Legalità, Costituzione e invasioni barbariche

Legalità, Costituzione e invasioni barbariche

Salclem2
Euro Tower

Redazione, 16 dicembre 2019


Grande confusione nell’opinione comune, e non solo, vi è intorno al senso della legalità. Non tanto della legalità espressione della produzione legislativa del Parlamento, ma della massima legalità, ovvero di quella “meta-legalità” – ossia di quella legalità di “livello superiore” – che “norma le norme”: la legalità costituzionale.


La legalità costituzionale è la prima vittima di quell’assassino seriale di diritti economici, sociali e politici che è il processo di integrazione europea.


Il punto non è assolutamente complesso, almeno nella sua estrema sintesi: basta rigettare integralmente le aporie della propaganda europeista. Tutta la legislazione che proviene da fonti normative che non sono diretta espressione della volontà popolare, ma che adottano – implicitamente o espressamente – il super-principio per cui andrebbero poste in essere politiche «al riparo del processo elettorale», sono di natura extra-costituzionale e tendenzialmente contra constitutionem. Ovvero sono fonti che producono una legislazione che perlopiù non giace nell’alveo della legalità costituzionale. Sono leggi che si pongono geneticamente contro l’orientamento legislativo imposto dalla Costituzione.


Ma cosa significa «al riparo del processo elettorale» (cit. M. Monti)? E cosa c’entra l’Unione Europea con questa prassi «implicitamente o espressamente» antidemocratica?


Alcuni fatti come la resistenza a rispettare il voto popolare per la Brexit sono un esempio pratico e lapalissiano, ma lo spirito antidemocratico del processo di costruzione europea è connaturato al progetto stesso.


Vediamo di sottolineare alcuni passi empiricamente evidenti: secondo la logica antidemocratica – elitista – il «bene comune» è raggiungibile esclusivamente «al riparo del processo elettorale», ovvero al «riparo» degli interessi materiali immediati del popolo, a cui negare qualsiasi sovranità poiché esso è considerato nient’altro che la sommatoria di «pance irrazionali» incapaci di raggiungere, o anche solo d’immaginare, una meta che sia configurabile come «bene comune».


Tutto il processo di unificazione europea è avvenuto «di nascosto» (cit. Majone) e «al riparo del processo elettorale». Il più importante architetto della UE, Jean Monnet, affermò: «Le nazioni europee dovrebbero essere guidate verso il superstato senza che i loro popoli capiscano cosa stia succedendo. Ciò può essere realizzato con fasi successive, ciascuna mascherata da uno scopo economico, ma che alla fine – irreversibilmente – porterà alla federazione».


Perché mai tutto dovrebbe essere fatto «di nascosto», paludando le scelte politiche come necessitate da «scopi economici», per edificare un «superstatato» come gli USA? E perché mai furono proprio gli Stati Uniti a spingere le élite europee a portar avanti il progetto di federazione?


A quest’ultima domanda trovare una risposta è banale: i motivi furono di natura geopolitica. L’Unione Europea era un progetto «dell’imperialismo americano» (cit. Altiero Spinelli) che sfidava l’URSS. (Oggi la Federazione Russa).

La risposta sintetica è quindi immediata: il processo di integrazione europea è un progetto economico, politico e sociale a vantaggio esclusivo delle élite americane e, a cascata, a vantaggio delle élite europee, almeno nei confronti dei rispettivi popoli. Ovvero la UE è un progetto economico, politico e sociale a svantaggio degli europei.


Se l’imperialismo USA è stato la principale forza a spingere per l’integrazione europea, non va dimenticato il grande supporto dell’élite europea, rappresentata storicamente dal conte Coudenhove-Kalergi, che sognava le glorie del Sacro Romano Impero, che bramava un governo mondiale e che abbandonava il conservatorismo aristocratico per abbracciare il liberalismo borghese.

