American Gods

American Gods

Neil Gaiman

16
Lo so che barano. Ma è l’unico tavolo da gioco in città.
CANADA BILL JONES

Sparito l’albero, sparito il mondo, e sparito il cielo grigio del mattino. Adesso aveva il colore della mezzanotte. C’era una stella che brillava solitaria in alto, una luce violenta e intermittente, nient’altro. Fece un passo e quasi incespicò.
Shadow guardò in basso. C’erano dei gradini intagliati nella roccia che scendevano, gradini così enormi che solo i giganti potevano averli fatti e percorsi tanto tanto tempo prima.

Li imboccò e scese a balzi e saltelli. Il corpo gli doleva, ma era un indolenzimento dovuto all’inattività, non alle torture subite da un corpo appeso a un albero fino a morirne.

Osservò senza stupore che adesso era completamente vestito con un paio di jeans e una maglietta bianca. Era scalzo. Visse un momento di profondo déjà vu: era vestito così nell’appartamento di Chernobog la notte in cui Polunochnaja Zarja gli aveva parlato della costellazione chiamata il Carro di Odino. Aveva preso la luna dal cielo per lui.
All’improvviso capì che cosa sarebbe successo. Ci sarebbe stata Polunochnaja Zarja.

Lo stava aspettando in fondo ai gradini. La luna non era più alta nel cielo, ma ciò nonostante lei era immersa nel suo chiarore: i capelli erano sempre bianchi e splendenti, indossava la stessa camicia da notte di pizzo e cotone che portava quella notte a Chicago.
Sorrise vedendolo, e abbassò gli occhi come imbarazzata. «Ciao» disse.
«Ciao» rispose lui.
«Come stai?»

«Non lo so. Penso che forse è soltanto un altro strano sogno sull’albero. Da quando sono uscito di prigione ho fatto sogni assurdi.»

Il viso di lei era inargentato dalla luna (nel cielo nero e violaceo non c’era nessuna luna, e adesso, in fondo ai gradini, non si vedeva più nemmeno la stella solitaria) e aveva un’aria solenne e vulnerabile allo stesso tempo. Disse: «Tutte le tue domande troveranno una risposta, se è questo che vuoi. Ma una volta conosciute le risposte, non potrai più dimenticarle».

Alle sue spalle il sentiero si biforcava. Lui avrebbe dovuto decidere quale sentiero prendere, lo sapeva. Però prima doveva fare una cosa. Infilò una mano nella tasca dei jeans e con sollievo sentì il peso familiare della moneta. La tirò fuori tenendola tra indice e pollice: un dollaro con la testa della Libertà d’argento. «Questa è tua.»

In quel momento ricordò che in realtà i suoi indumenti si trovavano ai piedi dell’albero; le donne li avevano infilati nel sacco di juta da cui avevano preso le corde, poi l’avevano chiuso e la più alta ci aveva appoggiato sopra una grossa pietra perché non volasse via. E così Shadow sapeva che in realtà il dollaro della Libertà si trovava nella tasca dentro a quel sacco con sopra la pietra. Eppure l’aveva in mano, pesante, all’ingresso dell’aldilà.
Lei glielo prese con le sue dita affusolate.

«Grazie. Ti ha aiutato due volte a ritrovare la libertà» disse. «E adesso illuminerà il tuo cammino nei luoghi bui.»

Chiuse la mano intorno al dollaro, poi si allungò, l’appoggiò nell’aria, il più in alto possibile e lo lasciò andare. Invece di cadere, la moneta fluttuò fino a trovarsi a quasi mezzo metro sopra la testa di Shadow. Non era più una moneta d’argento. La Signora Libertà e la sua corona a spuntoni erano scomparse. Adesso la faccia che vedeva era quella liscia della luna in un cielo estivo.

Shadow non riusciva a capire se stesse guardando una luna delle dimensioni di un dollaro a circa mezzo metro dalla sua testa, o una luna grande come l’Oceano Pacifico a molte migliaia di chilometri. E non sapeva nemmeno se ci fosse qualche differenza tra le due cose. Forse era solo questione di punti di vista.
Guardò il sentiero che si biforcava davanti a lui.
«Quale devo prendere?» chiese. «Qual è il più sicuro?»

«Uno esclude l’altro» rispose lei, «nessuno dei due è sicuro. Quale strada preferisci imboccare: la via delle crude verità o delle menzogne consolatorie?»
«La via delle verità» rispose lui. «Ne ho passate troppe, non ne posso più di menzogne.»
Lei lo guardò con tristezza. «Ci sarà un prezzo da pagare.»
«Lo pagherò. Qual è?»
«Il tuo nome» disse lei. «Il tuo vero nome. Dovrai darlo a me.»
«Come?»

