ONLINE The Wine of Youth by John Fante full how read without signing selling online

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È lui!Shhhhhh, abbassa la voce.Èluièlui!Smettila di indicare col dito...Ma ti dico che è lui! Mi conosce, vivo con lui, stai tranquilla, guarda!Ma vieni via, smettila, non strillare...per favore...Mi hanno portato via. Trascinata di peso come un manichino da vetrina in allestimento. Hanno detto che non potevo stare appiccicata alla finestra sul retro, che quello era spiare (spiona a me!), alone della bocca spalancata, timbro del naso spiaccicato contro il vetro e tutto il resto. Ma quello lì dentro è il mio uomo, è lui!, sissignori.Si chiama Arturo Bandini, ywan lo so che a guardarlo così non gli dareste mezzo soldo bucato. Figurarsi se quello là dentro, poi, è uno scrittore. Basta leggere qualche sua lettera - ne ha scritte anche a me, proprio così - per capire che con uno così non si va lontano: un po rozzo e volgare, patetico quando non è scorbutico, superbo quando non è melensamente romantico. Se fossimo alle corse, ai combattimenti tra polli, non scommetterei su di lui nemmeno un nichelino. Nessuno - lo farebbe. Tempo fa ho vissuto con lui a Bunker Hill, lo sentivo parlare continuamente dei suoi racconti. Sempre davanti a quella dannata macchina da scrivere, il pavimento di carta accartocciata, un tappeto uniforme di pallottole di carta, mezzo dollaro manco a riceverlo come lo spirito santo. Lo amavo, qualche volta gli preparavo il caffè, chiacchieravamo da amici guai ad averlo come amante non se ne esce sani di mente. Mi piaceva osservarlo lavorare, il ticchettio dei tasti mentre gli accarezzavo la nuca, passavo le dita fra i suoi capelli irregolari, avevo paura per lui, per le delusioni che avrebbe incontrato. Povero Arturo, pensavo. Lui mi rimproverava la mia compassione, meschina accondiscendenza che era solo volergli bene a tutti costi, naturalmente. Mi urlava contro che un giorno mi avrebbe fatto vedere. Che un giorno avrei dovuto chiamarlo Scrittore, che non avrei più avuto il coraggio di amarlo se non per la sua grandezza.Un giorno, per lennesima volta, uscì dalla stanza sbattendo la porta. Mezza dozzina di birre e poi torna: ho tempo per fare un bagno caldo e mangiare qualcosa. Riordinare la sua scrivania senza che se ne accorga, domani lavorerà meglio. Mezzora dopo, stretta nellaccappatoio, briciole tra i tasti della macchina da scrivere (mi ucciderà), i piedi nelle pantofole di spugna rosa stravaccati sulla sua scrivania, i suoi fogli fra le mani, il portacenere in bilico con il suo carico di mozziconi già sparsi intorno. Mi è caduto locchio, quel titolo ammaliante - Dago Red - le sue parole, ora ironiche, ora dolci, esilaranti e poi subito patetiche. Amare, e poi immediatamente scanzonate. Tra quelle pagine, ho pensato a quando, tornando a casa dopo settimane, salivo in ascensore e, appena si aprivano le porte, trovavo mia madre sulla soglia a braccia spalancate, a rendermi labbraccio che mi spettava, che mi restituiva la familiarità alla vita, la dolcezza antica di cose conosciute, che ci appartengono ab immemorabilia. Si aprono le porte dellascensore, si aprono le pagine. Il padre e la madre, italianità odiata, italianità amata, infanzia, la cucina, leducazione cattolica.Se non mi do una mossa mi troverà in questo stato commosso, non voglio dargliela vinta. Non voglio che mi costringa a dirgli quantè bravo, quanto poco è Bandini quando è davanti alla sua macchina da scrivere. Quanto è bello, e forte, e saggio col suo sguardo che tutto abbraccia dallalto e tutto comprende. Non voglio che mi trovi patetica e spettinata - quel gran figlio di buonadonna avrebbe il coraggio di mettermi misera e meschina in un suo racconto - diventerebbe scorbutico, più scorbutico di quantè di solito. Al diavolo, Bandini, ma come fai. Ti siederai alla scrivania e sarai un nobile principe. Mi guarderai torvo, fingerò ancora di credere che tu sia davvero un buono a nulla. Continuerai a scrivere.
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