Facebook si sta rivelando il peggiore dei mali

Facebook si sta rivelando il peggiore dei mali





di Piergiorgio Maruotti | lintellettualedissidente.it


Non è servito a niente lo scandalo di Cambridge Analytica: Facebook continua a svendere i dati degli utenti e introduce una lista nera contenente i nomi di tutti i profili che osano criticarne l'operato.


Le semplificazioni che suonano bene, che fanno eco, che suonano sulla grancassa della propaganda e che poi si sbriciolano, vittime della loro cattiva costituzione, sono da evitare categoricamente. All’interno di questo assioma rientra anche la parola “potere”, coniata dal lessico sessantottino e viziata da una sgradevole terzietà rispetto alle dinamiche operanti all’interno di una nazione, di una comunità, oltre che da una palese deresponsabilizzazione. Il significato di “potere” va riportato al centro della riflessione politica, riscoprendone il territorio e i rapporti di forza che lo regolano, prima dell’affermarsi di una dialettica, che è quanto di più genuinamente marxista si possa fare: proprio per questo rimane un discorso ignorato dalle odierne finte sinistre, nonché presumibilmente ignorato dalle attuali destre, che a lungo andare finiranno per farsi male, o più semplicemente, per sparire.

Il momento storico nel quale ci troviamo ci dà segni evidenti di indirizzazione: esso si muove verso una nuova forma di capitalismo dominato dalla tecno-scienza, o più semplicemente Tecnica – volendo indicare un luogo comune della Filosofia Occidentale. A dirigerne il gioco vi sono, dunque, delle organizzazioni che della Tecnica hanno il dominio, come la piattaforma “Facebook”, una delle più potenti organizzazioni del capitalismo contemporaneo. Devono destare dunque interesse le ultime notizie che vedono coinvolte la commissione parlamentare britannica sui media, che in un rapporto pubblicato al termine di un’inchiesta su Facebook incentrato sul caso dei “Cambridge Analytica”, parla della piattaforma come di un “gangster digitale. Si fa riferimento all’utilizzo spregiudicato dei dati personali degli utenti, sostanzialmente rivenduti al migliore offerente, sia essa un’impresa privata che ne ha bisogno per analisi di mercato, siano esse lobby di carattere squisitamente politico: con l’avvento degli algoritmi, le cui variabili di base sono gli impersonali e “oggettivi” dati, questi ultimi sono divenuti una merce di scambio preziosissima per le grandi piattaforme che li posseggono, come per le forze che ne acquistano di sempre più “moderni” e “aggiornati”, ottenendo così un vantaggio competitivo sulle forze concorrenti. Il potere drogante sul mercato politico, economico e sociale che ne può derivare è potenzialmente enorme e discernerne i movimenti è difficilissimo, così come ricercarne le tracce, labili e virtuali anch’esse.

Quest’ultima è senza dubbio una delle nuove caratteristiche – o forse miglioria – del potere contemporaneo. Al contempo si moltiplicano le testimonianze di ex dipendenti Facebook (stavolta a rilevarlo è la Cnbc) che sostengono l’esistenza di “liste nere” possedute dall’azienda, contenente i nomi di coloro i quali ne criticano l’operato. Ancor più rilevanti sono i diversi memorandum passati alla stampa (l’ultimo negli scorsi mesi) che vedono lo stesso CEO ammettere, nonché sostenere, la presenza di applicazioni utilizzate dall’azienda per monitorarne gli eventuali “discorsi d’odio”. Anche questa costituisce un’enorme miglioria del potere censorio, potenzialmente invisibile e facilmente occultabile con lo spostamento di grandi quantità di dati con i quali distogliere le masse, dati in possesso delle piattaforme virtuali e che possono essere utilizzate per scopi politici o di profitto. Visioni che fino alla fine del ‘900 venivano contese tra letteratura e fantapolitica stanno trovando uno sbalorditivo e pragmatico spazio di operatività. Mentre la Commissione auspica una non definita legislazione radicale per bilanciare i rapporti di forza tra gli utenti e la piattaforma, noi prendiamo solo atto che i nuovi padroni non sono spiritualmente dissimili dai vecchi.



