American Gods

American Gods

Neil Gaiman

«Abbastanza.»
«Ha fatto lei il lago?»
Hinzeimann lo guardò sorpreso. «Sì» disse. «L’ho fatto io. Quando arrivai lo chiamavano lago, ma non c’era che una sorgente con un ruscello e una gora.» Si fermò. «Ho capito subito che questo paese era l’inferno per la gente come me. Ci divora, e io non volevo essere divorato. Così ho fatto un patto: un lago in cambio della prosperità…»
«Al modesto costo di un bambino per inverno.»

«Bravi bambini» disse Hinzelmann scuotendo lentamente la testa. «Tutti bravi bambini. Sceglievo solo quelli che mi piacevano. A eccezione di Charlie Nelligan, che era una pecora nera. Quand’è successo, nel 1924,1925? Sì. Il patto era questo.»
«La gente della città» disse Shadow, «Mabel, Marguerite, Chad Mulligan… sono al corrente?»

Hinzelmann non rispose. Estrasse l’attizzatoio dal camino: i primi dieci centimetri di punta erano arancioni, arroventati. L’impugnatura dell’attizzatoio doveva essere troppo calda, ma la cosa non sembrava disturbare Hinzelmann, che continuò ad armeggiare col fuoco. Poi appoggiò l’oggetto rovente tra le fiamme. Disse: «Sanno di vivere in un buon posto. Mentre le altre città e cittadine della contea, diavolo, in questa parte dello stato, vanno in malora. Questo lo sanno.»
«Ed è merito suo?»

«Io proteggo la città» rispose Hinzelmann. «A Lakeside non succede niente che io non voglia. Lo capisci? Nessuno viene qua se io non voglio. È per questo che tuo padre ti ha mandato qui. Non ti voleva in giro per il mondo ad attirare l’attenzione. Ecco perché.»
«E lei l’ha tradito.»
«Non ho fatto proprio niente del genere. Era un imbroglione. Ma io pago sempre i miei debiti.»
«Non le credo» disse Shadow.

Hinzelmann aveva l’aria offesa e con una mano si ravviò una ciocca di capelli bianchi. «Mantengo sempre la mia parola.»
«No. Non è vero. Laura è venuta qui. Ha detto che qualcosa la stava chiamando. E cosa mi dice della coincidenza che ha portato Sam Black Crow e Audrey Burton in città la stessa notte? Non credo più alle coincidenze.

«Sam Black Crow e Audrey Burton. Due donne che mi conoscevano e sapevano che ero ricercato. Se una di loro avesse fallito nell’intento di smascherarmi, rimaneva sempre l’altra. E se avessero fallito entrambe, chi altri avrebbe fatto venire a Lakeside, Hinzelmann? Il direttore della prigione per un weekend di pesca sul ghiaccio? La madre di Laura?» Shadow era arrabbiato. «Voleva che me ne andassi e non voleva far sapere a Wednesday che era stato lei a cacciarmi.»

Alla luce del fuoco Hinzelmann sembrava più un gargoyle che un diavoletto. «Lakeside è una buona città» disse. Se non sorrideva aveva un’aria cerea, cadaverica. «E tu stavi attirando troppa attenzione. Un’attenzione negativa.»

«Doveva lasciarmi sul ghiaccio» disse Shadow. «Doveva lasciarmi nel lago. Ho aperto il baule della macchina. Al momento Alison è ancora gelata, ma quando il ghiaccio si scioglierà il corpo affiorerà in superficie. A quel punto andranno giù a dare un’occhiata, e troveranno il suo deposito di cadaverini. Immagino che alcuni siano ancora piuttosto ben conservati.»

Hinzelmann allungò una mano e impugnò l’attizzatoio. Non finse nemmeno più di attizzare il fuoco e lo brandì come una spada, un bastone, agitando nell’aria la punta arroventata e fumante. Shadow era consapevole di essere nudo, stanco e con i riflessi molto rallentati, tutt’altro che in grado di difendersi.