Diventa così evidente che la massima fonte di legalità che imprime una direzione sostanzialmente democratica alla politica e alla legislazione, ossia la Costituzione nazionale, viene messa da parte in favore di una normativa che nasce da super-entità sovranazionali che non sono altro che “filtri” che permettono alle élite internazionali – europee e americane, con vocazioni imperialiste e cosmopolitiche – di prendere decisioni «di nascosto» e «al riparo del processo elettorale».


Poiché gran parte dell’attuale legislazione nazionale è di derivazione eurounionista, la legalità vigente è in gran parte extra-costituzionale e – essendo questa espressione degli interessi dell’élite economica che viene lobbisticamente rappresentata nei consessi europei – imprime un ordine oligarchico agli stati nazionali.


Nella storia del pensiero elitista, che nella modernità è rappresentato dal pensiero liberale e nella post-modernità da quello «neoliberale», il «bene comune» è privatisticamente inteso e contrapposto al democratico «interesse pubblico», agli «interessi generali». Ossia nella visione elitaria della borghesia liberale non esiste altro interesse che il proprio: e questo può essere presentato in diversi modi al popolo sovrano ricondotto a massa informe, plebea, priva di qualsiasi discernimento che non sia volto ad appagare il proprio stomaco e il proprio desiderio riproduttivo. Il tema dominante dell’elitismo, e sua «norma “morale” fondamentale», è quello per cui esisterebbero motivi per i quali qualsiasi sacrificio deve essere fatto dalle masse e qualsiasi vita potenzialmente sacrificata: quindi il «bene comune», ovvero gli interessi privati dell’élite, viene travestito da «sovrappopolazione», da «cambiamenti climatici», da «inquinamento», da «ecologia», dove la divinizzazione del nuovo totem corrisponde alla divinizzazione dell’organizzazione sociale naturalizzata. L’ecologia è ad esempio, nella modernità, una metafora della naturalizzazione dell’economia, e della cristallizzazione dei rapporti sociali che questa sottende, insieme ai rapporti di forza e ai privilegi. L’ecosostenibilità, per tornare a tema, è quindi la metafora della «stabilità monetaria», il dogma finanziario che tutela gli interessi dell’élite che vive di rendita (che è appunto norma fondamentale su cui sono imperniati i Trattati UE).


Le Costituzioni moderne pongono invece alla loro base l’inviolabilità della vita e della dignità umana: ovvero fanno propria un’etica umanitarista che, nel capitalismo, si concretizza nella tutela del lavoro (piena occupazione e redditi dignitosi) e nella sua «stabilità» (che è il contrario della «flessibilità» del lavoro precarizzato).


L’Unione Europea – come si deduce dalle citazioni degli illustri europeisti precedentemente riportate – è dall’origine intrisa di questo elitismo: le masse che pensano solo a consumare e a riprodursi (inquinando…) non sono all’altezza di potersi sovranamente confrontare con «le sfide del futuro». Quindi devono – contra constitutionem – cedere sovranità alla UE, ossia a quell’istituzione che altro non è che la maschera della classe dominante (illuminata…) in grado di fare attività di lobbying a livello internazionale.


Va inoltre sottolineato che – secondo l’elitaria classe egemone – gli europei hanno un grave difetto: sull’onda della tradizione greca, hanno osato invertire «l’ordine naturale» progettando dei sistemi democratici in cui «la sovranità appartiene al popolo».

(Certo è che sostituire gli europei con popoli che non hanno nessuna nozione della tradizione democratica è una soluzione che ormai viene pure spacciata senza riserve; così, giusto per rendere politicamente significativo il supporto delle élite all’immigrazione. Senza dimenticare che la politica “noborder” è una politica di classe volta a comprimere i salari, ovvero i diritti dei lavoratori, e quindi del popolo sovrano).


Ecco che con la scusa di dover «far balzi in avanti» verso l’integrazione europea, con motivazioni mostrate come neutrali, squisitamente tecnico-economiche – come se la distribuzione del reddito non sia nel capitalismo il massimo motore del conflitto sociale e quindi non sia in sé tutto fuorché «neutrale» – al popolo viene chiesto di cedere sovranità.


