La dittatura europea - Ida Magli
Salclem2
LA DITTATURA EUROPEA – Ida Magli (estratti)

Premessa, pag. 7
Quando ho scritto Contro l'Europa sapevo soltanto una cosa: che l'unificazione dell'Europa era un'idea del tutto contraria alla ragione e alla storia.
Le società e le culture non possono camminare all'indietro, non possono regredire, così come le Specie: o progrediscono nella direzione di marcia verso la loro forma, oppure si estinguono. La Germania, la Francia, l'Italia, l'Inghilterra (solo per citare alcuni Paesi chiamati alla fondazione dell'Ue) erano giunti a diventare «Nazioni», con la loro individualità di territorio, di confini, di paesaggio, di patria, di lingua, di letteratura, di arte, di musica, di bellezza, di civiltà, attraverso un lungo percorso storico, perché questo «essere Nazione» era la «forma» di civiltà cui aspiravano: piena, forte, matura, felice. Avevano perseguito questo modello con lo sforzo, il lavoro, l'ingegno, le battaglie, il sangue, l'eroismo di secoli.
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Capitolo 1. Salvare l'Italia dall'Europa, pagine 9, 11, 12, 19, 21, 22, 23, 25, 29, 30
Mi sono battuta con tutte le mie forze affinché qualcuno impedisse l'omicidio-suicidio di una delle civiltà più belle che l'umanità abbia prodotto senza riuscirvi. Ma quello che mi angosciava maggiormente era l'impossibilità di capire perché questo destino di morte sembrasse a tutti, salvo che a me, un evento ineluttabile, al quale era giusto adeguarsi sforzandosi di collaborarvi.
Maastricht era stato firmato nel 1992(1). Un trattato il cui testo sembra scritto da esseri alieni i quali, in base ai loro concretissimi interessi di denaro e solo denaro, impongono a popoli altamente civili, con la sicurezza dittatoriale di chi non sa quello che dice e quello che fa, di centrare la propria vita, il proprio futuro, sulle regole del «mercato», assurto a infallibile divinità. O meglio, sulla libertà di un mercato che, unico personaggio nel teatro di Maastricht, non soltanto non ha bisogno di regole, ma addirittura garantisce il suo più giusto funzionamento esclusivamente se gode di un'assoluta libertà.
La sua libertà, perciò, al di sopra di quella degli uomini, contro quella degli uomini, è la nostra prigione. Le «virtù» degli adepti del nuovo Dio si misurano nelle cifre dei loro bilanci, in un Pentalogo, chiamato «Parametri» (o criteri di convergenza), che fissa quali debbano essere e mantenersi per sempre i rapporti fra i cinque dati nei quali è racchiusa la vita dell'umanità.
Li riporto qui nella convinzione che la grandissima maggioranza degli Italiani e degli altri milioni di cittadini europei obbligati ad attenervisi, non li conosca affatto; e non li conosca perché nessuno ha voluto farglieli conoscere:
1) l'inflazione non deve superare di più dell'1,5% quella dei tre Stati più «virtuosi»; 2) il tasso d'interesse a lungo termine non può essere più di due punti sopra la media dei tre Stati suddetti; 3) negli ultimi due anni bisogna aver rispettato i margini di fluttuazione dei cambi all'interno del sistema monetario europeo e non aver mai svalutato la propria moneta rispetto a quella degli altri Paesi membri; 4) il deficit annuale delle amministrazioni pubbliche non può eccedere il 3% del Pil; 5) il debito pubblico complessivo non può essere superiore al 60% del Pil.
Il «per sempre» di Maastricht, messo a sigillo di un Trattato fra Stati, cosa mai avvenuta prima perché la saggezza delle diplomazie è stata sempre solita lasciare uno spiraglio ai cambiamenti, dobbiamo tenerlo ben fisso nella memoria perché lo ritroveremo continuamente nel nostro itinerario. L'edificazione dell'Unione Europea e in prospettiva di tutto il mondo, non conosce il divenire della storia, non prevede necessità di cambiamenti perché si fonda sulla certezza che non possa esistere nulla di più perfetto.