«Vuole uccìdermi? Si accomodi. Facciamola finita. Io sono comunque un uomo morto: so che lei è il padrone di questa città, il suo piccolo mondo. Ma se pensa che nessuno verrà a cercarmi, si illude. È finita, Hinzelmann. In un modo o nell’altro per lei è finita.»

Il vecchio si alzò appoggiandosi all’attizzatoio come a un bastone. A contatto con la punta incandescente, il tappeto bruciò. Quando Hinzelmann guardò Shadow i suoi occhi azzurro chiaro erano gonfi di lacrime. «Amo questa città» disse. «Mi piace davvero tanto il mio ruolo di vecchio brontolone, mi piace raccontare le mie storie, guidare Tessie e pescare nel ghiaccio. Ti ricordi quello che ti ho detto una volta? Non è per il pesce che prendi ma per la pace mentale che ti riporti a casa.»

Puntò l’attizzatoio in direzione di Shadow che ne sentì il calore a mezzo metro.
«Potrei ucciderti» disse Hinzelmann, «sistemarti per sempre. L’ho già fatto. Non sei il primo a capire cosa stavo facendo. Il padre di Chad Mulligan l’aveva capito. Ho sistemato lui e posso sistemare anche te.»

«Può darsi» rispose Shadow, «ma per quanto ancora, Hinzelmann? Un altro anno? Altri dieci? Adesso ci sono i computer, Hinzelmann. Non sono stupidi. Gli schemi si ripetono. Ogni anno a Lakeside sparisce un bambino. Prima o poi verranno a ficcare il naso. Come verranno a cercare me. Mi dica, quanti anni ha, lei?» Intanto ripiegava le dita intorno a uno dei cuscini del divano preparandosi a tirarselo sopra la testa per deviare il primo colpo.

La faccia di Hinzelmann era impassibile. «Mi davano i loro bambini prima che i romani arrivassero nella Foresta Nera» disse. «Prima di essere un coboldo ero un dio.»
«Forse è ora di cambiare.» Shadow si domandò che cosa fosse un coboldo.

L’altro lo fissava. Poi riappoggiò l’attizzatoio nel fuoco. «Non è così semplice. Che cosa ti fa pensare che io possa lasciare questa città anche se lo volessi, Shadow? Io faccio parte di Lakeside. Sarai tu a mandarmi via? Sei pronto a uccidermi, pur di mandarmi via?»

Shadow guardò per terra. Sul tappeto si vedevano ancora i bagliori della brace, dove la punta dell’attizzatoio aveva bruciato la lana. Hinzelmann seguì il suo sguardo e la schiacciò con il piede. Nella mente di Shadow si affollarono, non invitati, i volti dei bambini, molto più di cento, che lo fissavano con gli occhi ciechi e i capelli serpeggianti intorno al volto come lunghe alghe. Lo guardavano con aria di rimprovero.
Sapeva che stava per tradirli e non sapeva cosa fare per impedirselo.

«Non posso ucciderla. Lei mi ha salvato la vita.»
Scosse la testa. Non si era mai sentito più stronzo di così. Altro che l’eroe di un film o un investigatore, era soltanto un traditore di merda che faceva finta di indignarsi e poi se ne andava voltando le spalle a tutto.
«Vuoi conoscere un segreto?» chiese Hinzelmann.
«Va bene» rispose lui con il cuore pesante. Non ne poteva più di segreti.
«Guarda questo.»

Al posto di Hinzelmann comparve un bambino di circa cinque anni, con i capelli lunghi e scuri. Era completamente nudo eccetto per una logora striscia di cuoio intorno al collo. Lo trapassavano due spade: una conficcata nel petto, l’altra che entrava dalla spalla per uscire con la punta sotto la cassa toracica. Il sangue scorreva dalle ferite lungo il corpo del bambino formando una pozza intorno ai suoi piedi. Le spade erano straordinariamente antiche.