«Così.» Allungò una mano verso la sua testa. Lui sentì le dita che gli sfioravano la pelle e la penetravano, entravano nel cranio, le sentì rovistare nella testa. Qualcosa lo solleticò nel cranio e lungo la spina dorsale, poi lei tirò fuori la mano. Una fiamma come quella di una candela ma luminosa e bianca come luce al magnesio, tremolava sulla punta del suo indice.
«È il mio nome?» domandò lui.

Lei chiuse la mano e la luce scomparve. «Lo era.» Tese la mano e indicò il sentiero sulla destra. «Da questa parte. Per il momento.»
Senza nome, Shadow percorse il sentiero sulla destra illuminato dalla luna. Quando si voltò per ringraziare Polunochnaja Zarja vide soltanto tenebre. Gli sembrava di essere molto in profondità sotto terra ma quando guardò in alto nel buio vide che la minuscola luna brillava ancora.
Imboccò una curva.

Se questo era l’aldilà, pensò, assomigliava molto alla House on the Rock: in bilico tra diorama e incubo.

Stava osservando se stesso con indosso la divisa della prigione, nell’ufficio del direttore, mentre questi gli comunicava che Laura era morta in un incidente di macchina. Vedeva l’espressione sulla sua faccia, quella di un uomo abbandonato dal mondo. Lo ferì vedersi così, vedere quella vulnerabilità e la paura. Proseguì attraverso l’ufficio grigio del direttore e si ritrovò a guardare dalla vetrina del negozio di riparazioni video alla periferia di Eagle Point.
Tre anni prima. Sì.

Dentro il negozio, lo sapeva, c’era lui che stava picchiando a sangue Larry Powers e B.J. West, ammaccandosi le nocche, nel farlo: tra poco sarebbe uscito di lì con un sacchetto del supermercato pieno di banconote da venti dollari. Denaro che non avrebbero mai potuto accusarlo di avere rubato: era la sua parte, più un’aggiunta, perché non avrebbero dovuto cercare di fregarli così, lui e Laura. Lui era soltanto l’autista, però aveva fatto la sua parte, nella rapina. Aveva fatto tutto quello che gli aveva chiesto lei…

Al processo nessuno parlò della rapina, anche se tutti avrebbero voluto. Non potevano provare niente, se nessuno confessava. E nessuno confessò. L’accusa fu costretta ad accontentarsi delle lesioni personali ai danni di Powers e West. Mostrò le fotografie dei due uomini al loro arrivo nell’ospedale cittadino e Shadow non si difese, perché era più semplice. Né Powers né West sembravano in grado di ricordare quale fosse stato il motivo scatenante della rissa, però furono concordi nel riconoscere l’aggressore.

Nessuno parlò dei soldi.
Nessuno fece il minimo accenno a Laura, esattamente come voleva Shadow.
Si domandò se il sentiero delle bugie confortevoli sarebbe stato migliore. Si allontanò dalla strada di Eagle Point e seguendo il sentiero roccioso entrò in una stanza d’ospedale, un ospedale pubblico di Chicago, e sentì in bocca il sapore della bile. Si fermò. Non voleva vedere. Non voleva proseguire.

Nel letto d’ospedale sua madre stava morendo un’altra volta, com’era morta quando lui aveva sedici anni, infatti sì, eccolo lì, un sedicenne alto e goffo con la pelle color caffelatte deturpata dall’acne, seduto ai piedi del letto, incapace di guardarla, assorto nella lettura di un grosso tascabile. Shadow si domandò che libro fosse e fece il giro del letto per leggere il titolo. Si fermò tra letto e sedia guardando da uno all’altro, il ragazzone sprofondato nella sedia, il naso infilato nell’

Arcobaleno della gravità,
deciso a restare immerso in quella storia ambientata a Londra durante la Seconda guerra mondiale per sfuggire alla morte di sua madre. L’inventiva follia del romanzo non aveva rappresentato né una via di scampo né una scusa.

Gli occhi di sua madre erano chiusi nel sonno indotto dalla morfina: aveva creduto che si trattasse di un altro abbassamento di eritrociti, un altro periodo di dolore da sopportare, e invece avevano scoperto, troppo tardi, che si trattava di un linfoma. La sua pelle aveva una tonalità grigio-giallastra. A poco più di trent’anni sembrava molto vecchia.

