Schiavi consumatori

Schiavi consumatori

/mas/ D

“The freer the market, the freer the people”, ovvero il mantra del liberismo economico. Ma in un mondo totalmente globalizzato e trasformato in una gigantesca piazza affari il cittadino, e prima ancora l’individuo, sarebbe davvero libero? Per trovare la risposta occorre fare un salto temporale e indagare le origini dell’attuale società che, ormai scevra di valori, sembra sempre più divenire il parco giochi dei grandi capitali.

Il cammino parte dalla prima grande crisi valoriale: la secolarizzazione. In seguito alle grandi rivoluzioni dell’800 e alla diffusione del pensiero positivista si è assistito alla messa in crisi della Religione, ciò che sempre nella storia dell’umanità aveva rappresentato il più grande strumento di controllo sociale, la base dell’etica dei popoli del mondo e ciò su cui leggi, ordinamenti e istituzioni sono state erette, andando a creare lo scheletro della società stessa. Facendo un salto di un secolo, l’anomia generatasi dal dilagare della secolarizzazione è stata temporaneamente sedata da una nuova “religione”: l’esaltazione della cultura della propria nazione. Nello Stato nazionalista e dalla forte propaganda valoriale l’uomo sembrava aver ritrovato una dimensione di appartenenza, un mezzo per dare una direzione netta alla propria socializzazione e individualizzazione, ritrovando anche, in senso lato nell’intera Nazione, quella rete di protezione comunitaria che era andata a perdersi con l’insorgere della società industriale.

Continuando questa rapida sintesi si giunge al secondo post-guerra: è la nascita della globalizzazione, la fine dei nazionalismi, la culla di una non-cultura mondiale: il primo passo verso il compimento del grande progetto liberista. 

Giunti ai giorni nostri, è essenziale comprendere come questa non-cultura del consumo possa sradicare ogni valore precedente all’era del capitale imponendo la realizzazione di miliardi di semplici consumatori. Il presupposto è piuttosto semplice: il potere economico sovrasta il potere politico. Come un certo controverso pensatore di Treviri disse un giorno, l’economia è la struttura, tutto il resto semplice (ed estremamente malleabile) sovrastruttura.


Ma chi detiene il potere economico? Prendendo in prestito la sociologia economica di Pareto, chiameremo d’ora in avanti “élites” quei gruppi detentori del potere.

Sempre servendoci della sociologia economica, si può definire il sistema economico come una matrice di interdipendenze strutturate: non bastano infatti le semplici ed “empiriche” leggi di domanda e offerta a spiegare l’andamento dei trend del mercato: nel vigente marketing dell’Offerta, sono i desideri (poichè di bisogni non si può più parlare) a dettare i consumi. Con la globalizzazione e l’avvento esponenziale dei media, questi desideri divengono sempre più indotti: basta fare un giro su qualsiasi social network e osservare l’incredibile seguito di un qualsivoglia influencer grigiastro per accorgersi di stare assistendo al compimento spregiudicato della “Label Society”, la realizzazione totale del concetto Marcusiano dell’uomo a una dimensione (quella del consumatore, ndr), il trionfo di quel canone prescrittivo e coercitivo chiamato “moda”, plasmato dalle élite con il solo scopo di imporre una nuova cultura dominante a una massa dallo spirito cavo. Semplificando, i consumi vengono orientati attraverso desideri indotti da coloro che gioveranno economicamente dalla vendita di determinati prodotti. Le azioni economiche vengono direzionate attraverso l’utilizzo di figure di riferimento per le masse (la celebrità di turno) assoldate per propagandare un certo prodotto e creare un effetto bandwagon sul mercato, imponendo nuovi valori attraverso i “consumi di status” (Thorstein Veblen) e introducendo una nuova forma di cultura basata sul consumo incondizionato, agendo così su morale, usi e costumi.

Questa nuova non-cultura ha però una nemesi precisa: la cultura dominante tradizionalista che ancora, anche se gravemente ferita, cerca di sopravvivere in Europa. E’ facile capire così le cause dell’attacco crudele all’agenzia primaria della socializzazione: la famiglia. Una volta distrutta la famiglia, attraverso la spregiudicata normalizzazione di comportamenti ritenuti immorali e velenosi da ogni società sana, si farà largo fin da subito nella mente degli individui non ancora formati la cultura liberista: si andranno così a influenzare non più solo gli atteggiamenti ma anche i comportamenti e gli strati più profondi della personalità, creando perfetti eserciti di consumers in nome di un’uguaglianza paradossalmente dittatrice nel suo imporre un’unica forma di pensiero.

Parallelamente all’attacco alla famiglia procede l’attacco a ogni Stato che ancora mantiene un’Identità Nazionale: ogni forma di patriottismo e nazionalismo viene demonizzata, mentre massicciamente i media spingono per un sedicente “progresso” che nel suo monotono multiculturalismo uccide ogni sfumatura di razionalità (per approfondimenti sul dibattito:https://maspolinc.blogspot.it/2018/04/in-varietate-concordia_13.html ). Le meccaniche attraverso cui l’identità dello Stato viene logorata sono ben note: immigrazione di massa, scomparsa dei simboli della nazione da edifici pubblici e scuole, soppressione delle tradizioni.

Una volta completato il processo, l’individuo si ritroverà apolide, amorale, apatico.

Ma lo spirito umano ha bisogno di riferimenti, ha bisogno di un gruppo di appartenenza, ha bisogno di dimenticare la propria singola caducità immergendosi in un progetto più ampio. Senza Religione, senza Popolo, senza Patria, l’unico gruppo di appartenenza nel quale l’individuo potrà trovar rifugio sarà il consumo. Attraverso esso, ogni soggetto smette di essere bassomimetico e diviene parte di un trend, acquistando illusoriamente un posto nel mondo. Ma essendo le mode esclusivamente esteriori, l’Io rimane nullo, informe, pronto a nutrirsi avidamente di ogni nuovo prodotto che promette di dare una nuova dimensione di appartenenza. Ed ecco così che l’attore sociale diviene semplice consumatore, una somma di banali fattori economici. Ecco così che la cultura si tramuta in nient’altro che un sottoprodotto, una schiava di argilla da modellare in base alle esigenze di mercato. Ecco così che il grande progetto liberista è realizzato. 


E se ora si iniziasse a sentirete pulsioni sempre più crescenti di nichilismo, anomia, insofferenza e rabbia non c'è da temere: è lo spirito che non s’arrende alla tirannia della non-cultura, nel gigantesco conflitto che si sta delineando nelle menti più acute tra norme interiorizzate dalla tradizione e le nuove norme imposte dal mondo esterno, sotto l’influsso delle élite.

« Mentre il suo ego ora senza legge intensifica l’antagonismo fra l’individuo e la comunità e i suoi costumi, egli non ha idee chiare circa la natura del conflitto fra il suo Ego e il Mondo, e così cade ripetutamente preda d’intrighi d’ogni genere » (Max Horkheimer).

Per amore della vera cultura, per amore della propria patria, per amore della genuinità e libertà del proprio Io, ricorda: Memento Audere Semper.

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