American Gods

American Gods

Neil Gaiman

Mulligan lo accompagnò al Lakeside Realty, che si trovava proprio di fronte al negozio. Missy Gunther li ricevette fresca di messa in piega. Non ci fu bisogno di presentazioni perché sapeva già chi era Mike Ainsel. Il caro signor Borson che aveva affittato l’appartamento un paio di mesi prima era suo zio Emerson, giusto, un vecchietto molto simpatico; e la vista, non era forse da urlo? Be’, caro, aspetti primavera e vedrà, perché noi siamo molto fortunati, pensi che da queste parti quasi tutti i laghi diventano verdi di alghe, in estate, una cosa da far rivoltare lo stomaco, mentre il nostro, be’, venga qui il quattro luglio e vedrà, praticamente lo si può bere, e il signor Borson aveva pagato un anno di affitto anticipato… In quanto alla Toyota 4-Runner lei non riusciva a credere che Chad Mulligan se la ricordasse ancora, comunque sì, era ben contenta di liberarsene. A dire la verità si era rassegnata all’idea di darla a Hinzelmann per farne la bagnarola dell’anno prossimo e smettere di pagare il bollo, non che la macchina fosse un rottame, tutt’altro, no, era stata del figlio prima che andasse all’università di Green Bay e be’, un giorno lui l’aveva dipinta di rosso porpora e, ah ah, sperava proprio che a Mike piacesse il rosso porpora, era quello l’unico problema, comunque non gliene avrebbe fatto una colpa, se non gli fosse piaciuto …

A metà della litania il capo della polizia Chad Mulligan si congedò. «A quanto pare in ufficio hanno bisogno di me. Piacere di averti conosciuto, Mike» disse, e trasferì i sacchetti con le compere di Shadow nel baule della station wagon di Missy Gunther.

Shadow e Missy andarono insieme a casa di lei: nel cortile era parcheggiato il vecchio fuoristrada. La neve l’aveva mezzo coperto di una coltre abbagliante e il resto della carrozzeria risaltava per quella tonalità stucchevole di porpora che può venire in mente solo a chi si fa un sacco di canne.

Comunque partì al primo tentativo, il riscaldamento funzionava, anche se impiegò dieci minuti al massimo regime prima di trasformare la temperatura dell’abitacolo da insopportabilmente gelida a fredda passabile. Mentre il cambiamento climatico era in atto, Missy Gunther portò Shadow in cucina: scusi il disordine, ma i ragazzini lasciano giocattoli dappertutto dopo Natale e lei non aveva il cuore di spostarli, non voleva per caso mangiare un po’ di tacchino avanzato? Be’, il caffè, allora, ci vuole un attimo a prepararlo. Lui sedette vicino alla finestra spostando un grosso modellino di automobile e confessò a Missy Gunther che gli domandava se avesse già conosciuto i vicini di non averli ancora incontrati.

Mentre il caffè gocciolava dal filtro fu informato che nel palazzo abitavano altri quattro inquilini: all’epoca in cui era casa Pilsen i Pilsen occupavano il pianterreno e affittavano i due appartamenti di sopra, adesso giù abitano il signor Holz e il signor Neiman, che sono una coppia, e quando dico coppia, signor Ainsel, Cielo, c’è gente di tutti i tipi, più varietà di quelle degli alberi nella foresta, anche se quella varietà lì di uomo di solito finisce su a Madison o a Twin Cities, ma a dire la verità qui non si scandalizza nessuno. Passano l’inverno a Key West e torneranno in aprile, così avrebbe potuto conoscerli. Il fatto è che Lakeside è una bella città. E proprio accanto all’appartamento del signor Ainsel ci sta Marguerite Olsen con il bambino, una signora molto, molto gentile, ha avuto una vita dura, però è buona come il pane, e lavora per il "Lakeside News". Che non sarà il giornale più eccitante del mondo ma a dire la verità secondo lei alla gente del posto piace così.

Oh, disse versandogli il caffè, sperava proprio che il signor Ainsel riuscisse a vedere la città in estate o a tarda primavera, quando i lillà, i meli e i ciliegi sono in fiore, secondo me non esiste niente di più bello, niente al mondo che li superi in bellezza.

Shadow le diede cinquecento dollari di acconto, salì in macchina, inserì la retromarcia e uscì dal cortile per imboccare il vialetto. Missy Gunther picchiettò sul vetro. «Questa è per lei. Me l’ero quasi dimenticata.» Gli tese una busta di pelle scamosciata. «È una specie di gioco. Ce le siamo fatte fare qualche anno fa. Non deve guardare subito.»

