Per uscire dall’euro è sufficiente un decreto legge

Per uscire dall’euro è sufficiente un decreto legge

Salclem2

di Giuseppe PALMA e Giuseppe PACCIONE, 15 marzo 2017


Si parta da un presupposto imprescindibile: l’Italia ha certamente sia la facoltà di abbandonare l’euro restando nell’Unione Europea (in tal caso sarebbe preferibile lo strumento del decreto legge emanato dall’esecutivo applicando il principio della Lex Monetae nell’interesse nazionale, quindi convertendo il 96% circa del debito pubblico – ancora sotto nostra giurisdizione – in nuova moneta nazionale), sia di uscire anche dall’UE appellandosi all’articolo 50 del TUE, il quale prevede un meccanismo di recesso volontario e unilaterale di un Paese dall’UE (e di conseguenza dall’eurozona). Se l’Italia decidesse di uscire contemporaneamente dall’UE e dall’euro, dovrebbe dunque notificare la decisione al Consiglio europeo, aprendo così la fase dei negoziati (della durata di circa due anni). Soluzione farraginosa che ci esporrebbe a pesanti ricatti da parte dei mercati e della BCE.


Ciò detto, tornare a moneta sovrana è una facoltà non esclusa neppure dai Trattati stessi: in tal caso gli artt. 139 e 140 del TFUE – Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea – non escludono la possibilità per gli Stati “la cui moneta è l’euro” di tornare allo status antecedente all’adesione, e per far ciò sarebbe sufficiente il mancato rispetto di alcuni parametri economico-finanziari richiesti per l’adesione alla moneta unica.


Inoltre, gli artt. 139 e 140 del TFUE andrebbero letti in parallelo alla Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati del 1969, la quale renderebbe il recesso dall’eurozona meno traumatico da un punto di vista giuridico. E’ opportuno dunque precisare che il recesso è possibile anche in relazione alla sola moneta unica senza dover uscire del tutto dall’UE.


Una volta usciti dall’euro, la nuova moneta nazionale (alla quale andrebbe attribuito “valore intrinseco”, cioè le tasse andrebbero fissate in nuova lira) sarebbe convertita 1:1 con l’euro, con la possibilità di operare aggiustamenti sul cambio e rendere maggiormente competitive le nostre esportazioni rispetto a quelle della Germania (nostro maggior competitor continentale nell’export), senza la necessità di svalutare il lavoro, cioè senza dover contrarre salari e garanzie del lavoratore.


Ma per quale ragione in Italia non viene data la parola ai cittadini se restare o meno nell’UE e/o nell’eurozona? Perché la Costituzione lo vieta, per due ragioni.


Il primo è rappresentato dall’articolo 75, comma 2, che non prevede il referendum abrogativo per le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, per cui ab antiquo si è voluto riservare al Parlamento la tutela di alcuni interessi fondamentali dello Stato. A tal proposito la Consulta ha asserito che è inammissibile la richiesta sull’abrogazione di leggi a contenuto vincolato: si tratta di una limitazione emersa in alcune sentenze con le quali si precisava che non può ritenersi ammissibile un referendum che miri all’abrogazione di una normativa interna avente contenuto tale da costituire per l’Italia il soddisfacimento di un obbligo derivante dall’appartenenza all’UE. Il ragionamento della Consulta è quello che, se la normativa nazionale fosse abrogata, lo Stato italiano si troverebbe inadempiente rispetto agli obblighi imposti a livello europeo, ragion per cui la normativa in questione non può essere oggetto di un quesito referendario. Il secondo impedimento è invece riscontrabile dalla lettura dell’articolo 80 della Costituzione in base al quale le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali: da ciò si deduce che il Parlamento è l’unico ad avere il potere di ratifica con legge ordinaria dei trattati internazionali, e che tali leggi non possono essere oggetto di referendum abrogativo.


Per dare quindi ai cittadini la possibilità di ricorrere allo strumento referendario sui trattati europei sarebbe necessaria una modifica della Costituzione, nel senso che per superare tale divieto occorrerebbe una legge costituzionale ad hoc approvata secondo la procedura aggravata prevista dall’articolo 138 della Costituzione, la quale potrebbe anche non modificare il secondo comma dell’art. 75 della Carta bensì introdurre un referendum di tipo consultivo. Tuttavia, si resta convinti che l’unica soluzione davvero praticabile per uscire dall’euro sia quella del decreto legge da emanarsi allo scopo di tutelare e ripristinare i principi inderogabili della Costituzione primigenia!


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