado di piegare il nemico, può, in certe condizioni, mostrare il perdono. Può scusare le offese minori.

Saucam: purezza. Non deve limitarsi al corpo e alla mente, ma estendersi anche ai rapporti con gli altri. Si riferisce particolarmente ai vaisya, o commercianti, che non dovrebbero mai impegnarsi in compravendite clandestine.

Nati-manita: non aspettarsi onori. È una qualità del sudra, il comune lavoratore, membro del varna che il codice vedico classifica ultimo. Il sudra non deve inorgoglirsi vanamente o ricercare onori, ma deve rimanere nelle giuste norme del suo stato sociale. È anche suo dovere mostrare rispetto ai componenti dei varna superiori, per mantenere l’ordine sociale.

Tutte queste qualità sono spirituali, di natura divina. Ognuno deve svilupparle, secondo il varna e l’asrama a cui appartiene. Così, anche se la condizione materiale è causa di sofferenza, queste qualità, sviluppate con la pratica, possono gradualmente elevare l’uomo da qualsiasi posizione del varnasrama-dharma al livello più alto della realizzazione spirituale.


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