Lui la ringraziò e guidò con cautela fino in città prendendo la strada che costeggiava il lago. Gli sarebbe piaciuto vederlo in estate, o in autunno: doveva essere bellissimo, ne era sicuro.
Arrivò a casa in dieci minuti.
Parcheggiò la Toyota e imboccò la scaletta esterna che conduceva al suo gelido appartamento. Tirò fuori gli acquisti dai sacchetti, sistemò le provviste nell’armadio e nel frigorifero e poi aprì la busta che gli aveva dato Missy Gunther.

Conteneva un passaporto. Blu, con la copertina plastificata: dentro c’era scritto che Michael Ainsel (il nome era stato aggiunto da Missy Gunther in bella calligrafia) era cittadino di Lakeside. Nella pagina successiva c’era una cartina della città e il resto del libretto era zeppo di buoni sconto validi in tutti i negozi.
«Credo che questo posto potrebbe piacermi» disse Shadow a voce alta. Guardò il lago gelato fuori della finestra coperta di ghiaccio. «Se solo non facesse così freddo.»

Intorno alle due del pomeriggio, mentre Shadow si esercitava nel trucco della Moneta Scomparsa con un pezzo da venticinque centesimi, passandolo da una mano all’altra senza farlo notare, sentì un colpo alla porta. Siccome le mani erano intorpidite dal freddo lasciava cadere continuamente il quarto di dollaro sul tavolo, e il colpo alla porta glielo fece cadere per l’ennesima volta.
Andò ad aprire.

Un istante di puro terrore: l’uomo indossava una maschera nera che gli copriva la parte inferiore del volto. Era il genere di maschera che potrebbe indossare un rapinatore di banche in un telefilm, o che un serial killer userebbe per spaventare le sue vittime in un thriller di serie B. La testa del visitatore era coperta da un berretto di lana nero.

Comunque era più basso e più magro di Shadow, non sembrava armato e indossava una giacca di lana scozzese a colori vivaci, il tipo di giacca che i serial killer in genere evitano con cura.
«Sohh Ihhalaan» disse il visitatore.
«Come?»

L’uomo abbassò la maschera rivelando la faccia allegra del vecchio Hinzelmann. «Ho detto "Sono Hinzelmann". Non so proprio come si facesse prima dell’invenzione di queste maschere. Non me lo ricordo. Probabilmente si calcavano grossi berretti sulla faccia e poi si avvolgevano con sciarpe e chissà cos’altro. A me pare che quello che inventano oggi sia miracoloso. Sarò anche vecchio, ma non ho certo intenzione di prendermela con il progresso.»

Concluse il discorso mettendo in mano a Shadow un cesto pieno di formaggi locali, bottiglie, vasetti e alcuni piccoli salami che sembravano fatti con la cacciagione estiva ed entrò in casa. «Buon giorno dopo il giorno di Natale» disse. Anche con la maschera aveva naso, orecchi e guance rossi come lamponi. «Ho saputo che hai mangiato un’intera pasty di Mabel. Ti ho portato qualche cosetta.»
«È molto gentile da parte sua» disse Shadow.

«Gentile un corno. La settimana prossima ti faccio ripagare tutto con la lotteria gestita dalla Camera di Commercio, che poi sarebbe gestita da me. L’anno scorso abbiamo raccolto quasi diciassettemila dollari per il reparto pediatrico del Lakeside Hospital.»
«Non posso comprare subito i biglietti?»
«Non si può fino a quando la bagnarola non viene messa sul ghiaccio.» Guardò il lago dalla finestra. «Fa freddo, là fuori. Ieri notte la temperatura dev’essere scesa
di
almeno dieci gradi.»

«Tutto in un colpo» convenne Shadow.
«Ai vecchi tempi si pregava perché venissero gelate così» disse Hinzelmann. «Me l’ha raccontato mio padre.»
«E perché mai?»