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La frode europeista invece è nascosta in quell'articolo 11 [della Costituzione] che recita: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni rivolte a tale scopo». Come sia stato possibile far scaturire da questo articolo l'eliminazione della proprietà del territorio della Nazione (Schengen), la perdita della sovranità monetaria e della moneta, l'obbligo di una nuova cittadinanza, di una nuova bandiera, di una nuova Costituzione, nessuno potrà mai spiegarlo. A questa evidente frode è stata aggiunta, poi, un'altra consapevole volontà fraudolenta: aver inserito l'unificazione europea nella politica estera, di cui fa parte l'articolo 11, affinché gli italiani fossero costretti a subire la perdita dell'indipendenza senza poter esprimere il proprio parere. La democraticissima Costituzione italiana, infatti, vieta il parere dei cittadini nei due unici veri campi di esercizio del potere: il sistema fiscale e il rapporto con l'estero.
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Un altro esempio ancora più grottesco si trova nel sistema di «scelta» dei parlamentari: non devono saper fare nulla dato che, una volta eletti, sanno fare tutto.
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Ma è stata questa generalizzata incompetenza dei politici che ha permesso, o almeno ha reso più facile, a banchieri, economisti, esperti finanziari, di impadronirsi delle vere funzioni del governo, imponendone le regole a tutti. Maastricht nasce anche per questa totale delega da parte dei politici ai tecnici dell'economia, di ogni responsabilità nei confronti dei Popoli.
Come noteremo più volte lungo il nostro itinerario, l'Unione Europea rispecchia a ogni passo della sua costruzione questo «peccato originale»: mancano i popoli. E mancano perché chi gioca in Borsa, chi si occupa soltanto di denaro, e del modo di accrescerlo, neppure si ricorda che esistono gli uomini, anzi gli sarebbe d'impaccio ricordarlo. Il Trattato di Maastricht lo rivela continuamente. È per questo, perché è privo di qualsiasi riflesso d'umanità, che nessuno ha avuto il desiderio o la forza di leggerlo. Ma purtroppo questa è stata la sua fortuna: è andato avanti senza ostacoli perché, non avendolo letto, nessuno ha avuto neanche la voglia, la competenza per contestarlo.
Io, però, l'ho letto. La prima parte della mia battaglia contro l'unificazione europea è nata dall'orrore che ha suscitato in me; dalla constatazione che coloro che l'avevano pensato e sottoscritto erano dei despoti assoluti, quali ancora non erano mai apparsi nella storia, proprio perché non avevano alcun bisogno di riferirsi agli uomini per dettare il proprio disegno e le regole per realizzarlo. Non ne avevano bisogno al punto tale che le loro armi consistevano in multe in denaro per chi avesse disobbedito. Tutto il resto non aveva né senso né valore: la patria, la lingua, la musica, la poesia, la religione, le emozioni, gli affetti, tutto quello che riguarda gli uomini in quanto uomini, che dà espressione e significato al loro vivere in un determinato luogo, in un determinato gruppo, al loro contemplare un determinato paesaggio, al loro amare, soffrire, godere, creare, veniva ignorato.
Era mostruoso. Non potevo tacere. Dopo aver fatto tutti i tentativi che mi erano possibili per convincere qualcuno fra i giornalisti, i politici, i colleghi d'università, gli industriali, i medici che conoscevo, a organizzare un movimento anti-Maastricht senza riuscirvi, ho deciso di scrivere un libro. Contro l'Europa(2). Era il 1997.
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A questo, del resto, è adibita la scuola di Stato: a preparare dei docili insegnanti e dei docili allievi della democrazia. E dell'Unione Europea. Quanto è stato flagellato Mussolini perché nelle scuole di Stato si formavano i giovani fascisti! Ma in che cosa sono diverse le nostre scuole dove si distribuiscono gratuitamente libri, preparati negli uffici dell'Ue e pubblicati con i nostri soldi, su Cittadinanza e Costituzione. Educazione alla cittadinanza europea?(3) C'è da aggiungere a questa autoritaria iniziativa la cosa più miserevole: la «cittadinanza» che, in base al titolo, dovrebbe costituire l'oggetto del libro, è un termine che nel testo ricorre una sola volta. La spiegazione di un errore così clamoroso è però molto semplice: non si vuole illustrare che cosa sia una «cittadinanza» perché sarebbe troppo difficile in tal caso convincere gli alunni a trovare giusto l'essere stati costretti ad avere due cittadinanze e a sentire l'Europa come «patria» (la cittadinanza europea è stata imposta a tutti i cittadini dell'Unione con il Trattato di Maastricht).