Il bambino guardò Shadow con occhi che esprimevano soltanto sofferenza.
E Shadow pensò tra sé: naturalmente. Un modo come un altro per fare un dio tribale. Non aveva bisogno che glielo si spiegasse. Sapeva tutto.

Prendi un bambino, lo fai crescere al buio impedendogli di vedere chiunque, di toccare chiunque, lo nutrì bene per qualche anno, lo nutri meglio di qualsiasi altro bambino nel villaggio e poi, dopo cinque anni, nella notte più lunga dell’anno lo trascini terrorizzato fuori dalla capanna in mezzo ai fuochi e lo trapassi con spadoni di ferro e di bronzo. Fai affumicare il corpicino sopra un fuoco di carbone fino a quando non è perfettamente essiccato e allora lo avvolgi in pelli di animali. Lo porti con te da un accampamento all’altro, nel cuore della Foresta Nera, offrendogli in sacrificio animali e bambini, trasformandolo nel talismano della tribù. Passato molto tempo, quando il talismano si sbriciola, metti le fragili ossa in una scatola e veneri la scatola; un giorno la scatola si aprirà e le ossa si sparpaglieranno in giro e verranno dimenticate e le tribù che adoravano il dio bambino della scatola saranno estinte da tempo; e il dio bambino, il talismano del villaggio, sarà un pallido ricordo, poco più che un fantasma: un folletto, un coboldo.

Shadow si chiese chi mai centocinquant’anni prima fosse emigrato nel Wisconsin settentrionale: un taglialegna, forse, o un cartografo, attraversando l’Atlantico con Hinzelmann vivo nel cuore.
Il bambino insanguinato scomparve e ricomparve il vecchio con il ciuffo di capelli bianchi e il sorriso da folletto, le maniche del maglione ancora bagnate da quando aveva infilato Shadow nella vasca che gli aveva salvato la vita.
«Hinzelmann?» chiamò una voce dalla porta.

Il vecchio si voltò imitato da Shadow.
«Ero venuto a dirti» disse Chad Mulligan con la voce tirata «che la bagnarola è andata giù. L’ho vista andar giù mentre ero in macchina e ho pensato di venire a dirtelo, nel caso non te ne fossi accorto.»
Impugnava la pistola puntata verso il pavimento.
«Ehi, Chad» disse Shadow.
«Ehi, amico» rispose l’altro. «Mi hanno comunicato ufficialmente che eri morto in prigione per un attacco di cuore.»
«Non dirmi. Sembra che non faccia altro che morire dappertutto.»

«È arrivato qui, Chad, e mi ha minacciato» disse Hinzelmann.
«No» ribatté Mulligan. «Sono in casa da dieci minuti. Ho sentito tutto. Di mio padre. Del lago.»
Entrò nella stanza senza alzare la canna della pistola. «Cazzo, Hinzelmann. È impossibile arrivare in questa città senza vedere il lago. È proprio in mezzo. Che cosa diavolo dovrei fare, adesso?»

«Lo devi arrestare» rispose subito il vecchio, un vecchio spaventato nella sua stanzetta piena di polvere. «Ha detto che mi avrebbe ucciso. Chad, sono così contento che tu sia qui.»
«No» rispose il poliziotto, «non lo sei.»
Hinzelmann sospirò. Si chinò come in un gesto di rassegnazione, invece estrasse l’attizzatoio dal fuoco. La punta era arroventata, arancione brillante.

«Mettilo giù, Hinzelmann. Mettilo giù lentamente e tieni le mani in alto dove le posso vedere, poi voltati con la faccia al muro.»

