La Svezia ha aperto le porte all’immigrazione islamica, oggi è la capitale degli stupri dell'Occidente. Il Giappone no

La Svezia ha aperto le porte all’immigrazione islamica, oggi è la capitale degli stupri dell'Occidente. Il Giappone no

Salvatore Clemente

di James Zumwalt, 23 ottobre 2015 (trad. SC)


Mentre l’Europa si confronta con le realtà sociali e finanziarie, per la sua generosità ad aprire le porte a milioni di immigrati musulmani, è il momento di raccontare la storia di due paesi. 

La storia è importante in quanto i due paesi coinvolti hanno adottato due approcci completamente diversi all'immigrazione musulmana e alla conservazione della propria cultura. Come tali, entrambi forniscono su questo un esempio del proverbio che parla di un canarino in una miniera di carbone.

La Svezia ha iniziato ad aprire le porte agli immigrati musulmani negli anni '70. Oggi paga un prezzo elevato per averlo fatto. Il gruppo che soffre le più gravi conseguenze di una tale politica di porte aperte è quello delle donne svedesi.

Mentre gli uomini musulmani emigravano in Svezia, portavano con sé la cultura islamica che autorizza lo stupro. È una cultura abbastanza brutta riguardo il trattamento delle proprie donne. Sotto la sharia, le donne musulmane sono poco più di un oggetto oltre a dover provvedere alle esigenze sessuali dei loro mariti. Una moglie non sottomessa corre il rischio di essere violentata dal marito.

Ma sotto la sharia, questa cultura dello stupro influenza anche le donne svedesi in quanto "infedeli" e, come tali, sono — secondo gli insegnamenti di Allah — obiettivi ammessi per lo stupro da parte di uomini musulmani. Un tale sistema di credenze islamiche è confermato da un drastico aumento in Svezia degli stupri — più di mille volte — fin da quando il paese ha aperto le porte all'immigrazione islamica.

Un consiglio nazionale svedese del 1996 per la prevenzione dei crimini ha esaminato anche questo. Ha osservato che gli immigrati musulmani del Nord Africa avevano 23 volte più probabilità di commettere stupri rispetto agli uomini svedesi. Non c'è da stupirsi perché oggi la Svezia è considerata la capitale degli stupri dell'occidente.

Ancora più scioccante, tuttavia, è la mania del politicamente corretto che tende a coprire la segnalazione di questi crimini. Sensibile alle accuse di islamofobia, la stampa svedese si rifiuta di emanare un allarme sociale di avvertimento per le donne svedesi su chi siano questi predatori sessuali. Così, quando un musulmano commette uno stupro, i media ne danno notizia come se si trattasse di un maschio svedese.

Ma questo insuccesso nel fare luce sugli stupratori che sono maschi musulmani li lascia in ombra così che riescono a commettere crimini sessuali ancora più eclatanti. Senza timore di essere perseguiti, questi predatori hanno adottato la mentalità del branco. Un fenomeno inesistente in Svezia negli anni '70 oggi è ormai diffuso in quanto il paese è diventato terreno fertile per gli stupri di gruppo.

È interessante notare che tra il 1995 e il 2006, il governo svedese seguiva le violenze di gruppo, identificandole come una tendenza drasticamente in aumento. Incredibilmente, dopo aver scoperto il problema, ha poi adottato l'approccio dello struzzo di mettere la "testa nella sabbia", terminando ogni ulteriore studio su di esse. A quanto pare, la paura del governo di essere etichettato islamofobo si è rivelata più grande del suo interesse ad avvertire le donne svedesi sulla reale minaccia. Sebbene non siano stati condotti studi sulla violenza di gruppo dal 2006, si può supporre che questi numeri continuino ad aumentare.

È interessante confrontare l'approccio della Svezia con i problemi di immigrazione islamica che si presentano, con l'approccio del Giappone e l'inesistenza di tali problemi là.

La ragione della differenza è semplice. Il Giappone, a differenza della Svezia, è stato molto più prudente su tutta l'immigrazione nello sforzo di preservare la propria cultura.