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Sia ben chiaro però che, malgrado la tanto osannata democrazia esistente in Europa, ai popoli non è stato detto nulla dei tanti problemi che stiamo tentando di chiarire. Nulla, assolutamente nulla. L'informazione sull'unificazione europea è stata programmata fin dall'inizio per non informare, e ha proseguito sempre sulla stessa strada in modo da non fornire neanche il minimo indizio sulla realtà. Con la tattica tipica dei Progettisti del «Nuovo ordine mondiale», europeo e globale, la situazione viene semplicemente imposta, fatta trovare davanti agli individui e ai popoli già pronta.
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Prego, però, i miei lettori di non pensare che io stia alludendo, come già tanti hanno fatto, alla «teoria del complotto». Non c'è e non c'è stato nessun complotto. E perché avrebbe dovuto esserci? Sono i sudditi, quelli che non hanno il potere, che sono costretti a «complottare», a lavorare in segreto per raggiungere il proprio scopo se vogliono cambiare le strutture politiche, il sistema del potere. I capi non hanno alcun bisogno di «complottare» visto che hanno in mano tutti gli strumenti per fare quello che vogliono, dai mezzi di informazione al denaro dei contribuenti, dall'emanazione di leggi funzionali ai loro scopi agli innumerevoli mezzi coercitivi per mettere a tacere chiunque li ostacoli. Nessun complotto, dunque. L'unificazione dell'Europa è un progetto dei Capi: tutto è stato fatto e continua a essere fatto alla luce del sole.
Questo non significa però che i popoli non siano stati ingannati, anzi. Mai è stata compiuta una tale trasformazione della vita dei popoli ingannandoli così profondamente, proprio perché quasi tutto, salvo il cambio della moneta, è stato possibile farlo a tavolino, sulla testa dei popoli; o meglio sulla carta geografica, senza la loro collaborazione. La «geopolitica» sembrerebbe nata apposta per poter creare l'Unione Europea, sorvolando e guardando il territorio dell'Europa da un aereo.
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Si tolgono i confini fra gli Stati così come si impone alla gente una falsa percezione della realtà fisica affermando che montagne, fiumi, mari non dividono i territori, ma li uniscono. Il Mediterraneo è in qualche modo il segno di questo dispotismo allucinatorio: non separa, ma unisce. D'altra parte è evidente che questa è un'idea strumentale alla creazione politica dei cosiddetti «Paesi mediterranei» nei quali viene inclusa l'Africa del Nord nella prospettiva che un giorno faccia parte dell'Europa. Se, dicendo che sono bagnati dal Mediterraneo, si riesce a far credere che sono un tutt'uno anche i popoli, l'allucinazione è completa.
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In analogia con il significato di ponti e di tunnel, i Progettisti dell'unificazione dell'Europa hanno innalzato a suo simbolo la «pace». A noi, però, sudditi dell'Unione non ne va bene una: la pace è un'idea bellissima, ma è anche il miglior strumento del potere nelle mani dei nuovi dittatori. Di conseguenza tutti i politici si sono aggrappati alla pace per giustificare le innumerevoli violenze che hanno ideato e messo in atto contro i popoli. L'eliminazione dei confini, tanto per fare un solo esempio, non avrebbe potuto mai essere realizzata senza guerre, quindi senza coinvolgere i popoli. Firmata a tavolino invece (Trattato di Schengen), è stata loro imposta con le drammatiche conseguenze dell'invasione immigratoria dalla quale non sappiamo come salvarci. Naturalmente i nostri Progettisti hanno previsto anche le possibili proteste mettendo in opera l'apposita legge di condanna e di «arresto europeo» per i reati di xenofobia e di razzismo, di cui il barbaro anticipo è stato in Italia la Legge Mancino.(4)
La strategia messa a punto per non dare nessuna reale spiegazione delle proprie azioni all'opinione pubblica, è stata perfetta. È evidente che, dato che facciamo il bene dei popoli, non è necessario informarli o chiedere il loro consenso. La bravura dei giornalisti, poi, ha fatto il resto. Bravura nel dire senza dire; nel non farsi trovare in fallo per non aver dato una notizia, e tuttavia nel riuscire a darla in modo che sfuggisse all'attenzione e tanto più alla comprensione del pubblico.