C’era un’espressione di assoluta paura sulla faccia del vecchio. Shadow avrebbe provato pena per lui se non avesse avuto vivo il ricordo delle lacrime ghiacciate sulle guance di Alison McGovern. Hinzelmann non si mosse, non appoggiò l’attizzatoio e non si voltò verso il muro. Shadow stava quasi lanciandosi per strapparglielo dalle mani quando il vecchio lo tirò contro Mulligan.
Fece un lancio dal basso in alto, tanto per fare, si sarebbe detto, e si precipitò verso la porta.

Mulligan deviò l’attizzatoio con il braccio sinistro.
Il rumore dello sparo risuonò assordante.
Un colpo in testa, pulito.
Mulligan disse: «Meglio che ti rivesti». Aveva parlato con una voce spenta.

Shadow annuì. Andò nell’altra stanza, aprì lo sportello dell’asciugatrice e si infilò i vestiti. I jeans erano ancora umidi ma li indossò lo stesso. Quando ritornò nel salotto tutto vestito — eccetto per il piumino rimasto sul fondo gelato del lago, e per gli stivali che non riusciva a trovare da nessuna parte — Mulligan stava tirando fuori dal camino alcuni pezzi di legno.

Disse: «È un brutto giorno quando un poliziotto deve provocare un incendio doloso per occultare un omicidio». Poi guardò Shadow. «Hai bisogno di un paio di stivali.»
«Non so dove li ha messi.»
«Diavolo» esclamò Mulligan. Poi aggiunse: «Mi dispiace, Hinzelmann». Prese il vecchio per il colletto e alla cintura e lo buttò nel camino. I capelli bianchi presero fuoco subito e la stanza cominciò a riempirsi dell’odore di carne bruciata.

«Non è stato un omicidio. L’hai fatto per autodifesa» disse Shadow.
«Lo so io cos’è stato» rispose seccamente Mulligan. Stava trafficando con i ceppi fumanti che aveva sparso in giro per la stanza. Ne spinse uno vicino al divano, prese una vecchia copia del "Lakeside News" e ne accartocciò le pagine. Il giornale prese fuoco immediatamente.
«Esci fuori» disse il poliziotto.
Aprì le finestre mentre uscivano dalla casa e chiuse la porta.

Shadow lo seguì a piedi nudi fino alla macchina. Mulligan gli aprì la portiera accanto al posto di guida e Shadow salì pulendosi i piedi sul tappetino. Poi si infilò i calzini ormai praticamente asciutti.
«Possiamo andare a prendere un paio di stivali da Hennings Farm and Home» disse Chad Mulligan.
«Quanto hai sentito?»
«Abbastanza. Troppo.»
Arrivarono da Hennings Farm and Home in silenzio e al parcheggio il capo della polizia disse: «Che numero porti?».
Shadow glielo disse.

Mulligan entrò nel negozio e ne uscì poco dopo con un paio di calzettoni pesanti di lana e un paio di stivali di cuoio adatti ai lavori nei campi. «C’erano solo questi della tua misura. Oppure stivali di gomma, ma ho pensato che avresti preferito questi.»
Shadow si infilò calzettoni e stivali. Gli andavano perfettamente.
«Grazie» disse.
«Hai una macchina?»
«È parcheggiata sulla carrozzabile del lago. Vicino al ponte.»
Mulligan mise in moto e uscì dal parcheggio.
«Che ne è stato di Audrey?»

«Il giorno dopo che ti hanno portato via mi ha detto che le piacevo come amico, ma che tra noi le cose non avrebbero mai funzionato, essendo parenti eccetera eccetera e se ne è tornata a Eagle Point. Mi ha spezzato il cuore, praticamente.»
«E naturale» disse Shadow. «Niente di personale contro di te. Hinzelmann non aveva più bisogno di lei e l’ha fatta andare via.»
Passando davanti alla casa del vecchio videro uscire dal camino un denso pennacchio di fumo bianco.

