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LO STATO NON HA NULLA DA DIRE A CALOGERO MANNINO?

La Corte di Cassazione ha definitivamente confermato l’assoluzione di Calogero Mannino dal c.d. “reato di trattativa”, come è stato giustamente ribattezzato (non essendo ancora oggi chiaro di quale reato si tratti davvero) quel monstrum giuridico nato dalla fervida creatività di alcuni magistrati siciliani, che da anni eccita l’immaginario manettaro e gli appetiti editoriali della consueta filiera politico-giornalistica del partito della forca, che vive di retate all’alba, indagini farlocche e maxi-processi preferibilmente a pacchi di centinaia di imputati in vinculis (candidati alla assoluzione in una percentuale mai inferiore al 50%), come il Paguro Bernardo con le conchiglie vuote. Come è noto, l’ex parlamentare e Ministro siciliano, costretto a vita privata da trent’anni di inchieste giudiziarie poi dimostratesi del tutto prive di ragione e fondamento, era imputato nel processo dei processi, quello della presunta trattativa che lo Stato, tramite una schiera di suoi esponenti ai più vari livelli, avrebbe intavolato con la Mafia per porre in qualche modo fine alle stragi, in cambio di succulenti trattamenti penitenziari di favore per i boss (quali, ancora non si è capito).

Sulla gloriosa strada di questa super inchiesta, perfetta per chi è incline a spiegare la storia con i disegnini, sono rotolate teste, reputazioni e dignità di una congerie di persone per bene. Penso al povero ex Ministro dell’Interno Nicola Mancino, imputato di falsa testimonianza e poi assolto, che nel fumetto di cui sopra sarebbe stato nominato Ministro al posto di Scotti per favorire la trattativa, circostanza accertata come del tutto arbitraria e fantasiosa; penso al “mascariamento” post mortem del giurista e per breve ma fatale periodo anche Ministro di Giustizia Giovanni Conso; penso al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, le cui conversazioni si pretendeva di ascoltare in spregio ad ogni prerogativa istituzionale. Insomma, penso a quell’impazzimento forsennato, una specie di rito voodoo che si è scatenato intorno ad una vicenda che forse può avere qualche interesse politico, ma che in un Paese normale si dovrebbe raccontare e discutere in libri di storia, trasmissioni televisive, dibattiti parlamentari, ovunque fuor che dove si è preteso ed ancora si pretende di ricostruirla, cioè nell’aula di un processo penale.

Siamo alle solite, insomma: in questo Paese qualunque giudizio di disvalore, non importa ora se fondato o meno, o produce un processo penale, manette e carcere, o non può vivere di vita autonoma, rimanendo confinato nel recinto del giudizio storico, politico o morale. Questa definitiva assoluzione, pronunziata con anticipo rispetto al processo ordinario a carico di tutti gli altri imputati (Mannino aveva scelto il rito abbreviato) è una ipoteca molto, molto seria sull’esito della intera vicenda, la cui definizione comunque dovremo attendere ancora per qualche tempo. Intanto però, parliamo di Mannino; che ha dovuto passare quasi metà della sua vita avendo dovuto abbandonare la carriera politica fino ad allora di primo piano (più volte Ministro, leader politico riconosciuto della Democrazia Cristiana siciliana e non solo) per difendersi, per quasi un trentennio, da due accuse micidiali, concorso esterno in associazione mafiosa e trattativa Stato-Mafia, infine polverizzate da due definitive pronunce assolutorie.

Torno a rinnovare la stessa domanda posta in occasione di altre analoghe vicende: davvero pensiamo che lo Stato, complessivamente inteso, non abbia da dire nulla al cittadino Calogero Mannino e, sulla sua incredibile vicenda, a tutti noi? E non debba nemmeno spiegargli -e spiegare a tutti noi- come sia possibile che quanti si sono resi responsabili del suo incredibile calvario giudiziario, non ne debbano rendere conto a nessuno? Che sia precluso anche un giudizio di professionalità, una ricaduta sulla carriera di simili disastri professionali? La Corte di Appello di Palermo che aveva assolto Mannino qualificò la ipotesi accusatoria formulata a suo carico <<non solo infondata, ma anche totalmente illogica ed incongruente con la ricostruzione complessiva dei fatti>>. Indomito, l’Ufficio di Procura ha ricorso per Cassazione contro questo durissimo e tranciante giudizio, ma la Suprema Corte ha dichiarato addirittura inammissibile quella impugnazione. Cosa deve accadere di più, di fronte a trent’anni della vita di un cittadino divorati dal nulla, perché lo Stato senta finalmente il dovere di affrontare, in termini di riorganizzazione ordinamentale della magistratura, una patologia non più oltre tollerabile dal nostro sistema democratico?

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