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Credo che questo itinerario possa essere utile a tutti quei cittadini cui fino a oggi non è stata fornita nessuna informazione «vera» su ciò che i governanti hanno progettato sulla loro testa. Una volta messi sull'avviso, saranno in grado di capire in quale gravissimo pericolo si trovano e di valutare in che modo reagire per salvarsi dalla meta finale della «globalizzazione» e di un «governo unico mondiale». La situazione, infatti, è così confusa che è difficile capire se, e in quale direzione muoversi: da una parte si parla di un'Europa in declino, quasi moribonda e in procinto di cedere al passo agli islamici, e dall'altra simultaneamente di un'Europa fornita di una delle più potenti economie e di esempio al mondo per le sue leggi di tutela dei diritti umani.
Spero che dall'assurdo quadro che ci troviamo di fronte nasca finalmente almeno un dibattito; che venga anche a qualche altra persona oltre che a me, la curiosità (ma anche l'angoscia) di guardare cosa si nasconda sotto gli strani «misteri» che avvolgono l'«operazione Unione Europea». Infine e soprattutto che ci si possa mettere d'accordo per trovare una via d'uscita.
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Il monumento dell'euro, che svetta davanti alla Banca Centrale Europea, è stato eretto a nostra vergogna. Vergogna di quella che un tempo era la Civiltà. (Da bravi dittatori, non ci hanno chiesto il permesso per costruirlo, ma la prima cosa che faremo, non appena avremo ripreso possesso di noi stessi, sarà quella di buttarlo giù.) Come ogni monumento eretto in onore e nel nome di una divinità, quello all'euro racchiude un segreto. È il segreto che ha sempre circondato i sogni, i miti, le fantasie alchemiche sulla fabbricazione dell'oro dal nulla. Lì, in quelle torri, si fabbrica davvero l'oro dal nulla. Adesso però lo sappiamo tutti che non c'è nessuna magia, nessuna formula segreta da scoprire. La sicurezza con la quale i banchieri hanno creduto di poter continuare a magnificare la propria potenza, sebbene il «segreto» fosse stato scoperto, ci fa anche capire quanto siano stati vanesi e sciocchi nel cercare di costruire, con l'unificazione europea, un futuro impossibile. E ci fa anche sperare che non sia difficile spazzarli via.
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Capitolo 3. L'invenzione dell'Europa, pagine 109, 111, 112, 116, 118, 121, 122, 123, 124
La seconda strada che ho intrapreso è stata quella di inseguire le tracce dell'idea di un'Europa unificata nel passato più lontano, alla ricerca dell'origine di tutti i fili che avevo già messo nel mio telaio e delle tessere che avevo già inserito nel mio puzzle. Ero assolutamente certa che i filosofi e i politici di cui Prodi, Ciampi, Monti, Kohl, Mitterrand si facevano vanto come se fossero loro precursori, non avessero mai pensato che una federazione europea significasse mischiare i popoli costringendoli a essere tutti uguali. Volevo capire, però, ripercorrendone l'itinerario, in che modo vi fosse stato inserito l'inganno, e quali fossero i veri motivi che spingevano i maggiori responsabili politici degli Stati a realizzare l'unificazione, pur sapendo quali ne sarebbero state le conseguenze disastrose.
Di questo, infatti, adesso ero sicura. Il momento dell'«ingenuità» era finito. Se non si parlava, se non si discuteva, se nessuno reagiva in nessun modo, neanche di fronte alle normative europee più autoritarie e lesive della libertà e della democrazia, questo succedeva perché così era stato deciso. I responsabili politici sapevano; sapevano che le forze, le energie vitali, creative, della civiltà europea sarebbero state annientate. Favorivano, anzi provocavano, l'invasione di immigrati perché questo era un fattore che accelerava al massimo il processo di decomposizione dell'unità culturale oltre che fisica dei popoli, tenuti accuratamente all'oscuro delle mete che si volevano raggiungere affinché non potessero opporre neanche la più piccola resistenza.
