...a chi prestate il vostro corpo?

...a chi prestate il vostro corpo?

Paolo Castellina

Un bullo viene da voi un giorno e vi dice: “Prestami la tua auto che con essa voglio commettere una rapina!”. Gliela prestereste? Questa situazione non è tanto diversa da quel che accade ad un cristiano che sente impellente in sé una voce che vorrebbe spingerlo a fare ciò che non è bene agli occhi di Dio. Sentite che cosa dice al riguardo l’Apostolo in Romani 6:12-14:

“Non regni quindi il peccato nel vostro corpo mortale, per ubbidirgli nelle sue concupiscenze. Non prestate le vostre membra al peccato come strumenti d'iniquità, ma presentate voi stessi a Dio, come dei morti fatti viventi, e le vostre membra a Dio come strumenti di giustizia. Infatti il peccato non avrà più potere su di voi, poiché non siete sotto la legge, ma sotto la grazia” (Romani 6:12-14).

Il cristiano, riconoscente per ciò che Iddio ha fatto per Lui in Cristo accordandogli immeritatamente la grazia della salvezza dal peccato, ama il Signore di tutto cuore e desidera vivere secondo i principi di giustizia da Lui stabiliti. Desiderando compiacergli in ogni cosa, ama la giustizia ed odia il peccato. Sulla sua vita regna Cristo, il Signore e a Lui volentieri ubbidisce. Non vorrebbe certo che la sua vita continuasse ad essere dominata dal peccato e fosse sospinta, come prima, da desideri egoistici e cattivi (concupiscenze). Non vorrebbe certo continuare ad essere strumentalizzato, manipolato ed usato, come gli altri, dalle forze spirituali della malvagità che, avversando Dio, si propongono, con ogni mezzo, di rovinare e distruggere tutto ciò che è bello, buono e giusto.

Il cristiano, ora che la sua vita è stata moralmente e spiritualmente rigenerata da Dio (“come dei morti fatti viventi”) si rende, al contrario, volentieri disponibile a Lui come strumento di giustizia. Egli dice al Signore, come si esprime un canto cristiano: “Prendi, o Dio, la mia vita, consacrarla io voglio a Te. Fa' che essa sempre sia alla gloria Tua, mio Re”. Egli dice al Signore: “Voglio fattivamente contribuire alla Tua causa” ed è per lui una gioia ed un privilegio quando, nella sua vita quotidiana, là dove Dio lo pone, egli può essere testimone del Suo amore e della Sua giustizia. Ecco il senso delle esortazioni apostoliche del nostro testo di oggi che, oltre a stabilire un dato di fatto per la vita del cristiano, costituiscono un preciso suo personale impegno, quello che la teologia cristiana chiama “il cammino della santificazione”.

Il testo di oggi culmina nella meravigliosa ed incoraggiante promessa del versetto 14: “il peccato non avrà più potere su di voi” e sull'ancora più straordinaria affermazione, rivolta a tutti i cristiani: “Voi non siete sotto la legge ma sotto la grazia”. Che cosa significa?

Quest'ultima affermazione è stata ed è ancora spesso e volentieri equivocata da chi, sospinto da uno spirito ben diverso da quello descritto prima, ritiene di non essere più legato ai criteri di giustizia della legge di Dio e di potere ora fare tutto quel che vuole, padrone di decidere autonomamente e “contestualmente” quel che gli sembra più giusto o conveniente. Non è così. Le affermazioni del versetto 14 sono intese non a liberare il cristiano dalla legge di Dio (sarebbe assurdo) ma dallo spietato rigore che rende impossibile all'uomo naturale di conformarvisi conseguendo, attraverso l'obbedienza ad essa, la salvezza.