Sottratta al popolo la sovranità monetaria, resa libera la circolazione di capitali, beni e persone, non c’è più alcun argine politico ai rapporti di forza internazionali, cristallizzati da quel coacervo di incomprensibili – QUINDI antidemocratiche – norme che portano il nome di Trattati europei. Scardinato così l’art.11 della Costituzione che impone «condizioni di parità» per la ratifica di qualsiasi trattato internazionale, una volta firmati trattati liberoscambisti quali sono quelli UE, queste «condizioni» volte a salvaguardare «l’interesse nazionale» non possono essere più ricercate nel momento in cui vengono lasciate «libere» le forze economiche; libere di invadere barbaricamente i paesi senza alcun sostanziale limite da parte dello Stato. La legge a livello nazionale è così imposta da queste stesse forze devastatrici, in grado di spolpare intere filiere produttive e lasciare solo deindustrializzazione, debiti e disoccupazione. La nuova legalità non è più conforme a Costituzione: e, come ammoniva Calamandrei, in questo modo la Costituzione, frustrata nei suoi principi fondamentalissimi, non è che si sarebbe semplicemente modificata, ma sarebbe stata letteralmente distrutta. E le forze politiche sarebbero barbaramente tornate in libertà, senza alcuna costrizione di carattere legalitario-costituzionale.


Forse che per mettere fine a questa macelleria sociale patrocinata dall’Unione Europea sia necessaria una nuova fase costituente? E se così fosse, esisterebbero le risorse culturali adeguate per creare una Costituzione all’altezza di quella del 1948?


Mentre ci poniamo queste domande siamo di fronte a un nuovo trattato internazionale di origine eurounionista – il MES – che preannuncia una nuova ondata di invasioni barbariche.

(Fonte: https://www.progettoeurexit.it/la-legalita-la-costituzione-e-le-invasioni-barbariche/)


Contributi UE: la logica dello sfruttamento coloniale

Redazione, 21 dicembre 2019


(A chi abbiamo ceduto la sovranità?)


Nessun dominio coloniale può sussistere senza l’attiva collaborazione di una classe dirigente che agisce negli interessi dello straniero. Solo in questa logica si può spiegare l’imperterrita volontà politica di insistere a contrarre vincoli sempre più stringenti con i paesi dell’eurozona. E lo si può spiegare solo in questo modo proprio perché la stragrande maggioranza degli italiani non ha alcun beneficio economico dai trattati di libero scambio della UE e, soprattutto, non ne ha dall’aver ceduto la sovranità monetaria alla BCE. E poiché il processo d’irrigidimento delle regole che normano i rapporti dei paesi dell’eurozona aumenta di pari passo con crescenti «cessioni di sovranità» – con buona pace dell’art.11 Cost. – ne consegue che le cause di questa masochistica accettazione da parte della nostra classe dirigente di proseguire in un progetto tanto diseconomico – per usare un eufemismo – vanno ricercate in ciò che è a tutti gli effetti una soggezione a un dominio coloniale.


Un fatto eclatante – che sarebbe altrimenti inspiegabile – consiste nei contributi al bilancio UE dell’Italia: ovvero l’Italia, per partecipare al “club europeo” – in cui viene espropriata di sovranità, per cui ha ceduto gran parte delle filiere produttive e si è deindustrializzata, a cui deve mendicare finanziamenti e «flessibilità» – deve versare più di quindici miliardi di euro l’anno (!).


Secondo la Commissione Europea, l’Italia, a fronte dei quindici miliardi versati, «beneficerebbe» di un’ottantina di miliardi di euro grazie alla semplice appartenenza al “club”…


Ci prendono per i fondelli: la contribuzione dell’Italia al bilancio UE è da sempre netta, e, in aggiunta, i tartassati contribuenti italiani devono versare risorse aggiuntive oltre a quelle destinate al bilancio UE.