Come il dott. Mordechai Kedar — un ufficiale dell'intelligence militare israeliano — ha osservato nel suo articolo del 20 maggio 2013 "Giappone - la terra senza musulmani", sebbene il paese abbia una popolazione di 127 milioni di abitanti, là ci sono solo 10 mila musulmani residenti. Così, i musulmani in Giappone sono meno di un centesimo percento della popolazione, mentre nei paesi europei stanno crescendo in minoranze consistenti.

Sebbene l’immigrazione musulmana non sia tra le maggiori preoccupazioni del Giappone, Kedar ha spiegato che, comunque il Giappone rimane interessato al problema dell’influenza islamica. Per tre ragioni:


"Primo, i giapponesi tendono a trattare tutti i musulmani come fondamentalisti che non sono disposti a rinunciare al loro tradizionale punto di vista e ad adottare atteggiamenti moderni di pensiero e di comportamento. In Giappone, l'islam è percepito come una religione strana, che ogni persona intelligente dovrebbe evitare.

"Secondo, la maggior parte dei giapponesi non hanno religione, ma i comportamenti legati alla religione shinto insieme agli elementi del buddismo sono integrati nelle abitudini nazionali. In Giappone, la religione è legata al concetto nazionalista ed esistono pregiudizi verso gli stranieri, siano essi cinesi, coreani, malesi o indonesiani, e gli occidentali non sfuggono a questo atteggiamento. Ci sono quelli che lo chiamano uno "sviluppato senso di nazionalismo" e ci sono quelli che lo chiamano "razzismo". Sembra che nessuno dei due sia sbagliato.

"Terzo, i giapponesi respingono il concetto di monoteismo e fede in un dio astratto, perché il loro concetto di mondo è evidentemente collegato alla materia, non alla fede e alle emozioni. Sembra che raggruppino l'ebraismo con l'islam. Il cristianesimo esiste in Giappone e non è considerato negativo, a quanto pare perché l'immagine di Gesù è percepita come le immagini di Buddha e Shinto".


Kedar ha notato anche un aspetto più importante mancante nell'approccio giapponese con l'immigrazione islamica che affligge l'approccio adottato dalle democrazie occidentali.

"La cosa più interessante nell'approccio giapponese con l'islam", ha scritto Kedar, "è il fatto che i giapponesi non sentono la necessità di scusarsi con i musulmani per il modo negativo con cui si rapportano con l'islam".

Così, i giapponesi non si fanno scrupoli: sono islamofobi. È un atteggiamento giustificato dall'ideologia islamica che richiede che tutti i non musulmani siano sottomessi o muoiano. Ma i giapponesi sono determinati a non cadere nel suicidio culturale, consentendo a una cultura totalmente detestabile nei loro confronti di prosperare a livello nazionale e arrivare alla contestazione.

Di conseguenza, quando è uscito il richiamo alla comunità internazionale per aiutare la recente ondata di migranti musulmani a reinserirsi nei paesi non musulmani, il Giappone ha offerto assistenza finanziaria ma ha respinto l'apertura dei confini al loro reinsediamento.

C'è qualcosa da dire sull'approccio del Giappone per preservare senza imbarazzo la propria cultura. Abbiamo osservato questa cultura dare il meglio di sé nelle conseguenze di un terremoto e di uno tsunami che ha devastato il paese nel 2011.

Non c'erano segnalazioni di ribellioni o di saccheggi tra le persone. Quello che abbiamo visto durante un periodo di grande crisi umana è stata una funzione sociale molto organizzata, con dignità e rispetto reciproco. Questo fa capire bene la riluttanza dei giapponesi a cedere questa cultura all'islam.

Ciò che sta succedendo in Svezia che, paradossalmente, non sta accadendo in Giappone, dovrebbe essere una seria preoccupazione per il resto dell'Europa e degli Stati Uniti. Sia la Svezia che il Giappone sono esempi tangibili dell'approccio "canarino nella miniera di carbone" rispetto all'immigrazione islamica e il suo conseguente impatto sulla cultura di una nazione ospitante.

Nel considerare il problema dell'immigrazione islamica, le democrazie occidentali devono comprendere appieno perché il "canarino" in Svezia sta morendo mentre quello in Giappone no.


(Fonte: http://dailycaller.com/2015/10/23/sweden-opened-its-doors-to-muslim-immigration-today-its-the-rape-capital-of-the-west-japan-didnt/)

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