«In effetti, sì, a quei tempi era praticamente l’unico modo che i coloni avessero per sopravvivere. Non c’era da mangiare per tutti, allora, e non è che si potesse andare da Dave’s a riempire il carrello, nossignore. Così mio nonno si era spremuto le meningi: quando arrivava una giornata veramente fredda come questa prendeva mia nonna e i bambini, mio zio, la zia e mio papà — che era il più giovane — insieme alla servetta e al bracciante e li portava fino al torrente, li faceva bere un po’ di rum mescolato con erbe, una ricetta del suo paese, poi rovesciava addosso a tutti l’acqua del torrente. Ovviamente congelavano nel giro di pochi secondi, diventavano duri e bluastri come ghiaccioli all’anice. Poi li trasportava fino a una fossa che aveva fatto scavare e riempire di paglia preventivamente e li impilava uno sull’altro, come pezzi di legno di una catasta, metteva intorno altra paglia e copriva la fossa con una tavola per tenere lontani gli animali — a quei tempi c’erano lupi e orsi e creature di ogni genere che ormai non si vedono più, però non c’erano hodag, sono solo storie quelle che si raccontano sugli hodag e non ti giudico così credulone da raccontarti storie senza fondamento, nossignore — dicevamo, chiudeva con una tavola e alla prima nevicata la fossa era completamente coperta, eccetto la bandierina che aveva piantato per ritrovarla.

«A quel punto il nonno superava l’inverno con agio, senza più preoccuparsi di finire le scorte di cibo o di combustibile. E quando arrivava la primavera, andava nel punto dove aveva piantato la bandiera e scavava nella neve, toglieva la tavola, riportava tutti i membri della famiglia a casa e a uno a uno li sistemava davanti al fuoco a scongelare. Nessuno protestava, salvo una volta uno dei braccianti perché, siccome mio nonno non aveva sistemato bene la tavola, una famiglia di topi gli aveva rosicchiato mezzo orecchio. A quei tempi sì che c’erano dei veri inverni. Si poteva fare. Questi inverni da femminuccia che abbiamo adesso non sono abbastanza freddi.»

«Ah no?» chiese Shadow continuando a dargli corda e divertendosi moltissimo.
«Dopo l’inverno del ’49 non ce ne sono più stati, ma tu sei troppo giovane per ricordartelo. Quello sì che è stato un inverno come si deve. Vedo che hai comperato un mezzo di locomozione.»
«Già. Cosa gliene pare?»

«A dirti la verità, il ragazzo dei Gunther non mi è mai piaciuto. Avevo un ruscello con le trote nel bosco in fondo, molto in fondo alla mia proprietà, in effetti sarebbe terra comunale, comunque io ci avevo messo qualche pietra per creare delle pozze dove potessero fermarsi le trote. Prendevo dei veri capolavori, un giorno ho pescato una trota che doveva essere tre o quattro chili, e quel moccioso dei Gunther ha distrutto tutte le pozze minacciando di denunciarmi alla guardia forestale. Adesso è all’università, però tornerà presto e se ci fosse giustizia a questo mondo dovrebbe essere un fuggiasco invernale, invece no, continua a ronzare qui intorno come una tarma intorno a un gilet di lana.» Cominciò a sistemare il contenuto del cesto di benvenuto sugli scaffali. «Questa è la cotognata di Katherine Powdermaker. Ogni Natale, da prima che tu venissi al mondo, me ne regala un vasetto, e la triste verità è che non ne ho mai aperto uno. Sono tutti giù in cantina, quaranta o cinquanta vasetti di cotognata. Magari un giorno ne apro uno e scopro che mi piace. Nel frattempo eccone uno per te. Magari è di tuo gusto.»

«Che cos’è un fuggiasco invernale?»
«Mmm». Il vecchio si sistemò il berretto dietro le orecchie e si grattò la tempia con l’indice paonazzo. «Be’, non è un’esclusiva di Lakeside: la nostra è una città a posto, superiore alla media, comunque non siamo perfetti neanche noi. Certi inverni succede magari che un ragazzino diventi matto, quando fa così freddo da non poter uscire, e la neve è talmente asciutta che non puoi farci nemmeno le palle perché si sbriciolano…»
«E allora scappa?»

Il vecchio annuì con gravità. «Per me la colpa è della televisione che fa vedere ai ragazzi cose che non dovrebbero mai vedere, come
Dallas
e
Dynasty
e tutte quelle altre stupidaggini. Io non ho un televisore dall’autunno dell’83, solo uno in bianco e nero che tengo nell’armadio in caso qualcuno di fuori volesse vedere una partita importante.»
«Posso offrirle qualcosa, Hinzelmann?»

«Niente caffè. Mi dà acidità di stomaco. Solo acqua.» Il vecchio scosse la testa. «Il problema più grosso in questa parte del paese è la miseria. Non la miseria della Depressione, qualcosa di più… qual è la parola per dire che si infila dappertutto come gli scarafaggi?»
«Insidiosa?»

