Milioni di ragioni per cui certa Chiesa difende l’invasione

Milioni di ragioni per cui certa Chiesa difende l’invasione

Salclem2

di Fabio Amendolara, 13 agosto 2018

• Il 17% dei migranti sbarcati in Italia è ospitato dalle strutture ecclesiastiche. Il tutto viene finanziato soprattutto tramite i ricchi bandi delle prefetture.

• Numeri e affari della Caritas Spa. Dipendenti e attività: l'organo centrale della Cei fattura da solo 52 milioni, in crescita grazie all'emergenza. Ma il grosso dei bilanci si mescola a quelli delle 220 sedi diocesane. Ecco perché il suo peso influenza i vescovi.


La cifra è di tutto rispetto: il 17% degli stranieri accolti in Italia è ospitato in strutture di proprietà di 136 diocesi della Chiesa cattolica sulle 220 esistenti sparse sul territorio. Vale a dire che circa il 60% delle comunità locali guidate dai vescovi si occupa di accoglienza. Un business enorme, con almeno 22.000 immigrati che risultano ospitati nelle strutture religiose. È il grande affare dell'accoglienza, che per la Chiesa cattolica è gestito soprattutto dalla Caritas. E se quasi 5.000 profughi vengono ospitati con fondi ecclesiastici o donazioni dell'8 per mille, l'80% dei migranti è accolto a spese dei contribuenti, ossia con i famosi 35 euro al giorno per unità. Profugo vero o presunto che sia. Nell'ultimo Def, il Documento di economia e finanza, viene indicato un dato: 986 milioni sono stati dedicati alla Cei (ovviamente non tutti i fondi vengono destinati agli immigrati). Ma la cifra cresce in fretta, se si calcola anche che per l'assistenza agli stranieri e per la prima accoglienza dei profughi si spendono 1,8 miliardi di euro, dei quali una buona fetta è per la Chiesa.

E così, dalla rete della Caritas e delle diocesi, anche attraverso fondazioni e coop controllate, sono stati catturati almeno 26 bandi delle prefetture. Il tesoretto non è di poco conto. La Caritas diocesana di Bergamo, ad esempio, nel 2017 ha toccato i 17 milioni di euro per i costi sostenuti per la prima accoglienza e per altri progetti. Nel 2016 alla stessa voce i costi sostenuti erano poco più di 13 milioni. E proprio il 2016 è l'anno d'oro. Stando ai dati riportati in un servizio di Giuseppe Di Lorenzo sul Giornale, l'importo andrebbe ben oltre i 30 milioni di euro. Tra le più ricche c'è la Caritas di Udine, con i suoi 2,7 milioni di euro. Poi la Mondo Nuovo Caritas di La Spezia (1,7 milioni) e infine quella di Firenze (664.000 euro). «Un capitolo a parte», scrive Di Lorenzo, «lo merita Cremona, città che ha dato i natali a monsignor Gian Carlo Perego, direttore generale di Migrantes (l'ufficio per le migrazioni della Cei). Qui la Chiesa ha fatto bottino pieno: oltre 3 milioni di euro alla diocesi cittadina e 1,6 milioni assegnati alla gemella di Crema».

L'accoglienza cattolica fa parte del sistema dei Cas, i Centri di accoglienza straordinaria, e per il 16% è entrata nel sistema Sprar gestito dal Viminale attraverso i Comuni. Le strutture utilizzate sono canoniche, seminari, strutture ecclesiali ed episcopi. «La Chiesa accolga gratis i migranti», è il tormentone con cui Matteo Salvini ha invitato a ripetizione i vescovi a ospitare senza gravare sui contribuenti. E dalla Caritas hanno risposto con un progetto: «Rifugiato a casa mia». Niente fondi pubblici: costi a carico delle famiglie e delle parrocchie. Alla fine, stima la Caritas, si spende sei volte meno delle istituzioni. Ma allora chissà come la pensano a Trieste, dove l'ultimo bando della prefettura ha offerto lo scorso mese di febbraio ospitalità a 1.000 migranti per un importo annuale di 12,7 milioni di euro, assegnato a un raggruppamento guidato da Fondazione diocesana Caritas di Trieste e da coop rosse?