Shadow avrebbe voluto riscuotersi, riscuotere quel ragazzo impacciato che era stato un tempo, costringerlo a prenderle una mano, a parlarle, a fare qualcosa prima che se ne andasse per sempre. Non poteva toccare se stesso. Continuò a leggere e sua madre morì con lui seduto accanto al letto, immerso nella lettura di un romanzone.
Dopo di allora aveva smesso di leggere. Non ci si può fidare dei libri. A che cosa servono, se non riescono a proteggerti da una cosa simile?

Shadow si allontanò dalla stanza d’ospedale, percorse il corridoio serpeggiante e si inoltrò nelle viscere della terra.

Riconosce subito sua madre e non riesce a credere quanto sia giovane, deve avere meno di venticinque anni, prima che il governo la congedasse per problemi di salute. Sono in casa, un altro appartamento dell’ambasciata da qualche parte nel Nord Europa. Lui si guarda intorno in cerca di un indizio e vede se stesso: un bambino piccolo con grandi òcchi grigio chiaro e i capelli scuri. Stanno litigando. Shadow non ha bisogno di sentire le parole per capire di che cosa discutono: era l’unico argomento su cui litigavano, dopotutto.

Parlami di mio padre.
È morto. Non farmi domande.
Chi era?
Dimenticalo. È morto e sepolto e non ci hai perso niente.
Voglio vedere una sua fotografia.
Non ho nessuna foto,
dice lei a voce bassa e crudele e lui sa che se continuerà a fare domande lei si metterà a gridare o magari lo picchierà e siccome sa di non poter smettere con le domande si allontana lungo la galleria.

Il sentiero che stava seguendo curvò e serpeggiò ritornando su se stesso, come una pelle di serpente, viscere ritorte, tortuose radici di un albero, radici molto molto profonde. C’era una pozza d’acqua alla sua sinistra, sentiva lo sgocciolio da qualche parte in fondo alla galleria, gocce che increspavano appena la superficie specchiante. Si inginocchiò e bevve usando una mano per portare l’acqua alla bocca, poi proseguì finendo sotto le luci caleidoscopiche da discoteca di una sfera coperta di specchietti. Era come trovarsi nel centro esatto dell’universo, con tutte le stelle e i pianeti che giravano intorno, senza riuscire a sentire niente, né la musica né le conversazioni urlate sopra la musica, ed eccolo a fissare una donna che era esattamente come non era mai stata sua madre da quando l’aveva conosciuta lui, poco più di una bambina…

Sta ballando.
Shadow scoprì di non essere per niente sorpreso di riconoscere l’uomo che ballava con lei. Non era cambiato molto in trentatré anni.
Lei è ubriaca: Shadow se ne accorge subito. Non tanto, ma non è abituata a bere e tra circa una settimana prenderà una nave che la riporterà in Norvegia. Hanno bevuto qualche margarita, lei ha un po’ di sale sulle labbra e sul dorso della mano.

Wednesday non indossa vestito e cravatta, ma la spilla d’argento a forma d’albero appuntata sul taschino della camicia brilla quando le luci degli specchietti la raggiungono. Sono una bella coppia, considerata la differenza d’età. Nei movimenti di Wednesday c’è una grazia lupesca.

Stanno ballando un lento. Lui la stringe a sé e la sua mano, grande come una zampa, si appoggia alla gonna con un gesto possessivo, avvicinandola. Con l’altra mano la costringe ad alzare il mento e si baciano lì, sulla pista della sala da ballo, mentre le luci girano intorno a loro nel centro dell’universo.
Poco dopo escono. Lei barcolla un po’ e lui la sostiene.
Shadow affonda la testa tra le mani; non può seguirli, non intende assistere al proprio concepimento.

Le luci degli specchietti sono scomparse e adesso l’unica illuminazione è quella gettata dalla minuscola luna che risplende alta sopra la sua testa.
Ancora avanti. Alla curva del sentiero si fermò per un attimo a riprendere fiato.
Una mano gli accarezzava gentilmente la schiena, dita delicate gli spettinavano i capelli sulla nuca.
«Ciao» sussurrò una voce roca e felina alle sue spalle.
«Ciao» disse lui girandosi a guardarla.

Aveva i capelli castani e la pelle scura e gli occhi con quella tonalità ambrata del buon miele. Le pupille erano due fessure verticali.
«Ci conosciamo?» chiese lui stupito.
«Intimamente» rispose lei e sorrise. «Dormivo sempre sul tuo letto, e la mia gente ti ha sorvegliato.»
Si voltò verso il sentiero che si allungava davanti a lui e gli indicò le tre diramazioni. «Bene» disse, «se ne imbocchi una diventerai saggio. In fondo all’altra diventerai un uomo integro. Quell’altra ancora ti ucciderà.»