«Era venuta qui soltanto perché ce l’aveva fatta venire lui. Per dargli una mano a mandarmi via. Stavo attirando troppa attenzione, un’attenzione che non desiderava.»
«Credevo di piacerle.»
Si fermarono accanto alla macchina a noleggio di Shadow. «Adesso che cosa farai?» gli chiese.

«Non so» rispose Mulligan. La sua faccia solitamente tormentata cominciava ad avere un’aria meno catatonica. Sembrava più angosciato del solito. «Credo di avere un paio di possibilità. O mi…» — distese indice e pollice come a simulare una pistola immaginaria che si puntò in bocca — «ficco un proiettile nel cervello. Oppure aspetto un paio di giorni, fino a quando il ghiaccio non sarà sciolto completamente, mi lego un blocco di cemento alla gamba e salto giù dal ponte. Oppure prendo dei sonniferi. Magari potrei andare in macchina nella foresta e prenderli lì. Non voglio che sia uno dei miei ragazzi a ripulire. Meglio lasciare l’incomodo alla contea, giusto?» Sospirò e scosse la testa.

«Non l’hai ucciso tu, Chad. Hinzelmann è morto tanto tempo fa, molto lontano da qui.»
«Grazie per averlo detto, Mike. Però l’ho ucciso. Ho sparato a un uomo a sangue freddo e ho cercato di far passare l’omicidio per un incidente. E se mi chiedessi perché l’ho fatto, perché l’ho fatto veramente, non sarei neanche in grado di dirtelo.»

Shadow allungò una mano e toccò l’altro sul braccio. «Hinzelmann era il padrone della città. Non credo che tu avessi molta voce in capitolo in quello che è successo nella casa. Credo che sia stato lui ad attirarti lì. Voleva che sentissi le nostre parole. Ti ha teso una trappola. Era l’unico modo che aveva per andarsene, credo.»

L’espressione infelice di Mulligan non cambiò. Shadow si rese conto che l’altro lo ascoltava a malapena. Aveva ucciso Hinzelmann e costruito una pira, e adesso, obbedendo all’ultimo dei desideri del vecchio, si sarebbe tolto la vita.

Shadow chiuse gli occhi cercando di ricordare quel luogo mentale dov’era andato quando Wednesday gli aveva chiesto di far nevicare: quel luogo che riusciva a forzare i pensieri di un altro. Sorrise anche se non ne aveva voglia e disse: «Chad. Lascia perdere». Vedeva una nube, nella mente dell’altro, nera e opprimente, la vedeva e concentrandosi immaginò di dissiparla come fa il sole con la foschia del mattino. «Chad» ripeté con forza, cercando di perforare quella nuvola, «adesso Lakeside cambierà. Non sarà più l’unica città tranquilla di una regione tormentata e depressa. Assomiglierà molto di più alle altre. Ci saranno più problemi. Disoccupati. Fuori di testa. Più aggressioni. Crimini di ogni genere. Avranno bisogno di un capo della polizia con esperienza. Lakeside ha bisogno di te.» Poi aggiunse: «Marguerite ha bisogno di te».

Qualcosa si agitò nella nube nera che riempiva la testa di Chad. Shadow lo percepì e andò oltre, visualizzando le mani scure e pratiche di Marguerite Olsen, i suoi occhi intensi e i capelli lunghissimi e neri. Visualizzò il modo in cui piegava la testa e accennava a un sorriso, se era divertita. «Ti sta aspettando.» Shadow sapeva di dire la verità.
«Margie?»

In quel momento — in seguito non avrebbe saputo dire come aveva fatto, e dubitava di poterlo fare ancora — Shadow raggiunse la mente di Chad Mulligan e con estrema semplicità vi estrasse gli eventi di quel pomeriggio con la precisione e il distacco di un rapace che svuoti le orbite di un animale morto.
Chad rilassò la fronte aggrottata, batté le palpebre assonnato.
«Vai a trovare Margie. Mi ha fatto piacere rivederti, Chad. Stammi bene.»
«Certo» sbadigliò l’altro.