«Sì ecco, insidiosa. Il legname non dà più lavoro. Le miniere non danno più lavoro. I turisti non vanno più a nord di Dells, eccetto qualche raro cacciatore e i ragazzini che fanno campeggio sui laghi, però non spendono certo soldi nei negozi e nei locali della città.»
«Lakeside sembra una prospera cittadina.»

Il vecchio chiuse e aprì rapidamente le palpebre. «E non è un’impresa da poco. Credimi. È una bella città ed è l’energia di tutti a renderla bella. Non che la mia famiglia non fosse povera, quand’ero piccolo. Chiedimi che infanzia povera ho avuto.»
Shadow assunse l’espressione seria di chi sta al gioco e disse: «È stata un’infanzia povera la sua, signor Hinzelmann?».

«Solo Hinzelmann, Mike. Eravamo così poveri che non potevamo nemmeno permetterci di accendere il camino. Per festeggiare la notte di Capodanno mio padre succhiava una mentuccia e noi bambini ci mettevamo intorno con le mani tese ad aspettare che la facesse succhiare un pochino anche a noi.»

Shadow fece un fischio di incredulità. Hinzelmann infilò la maschera da sci, abbottonò l’enorme giacca scozzese, prese dalla tasca le chiavi dell’automobile e infine tirò fuori i guanti pesanti. «Se ti annoi vieni a cercarmi in negozio. Ti faccio vedere la mia collezione di mosche da pesca legate a mano. Ti annoierò talmente che dopo tornare quassù ti sembrerà un sollievo.» La voce arrivava soffocata ma comprensibile.
«Verrò» disse Shadow. «Come sta Tessie?»

«È in letargo fino a primavera. Stammi bene, Mike Ainsel.» Uscendo si chiuse la porta alle spalle.
Dopodiché, l’appartamento sembrò ancora più freddo.
Shadow si infilò la giacca e i guanti. Poi gli stivali. Dalle finestre non si riusciva a vedere quasi niente perché lo strato di ghiaccio sulla parte interna dei vetri trasformava il panorama lacustre in un dipinto astratto.
Il suo respiro formava nuvolette nell’aria.

Uscì sul portico di legno e bussò alla porta dei vicini. Sentì una voce femminile gridare a qualcuno di tacere e abbassare il volume della televisione… un bambino, pensò, perché in genere gli adulti non si rivolgono ad altri adulti urlando in quel modo. La porta si aprì e una donna dall’aria stanca con i capelli molto lunghi e molto neri lo fissò con circospezione.
«Sì?»
«Sono Mike Ainsel, signora. Il nuovo vicino.»
La donna rimase impassibile. «Sì?»

«Signora, nel mio appartamento si muore di freddo. Quel po’ di calore che arriva dalla grata non riscalda per niente.»
Lei lo guardò dall’alto in basso, poi l’ombra di un sorriso le sfiorò gli angoli della bocca. «Entri, prego. Se non entra si gelerà anche da noi.»

Shadow entrò. Il pavimento era disseminato di giocattoli di plastica colorati e accanto a un muro c’era un mucchio di carte da regalo strappate dai pacchetti natalizi. Un bambino incollato alla televisione guardava la videocassetta di
Hercules,
dove al momento un satiro saltellava gridando. Shadow cercò di dare la schiena allo schermo.

«Allora» cominciò la donna, «deve fare così: prima di tutto sigilli le finestre con una specie di striscia adesiva, la trova giù da Hennings. La incolli lungo gli infissi e se vuole fare le cose davvero bene ci passi sopra il phon, così non si stacca più per tutto l’inverno. Questo è il sistema migliore per impedire dispersioni di calore. Poi comperi un paio di termoconvettori. La caldaia del palazzo è vecchia e quando diventa così freddo non ce la fa. Ultimamente abbiamo avuto inverni abbastanza miti, dovremmo esserne contenti, immagino.» Poi gli tese la mano destra. «Sono Marguerite Olsen.»

«Piacere di conoscerla» disse Shadow. Si sfilò un guanto e ricambiò la stretta. «Sa una cosa? Ho sempre pensato che Olsen fosse un cognome per persone più bionde di lei.»
«Il mio ex marito era biondo come da manuale. Biondo e roseo. Non si abbronzava nemmeno sotto la minaccia di un’arma da fuoco.»
«Missy Gunther mi ha detto che lei scrive per il giornale locale.»

«Missy Gunther racconta tutto a tutti. Non capisco che bisogno ci sia di un giornale locale, con lei intorno.» Annuì. «Comunque sì. Raccolgo qualche notizia qui e là, anche se è il caporedattore a fare la cronaca. Io curo la rubrica della natura, quella di giardinaggio, tutte le domeniche la rubrica dei lettori e le "Notizie della Comunità", dove si racconta, con un’abbondanza di dettagli estenuante, chi è uscito a cena con chi nel raggio di venti chilometri.»

