Come si sceglie lo psicologo?

Come si sceglie lo psicologo?

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Se c’è qualcosa di cui la nostra generazione può sicuramente andare fiera è il movimento controcorrente che negli ultimi anni ha quotidianizzato la psicoterapia. Per quanto lo stigma a riguardo non sia stato del tutto sradicato, i servizi in televisione e la condivisione sui social delle varie testimonianze sono aumentati ed hanno portato – non solo “grazie” alla pandemia – ad un notevole e recente aumento di domanda nel settore. Nonostante queste belle notizie, però, andare dallo psicologo è ancora un privilegio economicamente parlando, per non parlare di quanto non si parli ancora abbastanza di come funziona la scelta di un terapista e quali siano i criteri da osservare in questo processo: In punta di piedi, oggi proveremo quindi ad occuparci proprio di questo.

Per facilitare il nostro lavoro, sezioniamo il percorso in questione nelle seguenti fasi: la scelta di avviare la ricerca, la selezione, la preparazione alla seduta e le prime impressioni.

Andando per gradi, il primo passo è ovviamente riconoscere di avere la necessità di parlare con qualcuno. In questo passaggio, è importante tenere presente che non è prerogativa assoluta avere un problema di proporzioni bibliche: è possibile, infatti, sentire semplicemente il bisogno di uno spazio sicuro in cui lasciarsi andare, rielaborare i pensieri. La terapia, inoltre, può essere anche un ambiente in cui, con un professionista come guida, ci addentriamo nel nostro passato per metabolizzare ciò che sentiamo in sospeso, che questo stia avendo o meno ripercussioni concrete sulla nostra vita attuale. Un preconcetto sull’argomento è evidente nel momento in cui, parlando con qualcuno del percorso appena intrapreso, ci sentiamo chiedere perché e cosa succede, ma la verità è che, per quanto sia ragionevole rivolgersi ad uno psicologo in caso di difficoltà, non serve avere un motivo ben definito: sentirne il bisogno è più che sufficiente per avviare la ricerca.

Una volta capito e accettato questo, lo step successivo è cercare effettivamente il professionista con cui aprirci. Praticamente parlando: dove si trova uno psicologo? Molti di noi sono fuori sede e a Trento non hanno la rete di contatti e conoscenze che può essere d’aiuto in queste situazioni e quindi, senza raccomandazioni specifiche, da dove partiamo?

Vale la pena menzionare innanzitutto il servizio garantito dall’Università che, per come è strutturato, può adattarsi a chi ha necessità strettamente correlate ad una specifica circostanza momentanea. L’offerta – già ben spiegata dalla responsabile Elena Cocco nella videointervista pubblicata sul nostro Canale Youtube per la Giornata mondiale della salute mentale – consiste in quattro sedute a distanza di quindici giorni l’una dall’altra. Ovviamente, essendo un servizio di consulenza, può essere più che altro utile a fronteggiare un disagio precisamente circoscritto o a capire di quali strumenti è più appropriato servirsi. Talvolta, ad esempio, la nostra percezione delle circostanze che ci riguardano, specialmente se soffriamo, è distorta e un confronto con un professionista può guidarci verso la strada migliore senza che sprechiamo altro tempo, denaro ed energia. Un’altra alternativa valida e, forse, anche più spontanea, è Internet. In rete è possibile imbattersi in diversi siti affidabili – come Guida Psicologi, per fare un esempio – in cui i professionisti del settore riassumono la loro formazione, ciò in cui sono specializzati e il loro modus operandi.

Dopo aver scelto a chi rivolgerci – che sia una sola persona o più, considerando che è ragionevole anche dare una chance a più di uno psicologo prima di scegliere con chi proseguire – può essere utile una conversazione al telefono: un breve confronto ci può già dare una prima idea sul modo di interagire e l’approccio offerto e può renderci ben disposti e meno preoccupati. Ad ogni modo, fermo restando che lungi dalla realtà essere come viene rappresentata nei film (difficilmente ci dovremo sdraiare su un lettino a raccontare i nostri segreti più oscuri), la prospettiva di una prima seduta può comunque legittimamente preoccuparci. Tuttavia, Cosa gli dirò se mi chiederà perché mi trovo lì? E se non mi venisse in mente niente da dire? Se non riuscissi a parlare di ciò che davvero mi fa stare male? Come sarà possibile per me aprirmi con uno sconosciuto? e ancora I miei problemi sono così insignificanti, sicuramente troverà ridicole le mie lamentele… sono o apprensioni su qualcosa che non è in mano nostra, ma del terapeuta, o dubbi che non possono essere risolti se non con un vero tentativo. Per quanto riguarda le prime, bisogna tenere a mente che metterci a nostro agio è parte del lavoro dello psicologo, non del nostro: se non ce la sentiamo di rivelarci al primo Buongiorno! va benissimo e non deludiamo nessuna aspettativa, anche perché tendenzialmente la prima seduta è pensata più per fare conoscenza che per buttare fuori tutto e ricevere una formula magica risolutiva (tant’è vero che molti professionisti la offrono gratuitamente).

Quello che quindi possiamo fare è, se ci fa stare meglio, pensare a cosa vogliamo portare al primo appuntamento – con la consapevolezza che sul momento probabilmente ce ne dimenticheremo – e ricordarci che ci stiamo rivolgendo ad un professionista della mente che, per questo motivo, si presuppone sarà in grado di trovare il modo di farci sentire comodi. Inoltre può essere anche utile, se ne abbiamo voglia, chiederci quali cambiamenti vorremmo vedere nella nostra vita da qui a sei mesi grazie alla terapia: maggiore autostima? Leggerezza? Più coraggio? Autonomia nelle decisioni? Questo può aiutarci ad identificare cosa stiamo davvero cercando e può rendere più scorrevole l’eventuale percorso psicologico da affrontare.

Infine, una volta terminato l’incontro, oltre che basarci sulle nostre impressioni generali e l’istinto – entrambi molto importanti – , può essere utile controllare le risposte a queste due domande: mi sono sentito a mio agio o le sue reazioni mi hanno fatto sentire giudicato? Penso che il suo metodo professionale possa aderire alle mie necessità? Entrambe, infatti, corrispondono a dei criteri di selezione piuttosto rilevanti che possono indirizzarci verso la scelta migliore. Non bisogna dimenticare, poi, che un terapeuta è una persona con un suo carattere e un suo modo di fare – tono della voce, approccio e via dicendo – che possono o meno piacerci, con cui possiamo trovarci in sintonia tanto quanto in divergenza.

Insomma, non solo non è sempre facile arrivare al punto in cui ci rendiamo conto e accettiamo di avere bisogno di aiuto, ma anche i passi successivi possono essere impegnativi. Tuttavia, nonostante le varie difficoltà iniziali che si possono riscontrare – e di cui è importante tener conto, perché fortunatamente l’Italia conta circa 100.000 psicologi e non trovare un punto di contatto con uno apre solo le porte a tanti altri – è un percorso che vale davvero la pena di essere intrapreso. Ci sono infatti molte parti del nostro modo di fare che, più che essere semplicemente ciò che siamo, sono risposte a traumi, contesti familiari più o meno complicati – che possono andare dalla mancanza di attenzioni agli abusi – e via dicendo che, una volta riemersi, possono essere affrontati e farci diventare la migliore versione di noi stessi, piuttosto che limitarci ad essere la mera conseguenza di quello che ci è successo.

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