Di fatto, l'affermazione “Voi non siete sotto la legge ma sotto la grazia” fornisce una grande consolazione al cristiano che ne risulta così rafforzato. Il cristiano, infatti, rimane consapevole della propria debolezza e contraddizioni. Vorrebbe impegnarsi con tutte le sue forze al servizio della giustizia, ma spesso cade e non ce la fa come vorrebbe. È pur vero che il cristiano cammina sulla via della giustizia, ma come uno zoppo e spesso alquanto “traballante”. È qui che viene in suo soccorso la misericordia di Dio tanto da trarne conforto e consolazione. Il cristiano non è più sotto il regime duro e spietato della legge di Dio, ma vive nell'ambito della grazia. Le sue opere non sono più vagliate nel modo rigoroso di un Dio che ti dice: “O tu ti adegui perfettamente a quanto io ti comando o 'sei fuori', sei squalificato, inappellabilmente respinto, scomunicato...”. Vivere nell'ambito della grazia significa vivere nell'ambito della pazienza e della tolleranza di Dio che comprende ed accetta la tua debolezza ed infermità. Egli sa quanto il peccato ti abbia indebolito e reso disabile. Egli sa di non poter pretendere da te “più di quel tanto”. Certo, esige la tua determinazione ed impegno a fare ciò che Gli è gradito, ma se cadi, se non ce la fai, se fallisci, nonostante la tua buona volontà, avrà compassione di te, ti sorreggerà, ti aiuterà confortandoti con la Sua presenza che ti dice: “Non disperare, sono qui io accanto a te. Ti sono veramente padre e non padrone duro e spietato!”.

La legge è giusta e buona, ma è un giogo molto pesante per il peccatore che, pure riabilitato per grazia, fintanto che sarà in questo mondo, rimarrà debole ed inadeguato. Ecco perché il cristiano non solo trova la sua giustizia ultima in Cristo all'inizio del suo cammino di fede (Cristo ha compiuto per grazia quanto il peccatore da solo non poteva conseguire), ma può e deve continuamente rivolgersi a Cristo, anche durante il suo cammino di fede, per sovvenire alle proprie “debolezze congenite”. La Scrittura afferma: “...quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l'adozione” (Galati 4:4-5). In Cristo, infatti, noi siamo riscattati dalla maledizione della legge tanto da potere ora con serenità, non certo trasgredirla ma conformarci ad essa “per quanto possibile”, confidando nella misericordia di Dio. Non ci è più personalmente richiesta, come cristiani, una giustizia perfetta, quella che esige la morte di coloro che da essa deviano anche solo in parte. Il cristiano vive “sotto la grazia”, i suoi peccati gli sono perdonati, la giustizia che gli è accreditata non è la sua, ma quella di Cristo.

Il senso ora è chiaro. L'apostolo infatti vuole confortarci affinché, nello sforzarci di fare quanto è giusto, disperiamo di noi stessi, afflitti come siamo da molte imperfezioni. Per quanto infatti possiamo essere tormentati dai pungiglioni del peccato [così scrive Calvino], esso non può avere la meglio su di noi, perché siamo messi dallo Spirito di Dio in condizione di vincerlo. Essendo sotto la grazia siamo liberati dai rigorosi requisiti della legge come strumento di salvezza. L'apostolo, però, prende per scontato che tutti coloro che sono privi della grazia di Dio, essendo legati al giogo della legge, sono sottoposti alla condanna di Dio e, fintanto che sono sotto la legge, essi si trovano sotto il dominio del peccato. Ragione di più, per chi si trova in questa condizione, per invocare la misericordia di Dio in Cristo Gesù.

PREGHIERA

Ti amo, o Signore, ed amo la Tua legge come regola giusta e buona della mia vita. Ti sono infinitamente riconoscente che non solo hai sovvenuto in Cristo alla disperata situazione di condanna in cui mi trovavo, ma che pure quello stesso Cristo viene in mio soccorso quando, nelle contraddizioni della mia vita, non riesco ad essere quel che vorrei facendoti piacere in ogni cosa. Ti ringrazio perciò che non vivo più sotto il regime della legge, ma della grazia. Questo mi è di grande consolazione. Amen.

6 Maggio 2018 Sesta Domenica di Pasqua

Atti 10:44-48; 1 Giovanni 5:1-6; Giovanni 15:9-17; Salmi 98

O Dio, hai preparato per coloro che ami cose che sorpassano ogni nostra comprensione. Riversa nel nostro cuore un tale amore per te che noi, amandoti al di sopra ed oltre ogni altra cosa, si possa ottenere ciò che tu hai promesso, che va ben oltre a tutto ciò che possiamo desiderare. Per Gesù Cristo, nostro Signore, che vive e regna con te e con lo Spirito Santo, un solo Dio, nei secoli dei secoli. Amen.



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