«Sono già morto, credo» rispose Shadow. «Sono morto sull’albero.»
Lei miagolò. «C’è un modo di essere morto, e un altro, e un altro ancora. È tutto relativo.» Poi sorrise. «Potrei fare una battuta sulle morte che camminano.»
«No» disse Shadow. «Non c’è bisogno.»
«Allora, da quale parte vuoi andare?»
«Non so».

Lei piegò la testa di lato con uno scatto felino e di colpo Shadow ricordò i graffi che gli aveva lasciato sulla schiena. Cominciò ad arrossire. «Se ti fidi di me» disse Bast, «scelgo io per te.»
«Mi fido» rispose lui senza esitazione.
«Vuoi sapere che cosa ti costerà?»
«Ho già perduto il mio nome.»
«Il nome non è per sempre. Ne è valsa la pena?»
«Sì. Forse. Non è stato facile. Ho avuto alcune rivelazioni diciamo molto personali.»

«Tutte le rivelazioni sono personali. Per questo risultano sospette.»
«Non capisco.»
«No, non capisci. Ti prenderò il cuore. Ne avremo bisogno più tardi» e allungò una mano. L’affondò dentro il suo petto e la estrasse con qualcosa color rubino che le pulsava tra le unghie appuntite. Era color sangue di piccione, fatto di pura luce. Si dilatava e si contraeva ritmicamente.
Lei chiuse la mano ed era scomparso.
«Prendi la via di mezzo» disse.
Shadow annuì e proseguì.

Adesso il sentiero stava diventando scivoloso. Il fondo roccioso era coperto da uno strato gelato. La luna brillava tra i cristalli di ghiaccio nell’aria: aveva un anello intorno che diffondeva luce. Era bellissima, ma rendeva il cammino più difficoltoso. Era un sentiero insidioso.
Raggiunse il punto dove si divideva.

Guardò alla prima diramazione con un senso di riconoscimento. Si trasformava in una grande sala, o una sequenza di sale, come un museo buio. Lo conosceva. Gli sembrava di sentire le lunghe eco di rumori leggeri, e il fruscio che fa la polvere quando si posa.
Era il luogo sognato quella prima notte quando Laura era andata a trovarlo nella stanza del motel, tanto tempo prima; l’interminabile sala degli dèi dimenticati e degli dèi della cui esistenza si era perduta ogni traccia.

Fece un passo indietro.
Imboccò l’altro sentiero cercando di scrutare avanti. C’era qualcosa di disneyano nel corridoio: pareti di plexiglas nero con le luci inserite all’interno. Luci colorate che lampeggiavano intermittenti creando, senza nessun motivo particolare, un’illusione di ordine, come fanno le luci della consolle di una navicella spaziale in un telefilm.
C’era rumore anche lì: un ronzio basso che sentiva vibrare nello stomaco.

Si fermò per guardarsi intorno. Nessuna delle due strade sembrava quella giusta. Non più. Aveva chiuso con i sentieri. La via di mezzo, indicata dalla donna gatto, quella era la sua.
Vi si diresse.
La luna cominciava a impallidire: i bordi diventavano più rosei, di lì a poco sarebbe tramontata. Il sentiero era incorniciato da una soglia enorme.

Shadow attraversò l’arco entrando in una zona oscura. L’aria era tiepida e odorava di polvere bagnata come una strada cittadina dopo la prima pioggia estiva.
Non aveva paura.
Non più. La paura era morta sull’albero, insieme a lui. Non rimaneva più paura, né odio o dolore. Non rimaneva più niente eccetto l’essenza.

Da lontano giunse un tonfo soffocato che echeggiò nella vastità del luogo. Shadow si sforzò di vedere senza riuscirci. Era troppo buio. Poi da dov’era venuto il rumore si alzò una luce spettrale e il mondo prese forma: si trovava in una caverna e davanti a lui c’era uno specchio d’acqua.

Il rumore di spruzzi si avvicinò, la luce divenne più forte mentre Shadow aspettava sulla riva. Di lì a poco si profilò un’imbarcazione bassa e piatta; c’era una lanterna bianca appesa al dritto di prua e un’altra riflessa nel vitreo specchio d’acqua. Una figura alta spingeva l’imbarcazione con una pertica e il rumore che Shadow aveva sentito era prodotto dalla pertica quando veniva sollevata e abbassata nell’acqua del lago sotterraneo.