I “fantastiliardi” che l’Italia guadagnerebbe dall’appartenenza UE non emergono neanche indirettamente dalla bilancia commerciale, ovvero dai rapporti economici con l’estero – che sono in gran parte positivi grazie agli scambi commerciali al di fuori dalla UE – né dal relativo impatto sul PIL. Ci prendono in giro.


Rimane quindi la mera contribuzione netta con la beffa dell’ulteriore aggravio dovuto al «cofinanziamento» per ottenere gli stessi finanziamenti dalla UE: ovvero, non tutti lo sanno, ma non è vero che – come ripete la propaganda coloniale – l’Italia è «disorganizzata», «pasticciona» e non sa sfruttare i finanziamenti de «l’Europa». Per ricevere quella frazione di risorse versate alla UE sotto forma di finanziamenti, l’Italia deve contribuire per circa la metà. Ovvero, la UE ci dice: «vuoi un po’ dei tuoi soldi indietro? Te li do sotto forma di finanziamenti, nei progetti che decido io, nelle modalità che decido io e se, e solo se… la metà dei soldi che ti servono ce li metti ancora te (!)». Ovviamente rispettando i «vincoli di bilancio» che ti impongo per rimanere nel “club”. (Quindi se per rispettare i vincoli di bilancio che ti impone la UE ti ritrovi senza risorse per «cofinanziare» i tuoi progetti, perdi anche la restante metà del denaro… un affarone questa UE!).


L’appartenenza alla UE e all’euro è in definitiva un’abnorme estrazione di ricchezza dall’Italia che non è altrimenti spiegabile se non con una patente sudditanza politica (oltre che di una patologica “possessione ideologica” chiamata “europeismo”).


Che siamo colonizzati economicamente dalla Germania e politicamente dalla Francia ce lo dicono apertamente pure esponenti di spicco di quel gruppo che può a tutti gli effetti essere definito «classe dirigente» del nostro Paese; esponenti celebri per averci portato in quest’umiliante situazione contraddistinta da più di cinque milioni di poveri, da un numero altrettanto mostruoso di disoccupati ed emigrati, e con ponti, scuole ed ospedali che cadono a pezzi.


Quando imprecate per le buche in mezzo alla strada, fatevi la sacrosanta domanda: «è l’austerità imposta dall’Unione Europea?» (Per inciso: austerità, euro e vincolo di bilancio sono macroeconomicamente la stessa identica cosa: una «politica dei redditi» volta all’impoverimento della maggioranza).


Giuliano Amato già nell’89 sosteneva che: «…Quando si insegna ad un ragazzino di primo anno all’università in che cosa consiste la sovranità, la prima cosa che gli si dice è “batter moneta”.


Quindi c’è niente popò di meno quel problema lì di mezzo. Una volta si diceva “batti moneta e dichiara le guerre”. Ora pudicamente si dice “batti moneta e poi paga pensioni, stipendi”. Batter moneta come caratteristica dello Stato sovrano continua ad essere la prima cosa che viene in mente. E non a caso…». Ovvero l’euro rappresenta la più importante delle cessioni di sovranità. E questa cessione verso chi è avvenuta?


Già affermare che non si è più liberi di «pagare pensioni e stipendi» si afferma qualcosa di estremamente chiarificatore e allarmante. Le due citazioni seguenti lo esplicitano chiaramente; afferma Prodi:


«Il grosso problema [dello SME, l’accordo valutario preparatorio dell’euro] era di trarne le conseguenze, cioè di approfittare per una immediata nuova politica di tipo salariale, per quella che allora veniva chiamata […] la “politica dei redditi”. […] Ed è abbastanza interessante perché, tutto sommato, nonostante non ci sia stato un adeguamento politico immediato […] però successivamente l’adesione allo SME è stato quella specie di fatto corrosivo quotidiano che ci ha spinto ad avere politiche leggermente più sagge con il passare del tempo.»


Le «politiche più sagge» a cui fa riferimento Prodi sono proprio le «politiche d’austerità», ovvero di compressione dei redditi da lavoro: ovvero è – secondo Prodi – «più saggio» aumentare la disoccupazione, la precarizzazione e la povertà assoluta e relativa.