Per prima cosa devo dire che mi era sembrata strana fin dall'inizio l'idea di un'Europa come un tutto. La differenza con altri continenti, con le altre Nazioni, era stata sempre questa: guardando all'Europa non si pensava affatto al territorio geografico perché il pensiero correva subito ai Greci, ai Romani, alla lingua o alla letteratura della Francia, alla musica o all'arte dell'Italia, alla filosofia o alla storia della Germania. Insomma l'identità delle singole Nazioni era la «vita», l'unica vita dell'Europa. Perfino l'aggettivo «europeo» non aveva mai contraddistinto i popoli d'Europa, dato che portavano fin dai più antichi testi di storia il nome della Nazione: Germani, Galli, Celti, Spagnoli, Italiani, Tedeschi, Francesi... nomi che scrivo con l'iniziale maiuscola per contrastare l'uso attuale della minuscola, silenziosamente imposto (naturalmente anche di questo fatto la prova è soltanto nella logica degli avvenimenti) dal laboratorio che si occupa, con la creazione della «neolingua», dell'annullamento linguistico delle identità.
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Il progetto di unificazione europea investe, infatti, campi vastissimi di riflessione, affrontati consapevolmente e con grande profondità dai primi ideatori del sistema di pace perpetua, cosa del tutto aliena alla mente e agli scopi degli attuali Progettisti. Si potrebbe quasi applicare ai vari Kohl, Mitterrand, Adenauer, il giudizio di Rousseau su coloro che si immaginano ingenuamente che basti indire un congresso, proporvi i propri articoli e sottoscriverli perché ogni cosa sia risolta. L'idea della pace perpetua, però, si costituisce in maniera «semplicistica» anche nella mente dei grandi filosofi quali l'Abbé de Saint-Pierre e Immanuel Kant proprio perché «filosofi», abituati a spaziare liberamente nel mondo senza limiti del pensiero, al di fuori della concretezza del tempo e dello spazio, con tutto quello che questa concretezza comporta sul carattere dei singoli popoli e dei singoli capi.
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Questa impronta ideale, priva di connotati concreti, è rimasta una caratteristica costante dell'idea di Europa agli occhi di tutti coloro che vi sono venuti a contatto: intellettuali, politici, semplici cittadini. Non farsi più la guerra? Certo, giustissimo, inauguriamo l'Era della pace. Cosa c'è di più semplice? Ma è stata proprio questa apparente semplicità a far sì che i politici potessero abbandonarsi alla violenza distruttiva della loro capacità di potere senza tenere nel minimo conto i milioni di sudditi che erano chiamati a subirne le conseguenze. Hanno, infatti, aggiunto mattone a mattone, costruendo l'enorme edificio dell'Unione Europea, senza coinvolgervi per nulla i diretti interessati; oppure, nei pochi casi in cui i popoli sono stati interrogati, passando sopra al loro parere negativo.
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A forza di eliminare le differenze, si eliminano i confini anche dei nuclei familiari, dei sessi, oltre che quelli delle Nazioni e degli Stati, così che alla fine gli individui rimangono soltanto «individui», a livello planetario, il che significa giungere alla morte, in quanto la vita secondo la natura immaginata dai filosofi non esiste per nessun essere vivente.
Il mondo globalizzato cui aspirano i banchieri è in qualche modo prefigurato nel progetto filosofico di Kant. Una sola lingua, quindi una sola letteratura, un solo tipo di pensiero in tutto il mondo: questa sarebbe l'inevitabile conclusione del Progetto se non venisse fermato. C'è chi parla dell'inevitabilità della Terza guerra mondiale. Speriamo che non si debba giungere a tanto. Basterebbe riappriopriarsi della produzione del denaro, come vedremo alla fine della nostra ricerca, per bloccare il potere dei banchieri e il loro bisogno di un mondo globalizzato.