La radio gracchiò un messaggio e Chad allungò una mano per afferrare il microtelefono. Shadow uscì dalla macchina della polizia.
Si avvicinò alla sua. Vedeva la distesa grigia del lago in mezzo alla città. Pensò ai bambini morti che aspettavano sul fondo.
Tra poco Alison sarebbe affiorata in superficie…
Quando passò accanto alla casa di Hinzelmann vide che il pennacchio di fumo si era trasformato già in una vampata e sentì il suono della sirena dei pompieri.

Si diresse a sud verso la Highway 51. Andava al suo appuntamento finale. Ma prima, pensò, si sarebbe fermato a Madison per dire un ultimo addio.

La cosa che piaceva di più a Samantha Black Crow era fare la chiusura serale della Coffee House. Era una cosa che la calmava: le dava la sensazione di mettere ordine nel mondo. Infilava un cd delle Indigo Girls nello stereo e svolgeva gli ultimi lavori seguendo un ritmo solo suo. Innanzitutto puliva la macchina del caffè. Poi faceva il giro finale per assicurarsi che tutte le tazze e i piatti fossero tornati in cucina, e che i giornali sparsi nel locale fossero stati raccolti e ammucchiati ordinatamente vicino all’ingresso, pronti per essere riciclati.

La Coffee House le piaceva molto. Era un locale formato da una lunga serie di stanze serpeggianti piene di poltrone, divani e tavolini bassi, in una strada su cui si affacciavano molte librerie che vendevano libri usati.
Coprì il cheesecake avanzato e lo mise nel grande frigorifero, con uno straccio ripulì le ultime briciole. Le piaceva essere sola.

Un colpo battuto alla finestra attirò la sua attenzione richiamandola al mondo reale. Andò ad aprire la porta per far entrare una donna della sua età, con i capelli color magenta legati in una coda di cavallo. Si chiamava Natalie.
«Ciao» le disse Natalie alzandosi sulle punte per baciarla tra la guancia e l’angolo della bocca. Un tipo di bacio che può significare molte cose. «Hai finito?»
«Quasi.»
«Vuoi andare al cinema?»

«Certo. Mi piacerebbe. Ne ho ancora per cinque minuti. Perché non ti siedi a leggere l’"Onion"?»
«Ho già visto il numero di questa settimana.» Sedette vicino alla porta e rovistò tra la pila di giornali fino a quando non trovò qualcosa di suo gradimento. Cominciò a leggere mentre Sam riponeva il denaro della cassa in un sacchetto per metterlo nella cassaforte.

Andavano a letto insieme da una settimana. Sam si chiedeva se fosse quella la relazione che aspettava da tutta la vita. Si diceva che era soltanto per una questione di sostanze chimiche e ormoni se si sentiva felice, quando vedeva Natalie, e forse era davvero tutto lì; comunque sapeva che quando la vedeva le veniva voglia di sorridere. E che se erano insieme si sentiva a suo agio.
«In questo giornale» disse Natalie «c’è un altro di quegli articoli che si intitolano
L’America sta cambiando?.
»

«Be’, sta cambiando o no?»
«Questo non ce lo dicono. Dicono che forse sì, ma non sanno come, non sanno perché e forse non sta cambiando nemmeno.»
Sam sorrise. «Così hanno accontentato tutti, non ti pare?»
«Credo di sì.» Natalie aggrottò la fronte e tornò a leggere il giornale.

Sam lavò lo strofinaccio e lo ripiegò. «Comunque malgrado il governo e tutto il resto all’improvviso mi sembra che la mia vita vada benissimo. Forse è la primavera che è arrivata presto. È stato un lungo inverno e sono contenta che sia finito.»
«Anch’io.» Seguì una pausa. «L’articolo dice che un sacco di gente sta raccontando di fare strani sogni. Io non ne ho fatti. Niente di più strano del solito.»


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