Quando lei lo guardò con i suoi occhi neri, Shadow sperimentò un istante di puro déja vu.
Sono già stato qui,
pensò.
No,
lei mi ricorda qualcuno.
«Comunque se vuole riscaldare la casa deve fare come le ho detto.»
«Grazie. Quando sarà calda venga a trovarmi con il bambino.»
«Si chiama Leon. Piacere di averla conosciuta, signor… scusi…»
«Ainsel» disse Shadow. «Mike Ainsel.»
«Che tipo di nome è Ainsel?»

Shadow non ne aveva la minima idea. «Il mio» rispose. «Temo di non essermi mai interessato troppo alla storia di famiglia.»
«Norvegese, forse?»
«Non che io sappia» disse. Poi gli tornò in mente lo zio Emerson Borson e aggiunse: «Dal lato paterno, perlomeno».

Prima che arrivasse Wednesday, Shadow aveva sigillato tutte le finestre, sistemato un termoconvettore nel salotto e un altro in camera da letto. L’appartamento era quasi confortevole.

«Che cosa cazzo è quella porcheria rossa che guidi?» chiese Wednesday come formula di saluto.
«Be’, tu ti sei preso la mia porcheria bianca. A proposito, dov’è?»
«L’ho scambiata con un’altra a Duluth. La prudenza non è mai troppa. Non preoccuparti… quando abbiamo finito ti darò la tua parte.»
«Che cosa ci faccio qui?» chiese Shadow. «A Lakeside, voglio dire. Non al mondo.»

Wednesday sorrise in quel suo modo speciale che a Shadow faceva venire voglia di tirargli un cazzotto. «Sei venuto a vivere qui perché è l’ultimo posto dove verrebbero a cercati. A Lakeside ti posso tenere al riparo da sguardi indiscreti.»
«Chi dovrebbe cercarmi? I berretti neri?»

«Esattamente. Ho paura che ormai per noi la House on the Rock sia territorio proibito. È un momento difficile, comunque ce la faremo. Si tratta soltanto di battere i piedi, agitare i gagliardetti e fare qualche capriola prima che l’azione vera e propria cominci, leggermente più tardi del previsto. Credo che aspetteranno la primavera. Fino ad allora non dovrebbe succedere niente di grosso.»
«Come mai?»

«Perché possono anche blaterare discorsi su micromillisecondi e mondi virtuali e slittamenti paradigmatici e quello che ti pare, ma abitano in questo pianeta e sono pur sempre vincolati al ciclo delle stagioni. Questi sono i mesi morti. Una vittoria ottenuta adesso sarebbe una vittoria morta.»
«Non so di cosa stai parlando» disse Shadow. Non era del tutto vero. Una vaga idea ce l’aveva, ma sperava che fosse sbagliata.

«Sarà un inverno duro, e noi due impiegheremo il tempo nel modo più saggio, radunando le truppe e scegliendo il campo di battaglia.»
«D’accordo» disse Shadow. Sapeva che Wednesday gli stava dicendo la verità, o quantomeno una parte di verità. La guerra era vicina. No, non era esatto: la guerra era già cominciata, adesso stava per iniziare lo scontro finale. «Mad Sweeney mi ha detto che quando ci siamo incontrati la prima volta lui lavorava per te. Me l’ha detto prima di morire.»

«Avrei forse dovuto assumere qualcuno che non era neanche in grado di gestire una rissa da bar? Non temere, hai ripagato abbondantemente la fiducia che avevo riposto in te. Sei mai stato a Las Vegas?»
«Las Vegas nel Nevada?»
«Esatto.»
«No.»
«Ci andiamo questa sera da Madison con un aereo privato, un volo notturno per alti papaveri. Mi sono spacciato per uno di loro e li ho convinti a farci salire.»
«Non ti stanchi mai di dire bugie?» domandò Shadow in tono cortese, per pura curiosità.

«Assolutamente mai. Comunque è la verità. La posta in gioco è molto alta, e noi lavoriamo per i pezzi grossi. Le strade sono pulite, per arrivare a Madison non dovremmo impiegare più di due ore. Spegni le stufe e chiudi la porta. Sarebbe orribile se durante la tua assenza il palazzo finisse in cenere.»
«Da chi andiamo, a Las Vegas?»
Wednesday glielo disse.


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