Il banchiere Guido Carli [inizio anni ‘70] conferma il senso dell’euro esplicitato da Prodi; sulla falsa riga del «gold standard», ovvero dei rigidi vincoli di cambio, l’euro non è altro che una «politica dei redditi» volta a schiacciare i salari:


«L’argine contro il dilagare del potere d’acquisto che muovendo dagli Stati Uniti minaccia di sommergere l’Europa, si continua a sostenere, potrebbe essere innalzato esclusivamente mediante il ripristino del gold standard [ossia di quello che sarà poi la moneta unica, l’euro]. In realtà, concezioni del genere incontravano, un tempo, un coerente completamento nelle enunciazioni che attribuivano al meccanismo concorrenziale il compito di realizzare, mediante congrui adattamenti dei livelli salariali, il riequilibrio dei conti con l’estero.


Insomma, il ritorno alla convertibilità aurea generalizzata implicava governi autoritari, società costituite di plebi poverissime e poco istruite, desiderose solo di cibo, nelle quali la classe dirigente non stenta ad imporre riduzioni dei salari reali, a provocare scientemente disoccupazione, a ridurre lo sviluppo dell’economia.»


Questo scenario ottocentesco privilegia una «classe dirigente» che non ha scrupoli ad affamare il popolo.


Quindi a chi è stata ceduta quella che potrebbe essere chiamata «sovranità interna», ovvero la «sovranità popolare»? La prima risposta è proprio in riferimento ai rapporti di forza nazionali: è stata ceduta alle oligarchie economiche, ai redditieri che non devono lavorare per vivere. Questo per il solo effetto redistributivo “verso l’alto” dei redditi, sempre più bassi per la povera gente e sempre più concentrati sotto forma di rendite in pochissime mani.


Ma questa classe che si è arricchita non sarà forse proprio parte di quel ceto dirigente che collabora con le potenze ostili all’Italia? Magari le stesse a cui è stata ceduta la sovranità nazionale tramite le istituzioni UE, a partire proprio dall’euro?


Mario Monti conferma d’altronde che «le leve del potere sono oramai inesorabilmente altrove» – ovvero la sovranità sarebbe irrimediabilmente ceduta – e le scelte politiche sono quindi prese «al riparo dal processo democratico».


A chi rispondono le classi privilegiate e collaborazioniste italiane? A quali poteri esteri?

A darci una risposta definitiva è ancora Prodi:


«La prima rottura, la disobbedienza del Patto di Stabilità – io ero Presidente della Commissione europea […] – e Germania e Francia, sotto presidenza italiana [dal 1999 al 2004], mi imposero di violare le leggi europee, cioè dissero “comandiamo noi” . Quindi è cominciata una dialettica già da allora, per cui la regola non era più rispettata, ma erano rispettati i rapporti di forza. Questo è purtroppo quello che è avvenuto in Europa; la Commissione è stata messa in situazione di debolezza e gli Stati… hanno cominciato ad essere i comandanti ed il comandante più grande, cioè la Germania, ha comandato più di tutti. […] La Francia comanda la politica estera europea, la Germania quella economica ed ognuno si fa i fatti suoi, non è che ci sia una grande guida armonica […] Io ripeto – un po’ con senso di non bell’umorismo, se vuole – che l’Europa, si diceva sempre, che è un motore a due pistoni franco-tedesco, adesso è fatta da due motori ad un pistone, quello della politica estera francese, quello della politica economica tedesca…»


Chiaro? Prodi dice che senza mezzi termini che abbiamo ceduto le nostre ricchezze e la nostra sovranità nazionale – insieme alla democrazia costituzionale – a Francia e Germania.

Non è ora di riappropriarci del nostro futuro e del nostro benessere?

(Fonte: https://www.progettoeurexit.it/contributi-ue-la-logica-dello-sfruttamento-coloniale/)


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