Le indicazioni arrivate alle Caritas diocesane dal tridente della Caritas italiana, presieduto dal cardinale Francesco Montenegro, vescovo di Agrigento, famoso per le sue omelie pro migranti, e dai suoi collaboratori più stretti, i vescovi Carlo Roberto Maria Redaelli (diocesi di Gorizia) e Vincenzo Orofino (dalla piccolissima diocesi lucana di Tursi Lagonegro), sul fronte dell'accoglienza hanno portato a ottimi incassi. Il direttore, che si occupa delle questioni amministrative, è don Francesco Soddu, sardo dalla lunga esperienza maturata nella Caritas di Sassari. È il sacerdote che dalle pagine del quotidiano Avvenire ha difeso a spada tratta le Ong appena i magistrati siciliani e Frontex le avevano messe sotto accusa. In squadra ci sono altri tre big: don Marino Callegari, delegato regionale del Triveneto, don Cesare Chialastri per il Lazio e don Domenico Francavilla per la Puglia. Completano la squadra Raffaele Izzo, tesoriere, e un segretario, Paolo Beccegato, che svolge anche le funzioni di vicedirettore.

È in quella sede, in via Arenula a Roma, a due passi dal ministero della Giustizia, che vengono trattate le questioni più spinose e delicate. Come le inchieste giudiziarie che sul territorio italiano coinvolgono le Caritas diocesane. Qua e là ce ne sono alcune. A Taranto, ad esempio, è stata chiusa un'inchiesta per l'accusa di peculato sulla gestione dello Sprar di Massafra (107.000 euro di fondi trasferiti dal Comune di Massafra) che coinvolge don Nino Borsci, direttore della Caritas diocesana di Taranto. Ed è lì che è stato trattato il caso di don Sergio Librizzi, ex direttore della Caritas diocesana di Trapani, condannato a nove anni di reclusione per violenza sessuale nei confronti di alcuni migranti che aveva accolto. Lo scorso dicembre la sentenza è stata annullata dalla Corte di Cassazione e si dovrà rifare il processo davanti ai giudici della corte di appello.

Don Sergio, secondo l'accusa, chiedeva prestazioni sessuali a giovani migranti in cambio di documenti per l'ottenimento dell'asilo politico, ma intanto era socio occulto di una cooperativa che controllava in via diretta o indiretta tutti i centri di accoglienza presenti nella provincia di Trapani. Quelle indagini, come ricostruì Repubblica, hanno svelato anche una trama fra il sacerdote e il suo vescovo Francesco Micciché (poi rimosso perché si scoprì che con i soldi destinati ai bambini autistici e ai piccoli malati oncologici aveva comprato un attico di 210 metri quadri con dependance nel centro di Roma), un patto per allungare le mani sul popolo degli sbarchi. Ma nelle stanze di via Arenula non si risolvono soltanto le beghe. Oltre ai conti e alle questioni di gestione amministrativa, si stabiliscono le strategie politiche e di propaganda.

L'ultima idea partorita dall'ufficio di presidenza l'hanno chiamata «Share the journey». Si è riusciti a farne parlare anche papa Francesco, in un messaggio teso a promuovere la cultura dell'incontro. D'altra parte proprio Jorge Mario Bergoglio nel documento L'accoglienza dei migranti forzati oggi nella Chiesa in Italia, ha scritto che le migrazioni sono «un segno dei tempi» e «una sfida pastorale». Sarà. Ma da quando la Chiesa ha intensificato l'accento pro migranti, la fiducia degli italiani nel Papa pare essere diminuita: negli ultimi cinque anni la sua popolarità è scesa dall'88% al 70%, e starebbe ancora diminuendo. Gli analisti di Demos (istituto di ricerca fondato dal sociologo Ilvo Diamanti) sostengono che le sue posizioni in favore dei migranti hanno contribuito a ridurre l'indice di apprezzamento, spiegando che il trend potrebbe essere dovuto anche alla percezione di una mancata pulizia all'interno della Chiesa dalla piaga dei preti pedofili.


Numeri e affari della Caritas Spa

Oltre 52 milioni di euro movimentati nel 2017, di cui 39 per progetti e attività in Italia e nove nel mondo. Un milione di beni e servizi materiali erogati: viveri, vestiario, prodotti per l'igiene personale, buoni pasto. Investimenti immobiliari e in titoli di Stato. Sembra il bilancio di una grande azienda. E invece è la Caritas. Il Rapporto annuale 2017 conferma che l'organismo pastorale della Conferenza episcopale italiana è un grande bancomat.