D'altra parte il presupposto di Kant, e di tutti quelli che se ne sono innamorati e l'hanno seguito nelle sue idee, è errato alle origini: sono e sono stati sempre i capi – dittatori, generali, imperatori, re, papi – a scatenare le guerre e a costringere i popoli a combattere. Perché dunque partire dai popoli per assicurare la pace? Anche se vivessero tutti nello stesso modo, anche se si considerassero tutti «fratelli» (concetto che è nato sulla base dei legami di sangue e che, laddove questi non contassero più come negli ideali kantiano-mondialisti, perderebbe qualsiasi pregnanza), senza più nessuna patria, nessuna famiglia, nessun sentimento di predilezione per nessuna persona e per nessun luogo, cosa ovviamente impossibile, basterebbe che i capi, i quali ci sono sempre, dessero l'ordine di combattere e di uccidere uomini o gruppi, e gli ipotetici esseri amorfi e privi di desideri del mondo globalizzato obbedirebbero. Tanto più infatti l'uomo è privo di volontà personale, tanto più obbedisce alla volontà di chi comanda.
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Fra questi primi ammiratori e sedicenti seguaci di Nietzsche e di Mazzini, troviamo il conte Richard Nikolaus Coudenhove-Kalergi che nel 1922 fondava a Vienna il Movimento Paneuropeo. Non si trattava di una decisione improvvisa. Nato a Tokyo nel 1894 dove il padre, ambasciatore di Francia, aveva sposato una principessa giapponese, Richard Coudenhove-Kalergi (cognomi del padre e della madre) era vissuto a Vienna in un'atmosfera raffinata e cosmopolita, alimentando i suoi interessi internazionali nelle conversazioni con i maggiori intellettuali e politici del momento quali Heine, Wagner, Bismarck. Comincia perciò giovanissimo a interessarsi al progetto di un Nuovo Ordine Internazionale Mondiale, basato su una Federazione di Nazioni guidata dagli Stati Uniti. Si trovano già espressi in questo progetto alcuni presupposti che renderanno difficile la realizzazione dell'Unione Europea: aver assunto gli Stati Uniti, in quanto Stato esemplare di federalismo, ad esempio, e guida per l'Europa e l'aver indicato la mondializzazione come vera meta del movimento federalista.
Naturalmente il passo indispensabile per dare il via al Nuovo Ordine Mondiale era la creazione di un'Europa unita, la Paneuropa. Nel 1923 Coudenhove-Kalergi pubblica il saggio Paneuropa dove espone i motivi per i quali è necessario realizzare una «federazione» degli Stati d'Europa.(5)
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Non potevo più pensare che tutto il mondo fosse diventato incosciente e imbecille. Se nessuno parlava, questo poteva significare soltanto una cosa: che, anche se la massa non ne sapeva nulla, molti, però, sapevano e obbedivano all'ordine di non parlare.
Sono tornata perciò al nome, quasi del tutto sconosciuto in Italia di Coudenhove-Kalergi, nella speranza di riuscire a trovare nel passato qualche spiegazione di quello che è avvenuto nell'edificazione dell'Ue. Coudenhove-Kalergi è un personaggio, a dire il vero, poco simpatico perché, pur dotato di grandi capacità organizzative, le adopera però con eccessiva sicurezza. Il suo pensiero teorico non è mai incrinato dal minimo dubbio. Una caratteristica psicologica – questa certezza – che dobbiamo tenere presente nella nostra ricerca perché connota in egual modo tutte le persone che collaborano all'unificazione europea. Un'identica visione della natura degli uomini e dei loro bisogni, accomuna tutti coloro che, dal momento in cui si comincia a pensare alla gestione unitaria, per prima cosa disegnano una nuova sistemazione degli Stati d'Europa, considerandoli entità indipendenti dai milioni di esseri umani che li abitano.
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Ufficialmente Coudenhove-Kalergi è soltanto un teorico della politica e non occupa nessun posto di potere; ma una volta esposta pubblicamente, con il saggio Paneuropa, la sua convinzione che la creazione di una Federazione degli Stati sia l'unico mezzo per conservare all'Europa il ruolo di potenza mondiale, comincia a muoversi promuovendo convegni e incontri con importanti uomini della politica e della finanza, europei e americani. In base alle inamovibili certezze cui accennavo, Coudenhove-Kalergi ribadisce in continuazione le sue tesi, senza mai cambiare una virgola per tutta la vita (è morto nel 1972).