Non vogliamo un futuro alla Black Mirror

di Piergiorgio Maruotti | lintellettualedissidente.it


In Cina si sta sperimentando un aberrante sistema di "Credito Sociale" che rimanda ai peggiori scenari distopici: il virtuale si fa sempre più reale e la politica trova nella tecnologia un valido strumento per soffocare il dissenso.

«Finalmente sono tornato una persona normale». A sorridere alla telecamera è un abitante di Rongcheng, cittadina cinese, che in un reportage della statunitense Vice News spiega che il suo punteggio è risalito tanto da poter di nuovo prendere il treno. Il suo rating infatti – parola a cui gli europei sono abituati grazie alle celebri agenzie, preposte al giudizio sulla stabilità economica e finanziaria delle nazioni – è passato da B ad A. L’anonimo cittadino sta parlando di un nuovo sistema di “Credito Sociale”, una sperimentazione nata all’aeroporto di Shenzen nel Gennaio del 2019 dove ai passeggeri che fanno parte del programma viene consegnata una “Carta della Reputazione”: più alto è il punteggio, più si ha accesso ad un canale preferenziale di controlli, mentre avviene l’inverso con un punteggio basso. A questo proposito è stata stabilita una lista apposita di azioni virtuose e non, come litigare in aereo o indicare un bagaglio incustodito alla sicurezza, che possono modificare in meglio o in peggio il punteggio.

L’esperimento fa parte di un programma del governo cinese che, dal 2020, dovrebbe essere esteso a tutti gli abitanti della Repubblica Popolare Cinese, e non più ristretto al solo sistema aeroportuale. A Rongcheng l’esperimento è iniziato l’anno scorso: si parte da mille punti che possono calare con l’assunzione di cattivi comportamenti civici, come il gettare l’immondizia nel posto sbagliato. Perdendo punti si perde anche l’accesso ai biglietti aerei o all’alta velocità, agli hotel di lusso, alla connessione Internet e perfino alle scuole migliori, a loro volta valutate con un rating più alto. Accrescendo il proprio punteggio, invece, si possono ottenere trattamenti di favore sulle tasse, sui prestiti bancari, sul noleggio di auto e l’assegnazioni di alloggi. Per guadagnare punti si possono svolgere lavori socialmente utili come donare il sangue e fare beneficenza, insomma: occorre comportarsi da bravi cittadini. Il ranking degli abitanti al momento è già online e a guidare il progetto sono corporation digitali come Tencet Holding, Baidu e il colosso mondiale Alibaba, che detengono il monopolio – o quasi – del bene più prezioso dell’era contemporanea, ossia i dati e gli algoritmi che consentono di utilizzarli al meglio.

L’esperimento cinese non è altro che l’anticipazione di come i moderni medium tecnologici potrebbero essere utilizzati per finalità politiche. Qui siamo oltre la celebre “dittatura dei test” – già menzionata da Mark Fisher nel suo “Realismo Capitalista”, dove il capitalismo contemporaneo assoggetta la realtà ai propri criteri interpretativi; quell’interpretazione poteva andar bene per i primi anni del 2000, ma oggi siamo ufficialmente entrati in una nuova era, quella virtuale.

Parafrasando Hegel, potremmo dire che ormai “Tutto ciò che è virtuale è reale”: dai social media, alle agenzie di rating, fino ai parametri dell’Unione Europea, subiamo già quotidianamente la dittatura del virtuale sul reale, e tutti i tic contemporanei come il politicamente corretto sono i sintomi del massimo apogeo di un’epoca che ha di fatto soppiantato la precedente, nella quale il medium di riferimento non era Internet, bensì la televisione. Il caso cinese mostra come l’unione fra una certa cultura pregressa e il medium Internet – sotto il controllo delle solite compagnie digitali – possano fondersi in un nuovo modello di società, nel quale non tanto la democrazia degli stati nazionali – in crisi già da cinquant’anni – ma l’azione di dissenso è contemplata come un atto obsoleto, punito nel silenzio con un’automatica esclusione sociale.

La nostra è un’epoca transitoria che – iniziamo ad abituarci all’idea – potrebbe concludersi con l’arrivo su larga scala dell’automazione e dell’intelligenza artificiale. Benvenuti nel futuro.

Report Page