«Ehilà» gridò Shadow. L’eco lo circondò all’improvviso: immaginò un coro di persone che gli davano il benvenuto, che lo chiamavano, ciascuno con una voce uguale alla sua.
La persona sulla barca non rispose.

Era molto alta e molto magra. L’uomo — sempre che si trattasse di un uomo — indossava una semplice tunica bianca e in cima al lungo collo gli si vedeva una testa pallida così poco umana che Shadow fu certo si trattasse di una maschera: era una piccola testa d’uccello con un lungo becco. Shadow era sicuro di aver già visto prima quella figura spettrale simile a un uccello. Rovistò nella memoria, e si rese conto con irritazione che continuava a tornargli in mente il meccanismo nella House on the Rock con lo spettro appena intravisto comparso dietro alla cripta a reclamare l’anima dell’ubriaco.

L’acqua gocciolava dalla pertica e dalla prua e la scia dell’imbarcazione increspava la superficie del lago. Era una barca di giunco.
Si avvicinò all’argine.
Il barcaiolo si appoggiò alla pertica e voltò lentamente la testa fino a guardare Shadow in faccia. «Salve» disse senza muovere il lungo becco. Era una voce maschile e, come tutto il resto accaduto fin lì in quella vita dopo la morte, familiare.

«Sali a bordo. Ho paura che ti bagnerai i piedi, succede sempre. È una vecchia imbarcazione. Se vengo più vicino rischio di sventrarla.»

Shadow si sfilò le scarpe ed entrò in acqua. Gli arrivava a metà polpaccio e dopo l’iniziale stupore la trovò sorprendentemente calda. Quando il barcaiolo gli tese una mano per aiutarlo a salire, lo scafo ondeggiò un po’ imbarcando acqua dalle basse fiancate laterali, poi si stabilizzò. L’uomo usò la pertica per allontanarsi da riva. Shadow rimase a guardare senza far niente, con i pantaloni fradici.
«Io ti conosco» disse alla creatura a prua.

«Senza dubbio» rispose il barcaiolo. La lampada a olio appesa alla prora emanava una luce tremula e il fumo faceva tossire Shadow. «Hai lavorato per me. Mi dispiace, abbiamo dovuto seppellire Lila Goodchild senza il tuo aiuto.» Era una vocetta pignola e irascibile.

Il fumo gli pungeva gli occhi. Shadow si asciugò le lacrime con la mano e attraverso il fumo intravide un uomo alto vestito di scuro, con gli occhiali dalla montatura d’oro. Quando il fumo si dissolse, il barcaiolo era di nuovo una creatura mezzo umana con la testa di un uccello di fiume.
«Il signor Ibis?»
«Sono contento di rivederti» disse la creatura con la voce di Ibis. «Sai che cos’è uno psicopompo?»
A Shadow sembrava di aver sentito quella parola, tanto tempo prima. Scosse la testa.

«È un termine colto per dire guida» spiegò il signor Ibis. «Vedi, noi abbiamo tante funzioni, tanti modi di esistere. Nella visione che io ho di me stesso, per esempio, sono uno studioso che vive appartato, scrive le sue storielle e sogna un passato che forse è esistito o forse no. Ed è così. Tuttavia, come molte delle persone con cui hai scelto di associarti in questo viaggio, svolgo anche la funzione di psicopompo. Scorto i vivi nel regno dei morti.»

«Pensavo di essere già nel regno dei morti» disse Shadow.
«No. Non ancora. Siamo in una fase preliminare.»
L’imbarcazione scivolava sulla superficie immobile dell’acqua sotterranea. Poi, senza muovere il becco, il signor Ibis continuò: «Voi parlate di vivi e morti come se si trattasse di due categorie che si escludono a vicenda, come se non si potesse avere un fiume che è anche strada, o una canzone che è anche colore».

«Infatti non si può» disse Shadow. «Vero?» Dall’altra sponda l’eco rimandava le sue parole in un sussurro.
«Devi ricordare» riprese il puntiglioso signor Ibis «che la vita e la morte sono due facce della stessa medaglia. Come testa e croce sulla moneta.»
«E se avessi una moneta truccata?»
«Non ce l’hai.»


Все материалы, размещенные в боте и канале, получены из открытых источников сети Интернет, либо присланы пользователями  бота. 
Все права на тексты книг принадлежат их авторам и владельцам. Тексты книг предоставлены исключительно для ознакомления. Администрация бота не несет ответственности за материалы, расположенные здесь

Report Page