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Il «dubbio», principio metodologico di base per qualsiasi scienziato, per l'inventore di Paneuropa non esiste. Ciò malgrado, però, Coudenhove-Kalergi trova ovunque molti consensi o forse proprio per questo. Un uomo pericoloso, dunque, perché straordinariamente influente sulle persone dotate di potere politico come quelle di potere finanziario, tanto da indurle a concretizzare ciò che esse stesse desiderano per i propri interessi, appoggiandosi, per suo tramite, alle teorie che confortano i loro desideri. Alludo in particolar modo all'interesse dei politici ad allargare l'area del proprio potere con il sistema della Federazione fra Stati, e all'interesse dei banchieri e dei finanziari a ingrandire l'area degli scambi e dei mercati con l'abbattimento dei confini e delle dogane.
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Nell'ottobre 1926 si tenne a Vienna il primo Congresso dell'Unione paneuropea, presieduto dal cecoslovacco Edvard Benes, dal presidente del Reichstag Paul Löbe e dal politico italiano Francesco Saverio Nitti. Duecento i delegati, rappresentanti di ventiquattro nazioni, inclusi gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Russia. Le simpatie per Paneuropa arrivavano indifferentemente da personalità politiche sia democristiane sia socialiste, come ricorda lo stesso Coudenhove-Kalergi in Storia di Paneuropa. Konrad Adenauer, infatti, che diverrà nel dopoguerra cancelliere federale, era il fondatore della democrazia cristiana tedesca insieme a Robert Pferdmenges, che era membro del Reichstag di Hitler; Hjalmar Schacht era a sua volta membro delle Finanze del Reich e uomo di fiducia di Wall Street presso Hitler; Sean Mac Bride, anch'egli un entusiasta mondialista che nel 1961 fonderà l'associazione Amnesty International ottenendo il Premio Nobel per la Pace, e Karl Haushofer il teorico dello spazio vitale di Hitler e suo «guru» nel misticismo delle società segrete.
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Capitolo 4. L'impero dei banchieri, pagine 149, 152, 172
Il 2 maggio 1998 alcune delle famiglie europee più importanti del mondo politico e di quello degli affari tenevano pronto lo champagne da stappare per lo storico momento in cui da Bruxelles i corrispondenti televisivi di tutti gli Stati d'Europa avrebbero annunciato la nascita dell'Unione Monetaria Europea. Ma soprattutto la nascita dell'unico vero sistema di governo e di potere su tutti i cittadini d'Europa: la Banca centrale europea (Bce). In Italia si aspettava l'apparizione in televisione di un soddisfattissimo Prodi che, con il calice in mano, doveva festeggiare, insieme a Carlo Azeglio Ciampi, suo principale complice nella gigantesca svendita dei beni e del denaro degli italiani offerti in sacrificio alla nuova divinità «Europa», l'avvenuto tradimento.
In un divertente, anche se amarissimo libro, intitolato L'insopportabile pesantezza dell'euro,(6) Antonello Zunino, noto analista finanziario, prefigurava (siamo nel 1999), raccontandolo come contenuto di un suo sogno, quali sarebbero state le strade segretissime che avrebbero preso i politici, ma soprattutto i banchieri e gli economisti che avevano voluto a tutti i costi creare la moneta unica europea, per sfuggire alle ire e alle vendette dei popoli al momento del crac dell'euro. Il compito di accompagnarli fuori dalle loro nobili sedi in luogo sicuro, con il massimo tatto e in grande segretezza, era stato affidato proprio a lui, Zunino, nella sua qualità di vecchio finanziare, buon conoscitore dei vizi piccoli e grandi degli abitanti del mondo più nefando di tutti, quello della creazione e dell'accumulo dei soldi. Il sottotitolo del libro spiega ancora meglio, infatti, la gravità del momento: «È iniziato il crepuscolo degli dei».