Basta dare un'occhiata al rendiconto gestionale. L'ultimo disponibile è il bilancio consuntivo al 31 dicembre 2016. I dati sono molto interessanti. Ad esempio: i proventi delle offerte sono passati dai 17 milioni di euro del 2015 ai quasi 30 del 2016. E così la Conferenza episcopale italiana ha potuto ridurre un po' il suo contributo, che è passato dai 34 milioni del 2015 ai 30 del 2016. L'analisi degli oneri, poi, offre la possibilità di capire che peso abbia la Caritas italiana anche in termini di capitale umano. Dall'esterno si immagina che tutto sia sulle spalle di volontari. E invece i dipendenti sono tanti: 44 nella sola organizzazione nazionale (ai quali vanno aggiunti i dipendenti di ogni delegazione sul territorio e quelli di fondazioni e coop collegati alle singole diocesi). Tre di loro sono quadri direttivi di primo livello e quattro di secondo livello. Gli impiegati sono 37, di cui due part time. La spesa annuale per gli stipendi è stabile negli ultimi anni. E ammonta a oltre 1.800.000 euro, ai quali bisogna aggiungere oneri sociali per oltre 500.000 euro e trattamenti di fine rapporto che ogni anno si aggirano sui 130.000 euro. Anche per le collaborazioni la spesa non è da poco: lo scorso anno sono usciti dalle casse Caritas oltre 90.000 euro.

Ma come avviene il reclutamento del personale? Come in qualsiasi azienda. C'è chi arriva su segnalazione, chi per via clientelare e chi risponde agli annunci che di tanto in tanto compaiono sul web (soprattutto quelli legati a progetti specifici). La Caritas, poi, investe. Le attività finanziarie, per un totale di oltre 18 milioni di euro, sono legate soprattutto a depositi in titoli di Stato a reddito fisso, con scadenza semestrale: 1.506.000 affidati a Banca popolare etica, 3.876.000 a Etimos (un network che investe in organizzazioni e imprese che lavorano per dare risposte innovative alle grandi sfide sociali) e oltre 13 milioni a Unicredit. Nell'ufficio che si occupa di finanza in Caritas sono soddisfatti per i risultati dell'ultima annata. Soprattutto per gli investimenti con Banca popolare etica, dove alcune quote di fondi comuni denominati «Sistema valori responsabili» sono cresciuti.

E il loro valore di mercato al 31 dicembre era notevolmente superiore, con quasi un milione di euro di plusvalore sull'investimento. Sugli immobili, invece, va un po' peggio. Rispetto all'anno precedente si è passati da un patrimonio netto di oltre 18 milioni di euro ai 17 milioni del 2016. La causa? Una galoppante svalutazione del mercato immobiliare. Ma la voce più imponente nel bilancio della Caritas è anche la più scontata: le offerte. Nel 2015 ammontavano a 52 milioni e nel 2016 hanno superato i 61. La Caritas è una struttura che costa poco e produce tanto. Per far funzionare la macchina, tra automezzi, spese per la telefonia, servizi postali, spese di rappresentanza, viaggi, abbonamenti e cancelleria, si spendono poco più di 200.000 euro all'anno.

Per comprendere fino in fondo il peso della Caritas italiana, però, non basta scartabellare nel bilancio dell'organizzazione nazionale. Bisogna tenere bene a mente che ci sono anche 16 diramazioni territoriali e 220 Caritas diocesane, ognuna con il proprio statuto. Ma non con i propri conti. Il loro bilancio costituisce una voce del bilancio diocesano, denominata Fondo per la carità. I singoli movimenti contabili entrano quindi analiticamente nella contabilità della diocesi, adottando il codice fiscale e l'eventuale partita Iva a essa attribuiti. E spesso le Caritas si sono trasformate nella prima forza economica di una diocesi. Sul territorio sono nati i cortocircuiti, tanto che in certi casi è possibile affermare che su alcuni temi, come l'accoglienza, è la Caritas a indirizzare le scelte del vescovo.

(Fonte: https://www.laverita.info/milioni-di-ragioni-per-cui-certa-chiesa-difende-linvasione-2595191105.html)


Report Page