TERRONI. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero Meridionali

TERRONI. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero Meridionali

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TERRONI. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero Meridionali

Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto. Ma tante volte, per anni.

E cancellarono per sempre molti paesi, in operazioni "anti-terrorismo", come i marines in Iraq.

Non sapevo che, nelle rappresaglie, si concessero libertà di stupro sulle donne meridionali, come nei Balcani, durante il conflitto etnico; o come i marocchini delle truppe francesi, in Ciociaria, nell'invasione, da Sud, per redimere l'Italia dal fascismo (ogni volta che viene liberato, il Mezzogiorno ci rimette qualcosa).

Ignoravo che, in nome dell'Unità nazionale, i fratelli d'Italia ebbero pure diritto di saccheggio delle città meridionali, come i Lanzichenecchi a Roma.


E che praticarono la tortura, come i marines ad Abu Ghraib, i francesi in Algeria, Pinochet in Cile.

Non sapevo che in Parlamento, a Torino, un deputato ex garibaldino paragonò la ferocia e le stragi piemontesi al Sud a quelle di «Tamerlano, Gengis Khan e Attila». Un altro preferì tacere «rivelazioni di cui l'Europa potrebbe inorridire». E Garibaldi parlò di «cose da cloaca».


Né che si incarcerarono i meridionali senza accusa, senza processo e senza condanna, come è accaduto con gli islamici a Guantànamo. Lì qualche centinaio, terroristi per definizione, perché musulmani; da noi centinaia di migliaia, briganti per definizione, perché meridionali. E, se bambini, briganti precoci; se donne, brigantesse o mogli, figlie, di briganti; o consanguinei di briganti (sino al terzo grado di parentela); o persino solo paesani o sospetti tali. Tutto a norma di legge, si capisce, come in Sudafrica, con l'apartheid.


Io credevo che i briganti fossero proprio briganti, non anche ex soldati borbonici e patrioti alla guerriglia per difendere il proprio paese invaso.

Non sapevo che il paesaggio del Sud divenne come quello del Kosovo, con fucilazioni di massa, fosse comuni, paesi che bruciavano sulle colline e colonne di decine di migliaia di profughi in marcia.


Non volevo credere che i primi campi di concentramento e sterminio in Europa li istituirono gli italiani del Nord, per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud, a migliaia, forse decine di migliaia (non si sa, perché li squagliavano nella calce), come nell'Unione Sovietica di Stalin.

Ignoravo che il ministero degli Esteri dell'Italia unita cercò per anni «una landa desolata», fra Patagonia, Borneo e altri sperduti lidi, per deportarvi i meridionali e annientarli lontano da occhi indiscreti.


Né sapevo che i fratelli d'Italia arrivati dal Nord svuotarono le ricche banche meridionali, regge, musei, case private (rubando persino le posate), per pagare i debiti del Piemonte e costituire immensi patrimoni privati.

E mai avrei immaginato che i Mille fossero quasi tutti avanzi di galera.


Non sapevo che, a Italia così unificata, imposero una tassa aggiuntiva ai meridionali, per pagare le spese della guerra di conquista del Sud, fatta senza nemmeno dichiararla.

Ignoravo che l'occupazione del Regno delle Due Sicilie fosse stata decisa, progettata, protetta da Inghilterra e Francia, e parzialmente finanziata dalla massoneria (detto da Garibaldi, sino al gran maestro Armando Corona, nel 1988).


Né sapevo che il Regno delle Due Sicilie fosse, fino al momento dell'aggressione, uno dei paesi più industrializzati del mondo (terzo, dopo Inghilterra e Francia, prima di essere invaso).

E non c'era la "burocrazia borbonica", intesa quale caotica e inefficiente: lo specialista inviato da Cavour nelle Due Sicilie, per rimettervi ordine, riferì di un «mirabile organismo finanziario» e propose di copiarla, in una relazione che è «una lode sincera e continua». Mentre «il modello che presiede alla nostra amministrazione», dal 1861, «è quello franco-napoleonico, la cui versione sabauda è stata modulata dall'unità in avanti in adesione a una miriade di pressioni localistiche e corporative» (Marco Meriggi, "Breve storia dell'Italia settentrionale").


Ignoravo che lo stato unitario tassò ferocemente i milioni di disperati meridionali che emigravano in America, per assistere economicamente gli armatori delle navi che li trasportavano e i settentrionali che andavano a "far la stagione", per qualche mese in Svizzera.

Non potevo immaginare che l'Italia unita facesse pagare più tasse a chi stentava e moriva di malaria nelle caverne dei Sassi di Matera, rispetto ai proprietari delle ville sul lago di Como.


Pino Aprile, "TERRONI - Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero meridionali" (ed. Piemme, 2010, pag. 7-9)

(...)

L'acciaio calabrese [di Mongiana] riforniva la stupefacente industria ferroviaria napoletana di Pietrarsa, il più grande complesso industriale dell'intera penisola, oltre mezzo secolo prima della Fiat, il doppio e più di dipendenti (mille) della Ansaldo di Genova; l'unica azienda italiana del settore in grado di fare tutto da sola, dalla rotaia alla locomotiva. La cosa disturbò francesi e britannici, che avevano il monopolio dell'industria ferroviaria; dispiacque all'Austria, che si vide superata; indusse lo zar a far copiare e riprodurre, identica, in Russia, la fabbrica napoletana: fu così che nacquero le celebrate Officine di Kronstadt. Quanto ai Savoia, furono i soli a spedire un generale, La Marmora, per studiare gli stabilimenti partenopei che avevano suscitato tanta ammirazione in Europa, con l'intento di farne di simili in Piemonte; ma una volta unificato il paese, la fabbrica napoletana fu degradata, immiserita e sugli operai che scioperavano contro lo scempio, i militari spararono ad altezza d'uomo: una quindicina di morti e feriti.


Arrivarono i garibaldini, e per Mongiana fu la fine (...)


Pino Aprile, "TERRONI - Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero meridionali" (ed. Piemme, 2010, pag. 173)


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