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Chi erano? Zunino fa pochi nomi fra quelli italiani: Ciampi, Prodi, Monti, Visco, nomi talmente noti e ovvi che il citarli non sembrerebbe dover richiedere alcuna precauzione. Zunino, tuttavia, ha ritenuto che non fosse sufficiente, per tutelarsi da eventuali vendette, affidarsi a un romanzo di «fantaeconomia» (come lui stesso lo definisce), ma addirittura a un sogno all'interno del romanzo. Qualche buona ragione nel temere rappresaglie la si poteva individuare nel fatto che, contrariamente alla giustizia sognata nel racconto, i traditori erano (sono) diventati più potenti di prima, in base alla regola che più hanno tradito e più debbono essere ricompensati. Ciampi è stato infatti premiato dal Bilderberg e dalle altre potentissime società di cui è membro, con il massimo della carriera: è diventato quell'incredibile presidente della Repubblica Italiana, grottescamente finto innamorato della patria e dedito al culto di se stesso nelle vesti di capo dello Stato, che abbiamo visto pretendere «ghedaffiane» parate militari in costumi storici. Mario Monti, invece, anch'egli membro dei due club mondialisti più potenti, il Bilderberg e la Commissione trilaterale, è stato premiato, in maniera forse meno vistosa agli occhi del pubblico ma più significativa dal punto di vista del potere, in quanto è stato immesso nel Consiglio della Banca centrale europea. Se si pensa che era stato costretto a dimettersi, insieme alla Commissione Santer, per «l'accertata responsabilità collegiale dei commissari nei casi di frode, cattiva gestione e nepotismo» messi in luce dal Collegio di periti nominato dal Parlamento europeo, si rimane ancora più convinti che i giudizi per i detentori del potere sono molto diversi da quelli riservati ai normali cittadini. (Aggiungo, per completezza d'informazione, che fu costretto a dimettersi anche l'altro commissario italiano, Emma Bonino, anch'essa naturalmente presente alle riunioni del Bilderberg, a causa del buco di settemila miliardi rilevato nell'Ufficio europeo per gli Aiuti umanitari d'emergenza di cui era a capo e che non abbiamo mai saputo dove siano andati a finire).
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Di Carlo Azeglio Ciampi, che conosciamo già come devastatore delle finanze italiane tramite la massiccia svalutazione della lira e come liquidatore, con l'aiuto delle potenti banche Goldman Sachs, Marrill Lynch e Solomon Brothers, delle maggiori industrie dello Stato,(7) è inutile forse sottolineare il fatto che appartiene a quasi tutte le organizzazioni semisegrete che guidano il mondo. Oltre che al Bilderberg e dell'Aspen Institute, è membro della Banca dei Regolamenti internazionali (Bis), autentico vertice del capitalismo finanziario mondiale, di cui è stato anche vicepresidente. Giustamente, quindi, come abbiamo già visto, è stato premiato con la presidenza della Repubblica.
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La costruzione dell'Unione Europea è servita soprattutto a questo ribaltamento: i banchieri governano, i politici eseguono. Per ora il grande gioco è riuscito, anche perché sembra che nessuno se ne sia accorto. Ma non è improbabile che, presto o tardi, si verifichi una clamorosa caduta degli dei. Manca infatti ai banchieri quello «schermo» illusorio quanto si vuole, ma schermo di cui la democrazia ha fornito i politici: la rappresentanza, la delega. Si tratta dello strumento principale che permette ai governi democratici di sussistere, anche quando incorrono in clamorosi errori, senza essere costretti a eccessi autoritari. I cittadini, infatti, se ne stanno tranquilli, anche di fronte ai peggiori disastri, con la convinzione di avere in mano, in base all'esercizio del voto, il potere ultimo, quello di liberarsi, se vogliono, dei governanti.
Note:
(1) Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, C224, 35° anno, 31 agosto 1992, edizione italiana.
(2) Ida Magli, Contro l'Europa, Bompiani, Milano 1997.
(3) Bianca Maria Riberto, Cittadinanza e Costituzione. Educazione alla cittadinanza europea, SEI, Torino 2010.
(4) Carlo Alberto Agnoli, «Legge Mancino» n° 122. Come trasformare gradualmente l'Italia in un grande campo di concentramento, Edizioni Civiltà, Brescia 1995.
(5) Richard Nikolaus Coudenhove-Kalergi, Paneuropa, Il Cerchio, Rimini 1997.
(6) Antonello Zunino, L'insopportabile pesantezza dell'euro, Sperling & Kupfer Editori, Milano 1999.
(7) David Icke, La verità vi renderà liberi, Macro edizioni, Diegato di Cesena 2007.
(8) Marco Della Luna, Antonio Miclavez, Euro Schiavi. La Banca d'Italia; la grande frode del debito pubblico, Arianna Editrice, Bologna 2008.
Fonte:
Ida Magli, La dittatura europea, Rizzoli, Milano 2010 (206 pagine).