Berlin

Berlin


Dopo aver girato per un po' nella casa per controllare che tutto fosse ancora come l'ultima volta che l'aveva visitata, decise di andare nella camera da letto dei suoi genitori e, finalmente, si coricò. Quell'ultimo periodo della sua vita era stata piena di avventure e pericoli e anche molto stancante: appena si sdraiò sull'ancora morbido materasso cadde in un sonno profondo. Si ricordò, quindi, di quella volta che erano appena tornati da un concerto e, stanco morto com'era, era subito andato a dormire. Poco dopo, però, si era svegliato e, cacciando un urlo, aveva chiamato i suoi genitori per rincuorarlo dall'incubo. Sua madre, per dargli coraggio e riprendersi dallo spavento, gli strinse la mano e, per farlo sentire più al sicuro, lo portò nel loro letto, dove Jakob riuscì a dormire fino alla mattina.

Poi, cambiò sogno e cominciò a ricordare le sue prime avventure con Sven e gli altri, fino ad arrivare alle ultime. Arrivò prepotente, però, il triste ricordo della morte del suo caro Sven, ovviamente, con un sottofondo sonoro piuttosto doloroso ma anche motivo di rabbia: le aspre risate dei ragazzi di Tegel e, più distinta dalle altre, quella di Wolfrun, una stupida ragazza che, per colpa dei suoi genitori che non le avevano dato il giusto affetto, era diventata prepotente, scura, tenebrosa e misteriosa e credeva, perciò, di potersi prendere gioco degli altri, incurante del dispiacere altrui che provocava. Jakob la considerava come una ragazza senza un minimo di pietà e di valori, egocentrica e acida, che non portava affatto rispetto verso gli altri. Jakob avrebbe voluto mettere a tacere tutte quelle voci, e, se possibile, fare a botte con quella ragazza ripugnante...ma non poteva. Almeno non in quel sogno, nonostante ne fosse il propietario. E allora, cominciò a dimenarsi, a sbracciarsi, a dare calci e pugni ai cuscini, all'aria, alle coperte, a tutto ciò che era vicino a lui, e si rigirava nel letto nell'intento di cancellare quel sogno, o meglio, quell'incubo, e passare a ricordi più lieti del passato, magari dei suoi genitori. Ma non ce la faceva. Ed intanto sudava e bagnava con il suo sudore le lenzuola e i cuscini, tanto che ad un certo punto si accorse dell'alta umidità che lo circondava e si risvegliò. Allora, si alzò per asciugarsi e dimenticare l'orribile sogno. Si affacciò alla finestra e osservò il terso cielo e le sue luminose e chiare stelle che Jakob sentì, addirittura, di poter prendere e raggiungere. Rimase a lungo a fissarle e seguì con lo sguardo la Luna che pian piano si abbassava nel cielo, per scomparire ogni qual volta la luce aumentasse, come se ne fosse infastidita o avesse litigato con il Sole e si rifiutasse di guardarlo. Jakob passò la notte così, senza curarsi del sonno che sempre più lo richiamava. Ma Jakob non lo ascoltava e non voleva assolutamente ascoltarlo, perché lui di dormire, quella notte, non ne aveva più voglia e rimase attaccato alla finestra per aspettare il glorioso trionfo dell'aurora dalle dita rosate.

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